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La scala dei ricordi
di Gordiano Lupi
Pubblicato su PBSI2008


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Una vecchia storia mi viene alla mente quasi ogni notte.
Forse perché sono vecchio e non mi è rimasto molto da vivere. Forse perché sono solo in questa casa sul mare.
E può sembrare una favola questo ricordo.
Può sembrare un sogno di un vecchio pazzo.
Ma non lo è. Vi giuro che non lo è.
E’ una storia di tanto tempo fa, quando poco più che trentenne mi ero trovato a fare il rappresentante di prodotti industriali. Guadagnavo bene, ma i miei viaggi per la penisola mi tenevano fuori di casa anche per settimane. Forse per questo non avevo mai pensato a farmi una famiglia e conducevo un’esistenza priva di obblighi e di ritorni. Il viaggio e la scoperta erano i miei motivi di vita e il lavoro soltanto una scusa per fare ciò che volevo.
Non avevo da rendere conto a nessuno e il denaro non mi mancava.
E poi ero un ragazzo interessante dalla pelle abbronzata e gli occhi verdi, che sapeva di piacere alle donne e se una sera la trascorrevo da solo era perché lo volevo. Ma non è la storia delle mie avventure che mi torna alla memoria. Quelle sono state solo cose passeggere e non hanno lasciato traccia nella mia vita.
Il mio incubo ricorrente è il ricordo d’un viaggio in Calabria e una notte di pioggia per strade strette e tortuose, tra scogliere affacciate sul mare e onde che salgono per parapetti malfermi.
Mi trovavo a passare per Paola e cercavo un albergo, mentre il vento accompagnava furioso la corsa dell’auto e la pioggia batteva violenta sul parabrezza. Non vedevo niente, o quasi.
Cercavo soltanto un posto dove passare quanto prima la notte.
A un tratto vidi un cartello fuori da una casa con la scritta “Affittacamere” e mi fermai. Non era certo un gran posto.
La facciata cadente avrebbe avuto bisogno d’una buona mano di intonaco e un terrazzino pericolante si affacciava sul mare.
La casa si trovava quasi a picco su di una scogliera e il salmastro se la stava divorando lentamente. Pensai distrattamente che i padroni avrebbero anche potuto sistemarla, dopo tutto la vista si apriva davanti a uno scenario magnifico. Suonai alla porta e mi venne ad aprire una vecchia che indossava una vestaglia sotto la quale si intravedeva una camicia da notte. Mi accolse premurosa e mi condusse in un salone centrale arredato in stile anni cinquanta, molto trascurato: un divano verde, due poltroncine laterali dello stesso colore e un tavolino da fumo. Alle pareti quadri raffiguranti una natura morta e paesaggi marini.
Dovevano essere anni che nessuno metteva mano a un restauro e a un ammodernamento della casa, sia negli esterni che negli interni.
Mi registrò in un librone che a me parve grande e polveroso, poi mi condusse alla camera che mi aveva assegnato.
C’era molta scelta senza dubbio, perché ero il solo cliente di quel singolare albergo sul mare. Ma lei mi portò in una stanza precisa, al piano terreno, come se fosse stata l’unica libera .
Si congedò da me dandomi la buona notte ed ebbi appena il tempo di vederla imboccare la scala centrale che portava al piano superiore. Intravidi i suoi capelli bianchi e la vestaglia sparire rapidamente, poi la luce si spense e io entrai in camera.
Come mi aspettavo anche qui tutto era molto essenziale e sapeva d’antico. Il letto con una coperta marrone, i comò laterali provvisti di gambe sottili, una specchiera sopra una cassapanca in legno, due tappetini polverosi con disegni finto stile orientale…Tutto faceva respirare un’aria antica, come se per la padrona il tempo si fosse fermato a quarant’anni prima.
Mi addormentai con questo pensiero e mi tuffai in un sogno popolato da splendide ragazze che danzavano ritmi latini su di una spiaggia tropicale. Nel bel mezzo della notte una musica che veniva dal piano superiore mi svegliò. Era una canzone d’altri tempi, un tango argentino. Caminito, mi pare di ricordare, ma non potrei giurarci. Ed era una voce di ragazza che la cantava. Mi alzai e uscii dalla camera rapidamente.
Sulla destra c’era la scala che aveva percorso la vecchia.
Alzai lo sguardo e al piano superiore vidi una ragazza che cantava. Era giovane e bella, aveva capelli nerissimi e carnagione scura. Indossava un vestito da sera elegante, ma fuori moda. La gonna era ampia e sostenuta da stecche, come quelle che si usavano nei balli della buona società negli anni cinquanta.
“Sarà la nipote… - mi dissi ancora assonnato - certo che strano mettersi a cantare a quest’ora della notte e poi così conciata…”
La chiamai. Provai a chiederle chi fosse. Lei non rispondeva, ma sorrideva. Ed era bella quando lo faceva.
Non ho mai resistito in vita mia al sorriso di una donna e non lo feci neppure quella volta. Salii rapidamente le scale, ansioso di parlare con lei e di conoscerla.
Quando arrivai al piano superiore mi sentivo stanco, affaticato.
Eppure avevo solo fatto una rampa di scale. La ragazza era davanti a me. Alzai una mano ad accarezzarle i capelli. Sorrise, di nuovo.
Poi mi indicò lo specchio che era proprio al nostro lato.
Mi voltai seguendo il suo dito proteso e avvolto in bianchissimi guanti da sera.
Lo specchio. Mai uno specchio mi aveva fatto inorridire tanto.
Ero io quello nello specchio. Un me stesso invecchiato di quarant’anni. Come sono adesso, maledizione. Ecco perché ricordo ogni notte quella scena e non sono capace di scacciarla dalla mia mente. Cominciai a balbettare e a sudare freddo. Volevo fuggire, scendere quella scala e scappare via lontano. Ero terrorizzato e immobile sulle gambe. Stanco, distrutto.
Lei sorrise di nuovo e mi disse delle strane parole.
“Vieni, questa storia non ti appartiene. Tu puoi uscirne quando vuoi”. Mi prese per mano e mi aiutò a scendere la scala.
Passo dopo passo sentivo le forze che rientravano nel mio corpo. Stavo meglio e non avevo più le gambe pesanti. La paura mi stava abbandonando e un nuovo vigore affluiva nel sangue.
Lei stringeva la mia mano, rassicurante.
Alla fine della scala ebbi l’impulso di abbracciarla. La strinsi forte a me e le chiesi cosa fosse accaduto. Ero ancora sconvolto.
Mi guardò con meraviglia. Si staccò dal mio abbraccio e disse:
“Caro il mio sonnambulo, ha proprio fatto un brutto sogno. Venga con me che la riporto a letto”.
Era la vecchia. La padrona della casa. Com’era possibile se pochi minuti prima mi trovavo tra le braccia una splendida ragazza?
“Ma lo specchio…la ragazza…la scala…”, balbettai.
“Vada a dormire che domani deve lavorare”, mi disse, con dolcezza quasi materna, aprendo la porta della camera.
Sì, probabilmente avevo sognato tutto.
La vecchia sorrise e mi lasciò di nuovo solo.
Quando stavo per tornarmene a letto sentii ancora quella musica argentina dalla scala. Uscii di corsa e feci in tempo a vederla.
Stava salendo gli ultimi gradini e i capelli bianchi mutavano colore. La vestaglia diveniva un abito da sera. I guanti calzavano le sue mani delicate. E cantava. Sì, cantava…
“Caminito, compagnero de mi vida…”
Una musica da tango d’altri tempi si diffondeva per l’aria.
Lo specchio laterale rifletteva un volto di ragazza dagli occhi tristi.
E io non stavo sognando, sono sicuro.
Perché non è stato un maledetto sogno.
Anche se me ne tornai a letto e il giorno dopo pagai il conto della notte scappando da quel posto e giurando che non avrei più messo piede da quelle parti.
E allora come mai adesso sono qui da solo e osservo questa scogliera battuta dai venti? Sono passati tanti anni e mi trovo ancora prigioniero di quel sogno. Salgo e scendo la scala dei miei ricordi e c’è sempre lei al piano superiore. La vedo nelle notti di tempesta della mia casa di mare. La cerco nelle sere di solitudine sul mio panorama di scogliere. Lei mi sorride silenziosa e mi dice con gli occhi che adesso sono costretto a viverla questa storia. Perché è parte della mia vita. Per sempre.

© Gordiano Lupi





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