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Mamma li Turchi!
di Gilberto Favale
Pubblicato su SITO


Anno 2004- Prospettiva Editrice
Prezzo € 10- 146pp.
Collana I territori
ISBN n/a

Una recensione di Carlo Santulli
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 Mamma li Turchi!

Un libro che giunge al momento giusto, proprio quando l’allargamento a 25 stati ha esteso con decisione l'Unione Europea verso est (basti pensare che, degli stati ex-comunisti, solo la Germania Orientale era già entrata nell'UE, in virtù della riunificazione tedesca). Anche dopo quest’allargamento, il quinto nella ormai cinquantennale storia della comunità, rimangono degli stati che hanno già chiesto di entrare nell’Unione, ma non ne fanno ancora parte. Per avere il “via libera” di Bruxelles, devono risolvere problemi economici, come quello della riduzione del debito pubblico in vista dell’integrazione nell'Euro, sociali, come la gestione dell’immigrazione extracomunitaria, e giuridici, perché le legislazioni nazionali non devono essere in conflitto con le normative europee. Quest’ultimo aspetto diventa ancor più critico oggi, perché è in fase d’emanazione una Carta Costituzionale dell'Unione Europea, che diverrà operativa nell'insieme degli stati finora aderenti, se non ci saranno diverse richieste da parte di singoli governi, a partire dal 2009.
I tre stati che attualmente siedono in quest’ideale sala d'attesa sono la Romania, la Bulgaria e la Turchia: ma mentre è fortemente probabile, se non certo, che le prime due entreranno nell’Unione nel 2007, il caso della Turchia è diverso. E’ un paese che non ha mai avuto regimi comunisti, è anzi noto per il suo leale filo-americanismo (al punto da aver stipulato un’alleanza con Israele) e guarda con interesse alla Comunità Europa fin dagli anni ‘50. Eppure, parlare d’ingresso della Turchia nell’UE sembra ancora azzardato: questo saggio si propone di spiegarci perché.
Gilberto Favale si districa molto bene nella storia e nella politica di questo grande paese, reso omogeneo e “moderno” con la forza negli anni ‘20, ma in realtà vivacemente multiculturale, non totalmente europeo, nemmeno geograficamente, e oggi anche affetto dal ritorno di fiamma dell’integralismo islamico.
Alcuni dati colpiscono un comune osservatore, come me: la Turchia ha circa 70 milioni di abitanti (diverrebbe lo stato più popoloso dell'Unione, dopo la Germania), quasi tutti musulmani, mentre gli altri stati dell'UE condividono storicamente una comune matrice cristiana (basta pensare che i musulmani nell’Unione sono oggi 12 milioni in tutto). Questo non sarebbe un problema però, se fossimo sicuri che la Turchia, o almeno il suo governo, condivide i valori dell’Unione Europea. Invece, noi italiani ci ricordiamo bene la vicenda di Ocalan e il problema degli indipendentisti curdi (ma ci sono anche gli armeni, anche se forse meno “visibili” in Europa): ed il rispetto delle minoranze è qualcosa su cui l’Unione Europea non può transigere. Rimane poi un certo attrito con la Grecia per la situazione di Cipro, dove la repubblica del Nord rappresenta uno stato “fantasma”, riconosciuto dalla sola Turchia, esistente dalla guerra del 1974 (l’unica guerra tra due stati membri nella storia della NATO!), e la ricomposizione politica dell'isola sembra lontana, se non impossibile.
Le radici della diffidenza reciproca tra Europa e Turchia sono storiche, ed il libro di Favale risale i secoli per spiegarlo: l'Impero Ottomano, una realtà molto complessa e multiculturale, pur se ben lontana dal moderno concetto di tolleranza, ha avuto spesso nei secoli il ruolo di impedire la formazione della cultura europea come la conosciamo oggi. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, alcuni stati europei hanno guardato con interesse, commerciale e politico, al disfacimento dell’Impero Ottomano. Anche l’Italia ne approfittò per prendersi la Libia e per avere il diritto di sfruttamento dei pozzi petroliferi in una parte dell’Anatolia, nonché l’amministrazione di dodici isole nell’Egeo, il Dodecanneso. (Tra parentesi, anche oggi l’Italia avrebbe un interesse commerciale ad avere la Turchia in Europa).
La situazione parve infine stabilizzarsi, dopo la fine dell’Impero nel 1922, sotto il governo paternalistico di Mustafa Kemal, detto non a caso Ataturk (padre dei Turchi) e non a caso convinto ammiratore del nostro Mussolini. La politica di Kemal era semplice ed efficace, e sicuramente ha avvicinato la Turchia all’Europa, per esempio in termini di diritti delle donne, anche se è difficile paragonare nel complesso lo stato kemaliano ad una moderna democrazia rappresentativa. Il prezzo pagato per l’europeizzazione è stata la rimozione forzata ed a volte violenta delle minoranze etniche e religiose, e l’imposizione di uno stato laico, i cui abitanti dovevano parlare il turco moderno, con alfabeto modellato su quello latino ed emendato dalle influenze arabo-persiane.
Kemal ha anche ridato orgoglio nazionalistico al suo paese ed ha forgiato una classe militare, capace in casi di sbandamento dello Stato di prendere il potere e di evitare danni peggiori per il paese. Non pensate a quegli eserciti latino-americani, portatori d’interessi economici, di solito statunitensi, ed assetati di potere: l’esercito turco tende ovviamente a difendere i suoi privilegi, ma è stato anche capace storicamente di aperture europeiste e quasi democratiche che sorprendono in una casta militare. Bene, quindi? Non del tutto: la pratica della tortura è ancora cosa comune in Turchia, anche se forse meno negli ultimi anni, e la pena di morte viene ora commutata in pene detentive, ma ufficialmente non è stata ancora abrogata, e questo è un altro punto di contrasto con l’Unione Europea. Recentemente si è anche discusso se eliminare il reato d’adulterio dal codice penale turco, ma capirete che, nei confronti della morte e della tortura, sembra un po’ una questione quasi “frivola”. Tuttavia, in vista dell’adeguamento alla legislazione europea, questo è un altro problema (anche perché, come di solito avviene in questi casi, il sesso dell’adultero è tutt’altro che ininfluente sulla pena, e quindi si apre il discorso delle pari opportunità).
Vedete insomma quante indicazioni di segno opposto, nella situazione turca. Il maggior merito del libro di Gilberto Favale è di cercare con pazienza di far orientare il lettore nel dedalo di aspri contrasti e contraddizioni, che fanno sì che l’ipotesi di una Turchia in Europa abbia un suo fascino, ma diciamolo metta anche un po’ di paura. Trovo poi apprezzabile che l’autore, pur scrivendo con stile semplice e concreto, non cerchi di semplificare a tutti i costi un problema che semplice non è.
Certo si sarebbe potuto, con un po' di retorica sull'inevitabile successo del processo di unificazione europea, fingere di esser sicuri che prima o poi la Turchia farà il suo ingresso trionfale nell'Unione, correggendo un po' la rotta di governo e diminuendo il tasso d'inflazione... Invece, questo bel saggio è non solo ben documentato e profondo, ma anche onesto, in modo quasi disarmante. L'autore ha delle perplessità sul possibile allargamento alla Turchia dell'UE, e cerca di giustificarle coi fatti.
Valéry Giscard d'Estaing, sicuramente uno dei politici più esperti nella storia dell'Unione Europea, parla di possibile fine dell'UE se la Turchia dovesse entrarvi: qui si trovano mille motivi per dar ragione all'ex-presidente francese, ma si riesce anche indirettamente ad inoculare una flebile speranza, perché si chiarisce con molta efficacia che cosa la Turchia è chiamata a fare per entrare in Europa. Se la Turchia riuscirà nel compito, nessuno può onestamente saperlo: esporre e chiarire i problemi sul tappeto è tutto ciò che uno storico della politica può fare (e non è poco!), meglio ancora se in un'esposizione serrata ed efficace, come questo saggio.


Una recensione di Carlo Santulli



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