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Il ghiaccio nei tubi del verderame
di Tito Ettore Preioni
Pubblicato su PB16


Anno 2002- Gianni Iuculano Editore
65pp.

ISBN

Una recensione di Salvo Ferlazzo
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Qualche volta la scrittura rimane l’atto di suprema salvezza che da la cifra esistenziale di un evento smisurato e scomposto come può esserlo una guerra.

Preioni non si sottrae a quest’atto di concessione, permettendo alla memoria di risvegliarsi per un suono, una voce, uno sparo.

In questo quadro si colloca la serie di racconti scritti, perché narrati, affiorati alla memoria perché sospinti dal mare dei ricordi, nel tentativo di consegnare alle generazioni future una pagina di storia italiana, fra le più cruenti.

Le pagine di Preioni ci rimandano l’eco violenta della battaglie in una zona dell’Italia settentrionale, la val d’Ossola, dove le Repubbliche partigiane erano isole di libertà nel mare delle armate tedesche sparse per l’Italia dopo l’8 settembre 1943.

Quando il 4 giugno del 1944, lungo i Fori Imperiali a Roma, sfilano le truppe americane e inglesi, il Comitati di Liberazione Nazionale Alta-Italia (CLNAI), lancia l’appello all’offensiva generale che doveva dare “la prova storica dell’occupazione del popolo italiano al nazifascismo, della sua riabilitazione davanti al mondo intero”.

Ma la riabilitazione passa, anche, attraverso la dura contrapposizione tra uomini di diversa ideologia, con divise di diverso colore, trovatosi all’improvviso senza re, senza duce; forse liberi e ribelli, e con una grande montagna come rifugio.

Arriva la guerra totale contro un nemico che è, come dice B. Croce “non l’umano avversario delle umane guerre, ma l’atroce presente nemico dell’umanità”.

Perché è dell’umanità che scrive l’autore: di quella umanità violata fin dentro le case, negli affetti, preda di una turpe, sciagurata esaltazione di conquista di ogni essere umano.

Nelle pagine di Preioni, sembra ancorarsi al racconto di un “io” narrante, invisibile, ma sempre presente, la volontà di arrivare presto alla conclusione della guerra.

La montagna diventa teatro di scontri, zona proibita per i tedeschi in ritirata. Una ritirata pesante, che si lascia dietro di se una lunga scia di sangue che non piegherà la volontà dei partigiani di compiere fino in fondo il loro dovere.

Così, nell’estate del ’44 vengono liberate le grandi repubbliche, nella Carnia a Montefiorino, ad Alba, nel cuneese, nell’Ossola. Quest’ultima passerà alla storia per i suoi quarantaquattro giorni di libertà, dal 10 settembre al 23 ottobre 1944, consegnandola alla storia come la più conosciuta delle grandi repubbliche della valle del Po.

Preioni narra episodi, in bilico tra la storiografia pura, con le sue date inamovibili, e famiglie di partigiani, soldati in obbedienza a ordini superiori. Due universi paralleli si muovono fino ad incontrarsi in un punto trans-dimensionale, dove le vicende personali di tutti coincidono fra di loro.

La capacità narrativa dell’autore, pur concedendo alcuni momenti ad un ambito più letterario, quasi deamicisiano, dove gli affetti, i rapporti umani cercano di contrastare la desertificazione esistenziale cui sono stati costretti, ci riconduce ad un livello di consapevolezza più alto, legato alla Storia.

Ed è la Storia narrata da Giorgio Bocca nel suo “Partigiani della montagna”, o di Pjno Cacucci in”Oltretorrente”.

La capacità di assemblare fatti, pensieri diversi –“…sono in piazza che prendono tutti gli uomini giovani”, “ …ho amato la mia Patria e per essa cado…”, alimenta in chi legge il desiderio di comprendere meglio la storia di quei giorni.

Non c’è posizione ideologica in Preioni, ma si coglie ugualmente l’esigenza di fornire una risposta etica a un conflitto che ha visto contrapposti uomini contro uomini.


Una recensione di Salvo Ferlazzo



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