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I viandanti sono figure mitiche, sono coloro che compiono percorsi esistenziali unici eppure uguali per tutti.
Angelo Nalgeo Nese dà loro la voce, la possibilità di raccontare certi viaggi da cui non si fa mai ritorno. Capita, leggendo le pagine di queste storie di cuori gitani, di uomini e donne che camminano per le strade del mondo, di appropriarci dei loro destini e dei loro pensieri e forse comprendere il valore che ha il movimento, lo spostamento del corpo oltre i concetti fisici di spazio e tempo: perché il viandante, come si esplicita in queste pagine, non è soltanto un viaggiatore o un esploratore, egli non ha meta, non ha dimora da raggiungere, non ha mappe da seguire. Il viandante è innanzitutto, come dice Nese, un “prigioniero di idee”. Espressione ambigua e paradossale che è cifra di un immobilismo e non di un movimento. Dalle primissime pagine, infatti, si evidenzia un tipo di erranza molto più tragica ed inferma pur nel suo incedere, l’erranza del pensiero, del ricordo, del desiderio, della speranza, un’erranza che per senso inverso, condanna alla stasi esistenziale, al rifiuto stesso del vivere. I personaggi di queste brevi ed intense storie, non esplorano il mondo: piuttosto, essi vi affondando, sotto l’ancoraggio delle proprie aspettative deluse, dei propri tormenti interiori, silenti eppure coraggiosi, continuano a camminare, costretti a pensare a ciò che non si fa pensare, a ciò che sfugge, a ciò che è sempre in ritardo rispetto ai loro passi. In ritardo è sempre il senso del vero, che per poco prezzo si scambia con l’inautentico, l’indifferente quotidiano ed in ritardo i viandanti compiono un viaggio che tende all’indietro, man mano che si prosegue, ciò che si scopre è sempre e solo d’appartenere ad una nicchia materna ormai perduta. Ad essa si tende, come in un viaggio nostalgico, così il Viandante di Holderlin, così lo Zarathustra di Nietzsche, condannati a peregrinare nel ritorno verso il proprio essere autentico, oltre i ritardi umani e le tirannie del tempo.
I viandanti di Nese non temono il confronto con questi celebri viandanti dell’umanità, teneramente essi accettano il proprio destino, quello per cui “sogno e realtà saranno fusi e nebuloso sarà il tuo cammino”. Così l’autore alterna versi sciolti a prosa lucida e netta, esprimendo a pieno questo eterno dualismo, quel dubbio iperbolico cartesiano di non poter distinguere con certezza assoluta il vero dal fittizio.
S’incamminano, dunque, i viandanti, verso la ricerca della verità, ma una verità tragica quanto più dispersa nelle maglie di una natura amica e nemica dell’uomo: “la verità è una sola in tante”, dice Nese. A dire, forse, che il mondo è troppo vasto perché non ci si possa perdere, smarrire nella foresta e credere centro ciò che per altri è solo un’eterna periferia.
Recensione di
Valeria Francese
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