In tempi in cui si parla molto di precarietà e stabilità, come di due concetti contrapposti, di due idee di vita addirittura antitetiche. E, ancora oggi, lasciare delle certezze, economiche e sociali, per lanciarsi in una vita movimentata, esaltante, di sensazioni forti (ma anche, all'occorrenza, di stenti) non è qualcosa che sia apprezzato dalla generalità degli individui.
Se ci spostiamo all'indietro, magari di qualche secolo, verso l'età barocca o rococò, ci rendiamo subito conto, per esempio, che la vita girovaga degli attori di commedie doveva essere sia interessante che ricca di pericoli o, se non altro, di occasioni in cui esercitare la propria intelligenza (o furbizia) per la soluzione di problemi pratici e tutt'altro che semplici.
Nel romanzo di Andrea Ballarini, “Il trionfo dell'asino”, alla storia insolita di questa specie di “discesa sociale” del giovane ed annoiato nobiluomo Giacomo Crivelli si somma, avvolgendosi sempre di più su se stessa, una narrazione del mistero che si fa attorno ad un affresco, valutato più per l'allegoria in esso presente che per la sua riuscita artistica. La storia inizia nel 1676 in Padova, anche se c'è una premessa veneziana nel 1656, e si immagina che le sue vicende giovanili vengano narrate dallo stesso Crivelli, giunto a (più o meno) felice vecchiaia nel 1740. Corrono e si rincorrono personaggi noti e meno noti di quell'epoca, più realistici o più romanzati, con la notevole presenza del Re Sole (perché, dopo lungo girovagare tra la Lombardia e Modena, finiremo anche in Francia, dove l'intrigo si farà anche politico e vagamente religioso o meglio concernente una visione eretica del mondo): è certamente un merito dell'autore quello di non essersi disperso in tutte queste storie parallele entro le quali il protagonista corre. C'è con lui, oltre che molte donne, un curioso filosofo aristotelico, cui è affidato il compito di tracciare una via più che una morale, quando Crivelli sembra confondersi e faticare a ritrovarsi. Sia la storia del periodo sia la filosofia, di quel periodo e più in generale, sono viste con sapida ferocia, a volte, altre volte ci portano verso una elegante e quasi bonaria delle debolezze umane, non meno presenti se l'umano si chiami Richelieu e sia magari per altri versi potente. E, per quanto riguarda il giovane e irrequieto nobile veneziano, come accade di molti protagonisti di romanzi, è evidente che l'autore, pur nascondendosi dietro la maschera dello stesso Crivelli, anziano e ormai sedato negli affetti della vita, lo veda nel complesso con simpatia, al punto da scusare la sua volubilità che, come facilmente si immagina, non è soltanto sentimentale.
Trovo che “Il trionfo dell'asino” si proponga con onestà e (lo dico come un elogio) non è un prodotto da scuola di scrittura, nel senso che Ballarini, alla sua seconda prova da romanziere dopo “Giallo Viola, Casanova, il cinema e l'amore”, ha qualcosa da raccontare e probabilmente anche una cifra narrativa interessante: il libro si fa leggere e le dimensioni della narrazione sembrano perfettamente adeguate, non si notano evidenti cali di tensione, anche se si cerca di riflettere, filosoficamente o meno, sul senso di precarietà della vita e della stessa politica di alto livello, che poi credo di poter dire sia l'argomento reale, quello che quasi incapsula (o forse genera) la trama ed i personaggi, di questo romanzo, metaforicamente rappresentato dalla figura del commediante in quell'epoca.