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Guarda che luna
di Massimo Burioni
Pubblicato su PB18


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- Sbrigati, mettiti il giubbotto di jeans, che di sera rinfresca, e vieni con me.
- Dove andiamo?
- Ti porto in un posto… è una sorpresa.
- E dai, dimmi dove, sennò non vengo.
- Valà che vieni lo stesso, ti conosco fratellino, non vedevi l'ora di uscire con me, e questa sera ti lascio venire. Vedrai, ti piacerà.
Il maggiore allungò una pacca bonaria sulle spalle strette e magre del fratello più giovane, aprì la porta di casa e si avviò verso l'utilitaria parcheggiata a bordo strada. Il minore staccò il giubbotto dall'attaccapanni dietro la porta e lo seguì trafelato e un po' sorpreso da quell'invito inatteso.
- Hai compiuto 16 anni ed è ora che tu cominci a fare un po' di vita notturna.
- Ma io faccio già vita notturna, vado a letto a mezzanotte quasi tutte le sere.
- Quello non conta, bischero! Fare vita notturna significa uscire di casa a divertirsi con gli amici, fare bisboccia, e questa sera ho deciso che è arrivato il momento di svezzarti.
La macchina con a bordo i due fratelli scendeva lungo i tornanti cha si srotolavano sul fianco della montagna come spire di serpente. Il maggiore aveva solo vent'anni, ma guidava con la sicurezza di un pilota da rally, perché in pratica guidava da quando di anni ne aveva dodici o tredici, e conosceva quel tratto di strada come le sue tasche. La mano sinistra arpionata al volante e la destra a muovere con delicata fermezza la leva del cambio, assecondano i desideri della macchina, come fosse una bella ragazza. E di ragazze lui se ne intendeva. Nonostante l'ancora giovanissima età, il fratellone era un vero playboy. Fisico atletico, ma non troppo muscoloso, spalle larghe sulle quali cadevano onde di capelli neri sempre ben curati che incorniciavano un bel viso regolare, ma dai tratti forti e marcati. Chi non lo conosceva lo faceva più maturo, e questo aspetto da uomo fatto gli dava un certo vantaggio sui coetanei nella caccia alle giovani turiste che in estate affollavano il paese di montagna dove abitavano.
Seduto sul sedile del passeggero, il braccio destro fuori dal finestrino ad assaggiare la dolcezza dell'aria di giugno, il minore osservava i boschi scorrere ai lati della provinciale e pensava a quale poteva essere la loro meta. L'ultima volta che avevano percorso quella strada insieme era stato a settembre dell'anno precedente. Il fratellone lo aveva accompagnato a dare un esame di riparazione per essere ammesso al terzo anno delle superiori. Durante quel viaggio di andata si sentiva nervoso ed aveva paura di non avere studiato abbastanza, mentre ora se ne stava seduto tranquillo e pensava solamente a godersi la discesa verso valle in compagnia del suo idolo e cercava di indovinare lo scopo di quella gita a due. Poi un pensiero fastidioso come una minaccia fece capolino nella sua mente di sbarbatello e, curva dopo curva, l'inquietudine crescente lo spinse ad interrompere il silenzio che durava da quando erano entrati in macchina.
- Non mi porterai mica a puttane, eh?
- Macché puttane d'Egitto! Ci mancherebbe altro, sappi che io non ho mai dovuto pagare per andare a letto con una donna, e mai pagherò. E neanche il mio fratellino dovrà pagare, quando verrà il momento. Ma che ne sai tu di puttane?
- Io niente… no, era solo che… io con una puttana con ci voglio andare, ecco. Tutto qui – replicò arrossendo all'istante.
- Non ti preoccupare, non ti porto a donne. Si va a un concerto!
- Un concerto? E di chi?
- Vasco Rossi, sorpreso, eh?
- Vasco Rossi? E chi è?!
- Un cantante nuovo, non molto conosciuto, ma fa ottima musica. Vedrai, ti piacerà.
- E dov'è che suona?
- Al Borgo, alla Festa dell'Unità.
- Ah…, se suona alla Festa dell'Unità m'immagino il livello. Già il nome è da nullo, il signor Rossi, il signor Tal dei tali…, ma gliel'hai detto ai nostri?
- Tutto a posto con i vecchi, bischero, gli ho detto che andavamo al cinema.

Le due sorelle non erano nuove alle spedizioni notturne, ma quella sera era una sera speciale; iniziava l'estate, e c'era nell'aria quell'odore di erba tagliata che metteva buonumore e appetito. Da quando la mamma le aveva lasciate al loro destino le due sorelle non se l'erano cavata male. In fondo, negli ultimi tempi, prima di sparire chissà dove, la mamma gli aveva insegnato tutto quello che bisognava sapere per procurarsi di che vivere senza rischiare troppo. E loro si erano dimostrate ottime allieve. Avevano imparato così in fretta che la loro mamma aveva ritenuto concluso con successo il suo dovere di educatrice, e senza dire ne' ai ne' bai, una bella mattina di maggio non si era fatta trovare al suo posto.
Le due sorelle avevano aspettato per ore il suo ritorno, e in un primo momento avevano pensato ad uno scherzo. Poi con il passare delle ore avevano capito che non l'avrebbero più rivista. Ci rimasero male, e per un paio di giorni non seppero bene come organizzarsi. Poi si ricordarono delle lezioni ricevute e si dettero da fare per metterle in pratica. All'inizio non fu facile, anche perché il senso di vuoto lasciato dalla mamma le distraeva dai loro doveri, ma dopo pochi giorni il dolore per la sua scomparsa lasciò il posto alla consapevolezza di potersela cavare anche senza di lei, e la depressione da abbandono fu cancellata dall'euforia dell'improvvisa libertà.

Man mano che scendevano verso valle i cerri ed i carpini si sostituirono ai faggi ai lati della strada, e l'aria che entrava dai finestrini aperti diventava sempre più calda. I due fratelli si rifecero silenziosi. Mentre la strada scorreva a qualche decina di centimetri dai loro sederi sudati, il fratello più giovane guardava l'altro di tanto in tanto, per studiarlo ed eventualmente imitarne le espressioni e gli atteggiamenti per sembrare più maturo. Adesso il maggiore guidava con un sorriso di soddisfazione stampato in faccia. Gli occhi socchiusi in risposta agli ultimi raggi di sole della giornata che ancora filtravano da sopra la linea frastagliata dell'orizzonte appenninico, e la barba non rasata da un paio di giorni, lo facevano assomigliare a quei duri che si vedevano nei film di avventura; sembrava un pirata o un corsaro al timone della sua nave. "Se alle ragazze piacciono i tipi come lui, con quell'aria poco raccomandabile, io, con la facciotta da bravo ragazzo e gli occhi da lemure spaurito che mi ritrovo dovrò rassegnarmi alla masturbazione perpetua", pensò con un sospiro che durò il tempo di due curve. Poi la riflessione fu interrotta dal suo olfatto che reclamò attenzione.
- Cos'è sta puzza? Puah, terribile! – disse il sedicenne facendo una smorfia di disgusto.
- Uhm, hai ragione, che schifo! Viene da fuori, devono essere quegli allevamenti di polli lassù. Sarà meglio chiudere i finestrini per un po' – replicò il grande senza distogliere lo sguardo dalla strada.
Fecero salire in fretta i vetri, ma diverse centinaia di metri dopo la puzza invece di svanire sembrò aumentare d'intensità. Il fratellino strabuzzò gli occhi e si girò verso il pilota, che a stento riusciva a trattenere una risata impellente.
- Sei stato tu, bastardo! Hai mollato una puzza, bastardissimo! Che schifo, apri! Apri! – urlò arrabbiato più con se stesso che con il fratello per essere caduto in quel tranello idiota. Riabbassarono i finestrini e l'aria tiepida di fine giornata vorticò di nuovo nell'abitacolo, disperdendo in pochi secondi i residui mefitici della flatulenza.
- Potente, eh? – disse il produttore del gas, senza nascondere un certo compiacimento per la riuscita dello scherzo.
- Pensa a guidare va, che è meglio – rispose il minore offeso, fingendo un'indignazione che durò lo spazio di un momento, prima di crollare sotto la pressione di un'ilarità che li fece ridere di gusto per un po'. Poi un silenzio leggero tornò ad occupare lo spazio intorno ai due ragazzi.

La notte aveva avvolto con il suo fresco velo i boschi ed i prati già da qualche ora quando una luna enorme si alzò ad est iniziando ad illuminare con discrezione la metà del pianeta opposta al sole. Lunghe ombre si formavano ai piedi degli alberi in mezzo ai campi umidi di guazza dove i contadini avevano da poco raccolto il fieno. Alle due sorelle era sempre piaciuta la luna, perché permetteva loro di muoversi più velocemente, ed allo stesso tempo rendeva più visibili i possibili pericoli sulla loro strada durante le scorribande notturne. Le mete preferite dei loro raids notturni erano i poderi di cui era disseminata la vallata. Posti tranquilli, lontani dai paesi, e ben forniti di piccoli animali facili da rubare e trasportare, come galline, conigli, anatre e di tante altre cose buone da mangiare.
I contadini andavano a letto presto, stanchi per il lavoro giornaliero nei campi e dormivano pesantemente. Così loro avevano spesso vita facile, e anche se facevano un po' di rumore raramente svegliavano la gente delle fattorie. Comunque, anche se si svegliavano, magari perché uno di quegli stupidi cani da caccia legati alla catena si metteva ad abbaiare, loro avevano tutto il tempo di scappare e dileguarsi nei boschi con la refurtiva molto prima che l'assonnato padrone di casa potesse uscire sulla soglia in braghe e ciabatte imbracciando la doppietta carica pronta a sparare. Oddio, il rischio di essere beccate esisteva sempre, e loro ne erano ben consapevoli, ma erano sempre riuscite a farla franca, finora, e si erano potute godere in pace i frutti delle loro spedizioni.

Il concerto era stato bello e loro si erano goduti lo spettacolo seduti sopra un muretto che offriva un'ottima visuale del palco. Il gruppo ci aveva dato dentro con energia per più di un'ora con batteria e chitarra elettrica a dominare la scena, ma anche il cantante, quel Vasco Rossi, nonostante barcollasse sul palco e strascicasse le parole delle canzoni come un ubriaco, non se l'era cavata male. Ad un certo punto del concerto, sul muretto vicino ai due fratelli si erano sistemati degli strani tipi con capelli lunghi e giubbotti neri di pelle, che avevano cominciato a fabbricare e fumare buffe sigarette che emanavano un gradevole odore dolciastro. Il fratellino pensò che quei ragazzi fossero fumatori alle prime armi, perché la forma sgraziata, a zampa di elefante, delle loro sigarette non assomigliava neanche da lontano a quelle perfette che vedeva uscire dalle abili mani callose ed esperte dei pochi vecchi del paese che ancora usavano tabacco sfuso e cartine. Inoltre notò che quei ragazzi tiravano a turno dalla stessa sigaretta. Ne arrotolavano una per volta, poi le sigarette passavano di mano in mano e venivano gentilmente offerte anche a loro due, che però rifiutavano altrettanto gentilmente.
- Grazie, ma ancora non mi va di fumare – diceva il minore, calcando su ancora, per sembrare più smaliziato e lasciare ad intendere che però non escludeva la possibilità di farlo più tardi.
- Grazie, ho le mie – diceva il maggiore, e tirava fuori dal taschino della camicia le sue MS morbide.
Alla fine del concerto i due fratelli e le poche centinaia di spettatori si dispersero chiacchierando tra gli ultimi stand gastronomici ancora aperti all'interno del parco dove si svolgeva la Festa dell'Unità. I capelloni in giubbotto nero rimasero sul posto, alcuni si erano sdraiati per terra, gli occhi fissi al cielo che non si vedeva, altri sembravano addormentati con le spalle appoggiate al muretto, uno solo si muoveva in cerchio come un danzatore derviscio ubriaco cantando a mezza voce il ritornello dell'ultima canzone del concerto:
- Siamo solo nooooiiiii…che andiamo letto la mattina presto, e ci svegliamo con il mal di testa… siamo solo nooooiiiii…".

I due ragazzi calmarono i morsi della fame con una piadina al prosciutto e una birra, che mangiarono in piedi sotto una fila di bandiere rosse che si annoiavano mosce nell'aria ferma, calda e umida della piana.
- Allora, piaciuto il concerto? – chiese il maggiore.
- Uhm, abbastanza, anche se a me la musica italiana non piace molto…
- Ehi, non fare il sostenuto con me, fratellino. Ti porto al tuo primo concerto e tu "...uhm abbastanza, ma sai a me la musica italiana non piace…", che ti aspettavi, i Led Zeppelin?
- No, volevo dire che mi è piaciuto, una discreta grinta e qualche buon pezzo rockeggiante, ma lui, Vasco Rossi, non mi è sembrato niente di eccezionale. Sembrava ubriaco già all'inizio del concerto, mi sa che non dura molto.
- Per me non è che sembrava e basta, era sicuramente ubriaco, o fatto, come i tipi che si facevano le canne vicino a noi. Hai visto com'erano messi alla fine del concerto?
- Ho visto, ho visto…, ma cos'è che fumavano? Quelle sigarette facevano uno strano odore.
- Droga! Hashish, roba che è meglio lasciar perdere, perché ti fa diventare come uno zombi.
- Già, me ne sono accorto. Comunque, grazie di avermi portato con te.
- Va bene, va bene. Adesso andiamo che si è fatto tardi.
La strada del ritorno sembra sempre diversa da quella dell'andata, più amichevole, più familiare, forse per il fatto che si sa bene dove conduce. Inoltre, si ha la sensazione che guidare in salita sia meno pericoloso che guidare in discesa, perché il controllo della macchina è più facile; basta togliere il gas e la velocità si riduce senza frenare, questo dà sicurezza e si guida più rilassati. Alla svolta di un largo tornante la luna fece la sua apparizione già abbastanza alta sopra la linea dei monti. Il minore rimase stregato per pochi attimi da quell'apparizione.
- Guarda che luna! – disse rompendo il silenzio che durava da un po'.
- Guarda che lunaaaa… guarda che mareee…io questa notte, senza te potrei morireee…- si mise a cantare il maggiore sulle note di una vecchia canzone romantica di altri tempi.
- Guarda che scemooo… guarda che idiotaaa… - gli fece eco il fratello.
Gli sguardi dei due ragazzi si incrociarono per un attimo, nei rispettivi occhi videro brillare la complicità e la gioia di essere fratelli, poi si misero a ridere di gusto.
In quel momento sentirono sotto le ruote l'impatto con qualcosa di duro, la macchina sobbalzò, poi la frenata fece stridere le gomme sull'asfalto ancora tiepido ed il fratellino andò a sbattere la fronte sul parabrezza procurandosi un bozzo, ma niente di più.
Scesero a vedere cos'era successo e videro che dietro di loro, in mezzo alla strada, giaceva il corpo sanguinante di una bella volpe stritolato dalle ruote della loro macchina. Si avvicinarono con inutile cautela per sincerarsi che l'animale fosse morto. Non c'era dubbio, più morto di così non si poteva. La lingua era scivolata fuori tra i denti aguzzi e dalla bocca usciva lentamente un rivolo di sangue che chiazzava l’asfalto intorno alla testa. I due fratelli si guardarono di nuovo negli occhi, ma stavolta ci videro solo tristezza e dolore per avere provocato la morte di un così bell'animale. Dopo poco si riscossero, il maggiore si fece coraggio, prese la volpe per la coda e la sollevò con altrettanto inutile delicatezza per portarla verso il bordo della strada ed evitarle l’oltraggio di altre arrotate. Lasciò cadere il corpo nell’erba alta che si piegò pietosamente per accogliere il povero animale morto ed offrirgli il suo ultimo rifugio.
- Che fai, piangi per la volpe? – disse il maggiore quando sentì il fratello tirare su col naso.
- Si… cioè, no…, è che ho battuto la fronte e… - replicò poco convincente toccandosi il bozzo.
- Va bene, va bene…, dai che poi ti passa, sono cose che succedono, purtroppo – e si asciugò di nascosto la lacrima che non volle saperne di restare dentro l'occhio.

L’auto ripartì e quando le luci dei fari sparirono dietro la curva ed il rumore del motore divenne un ronzìo quasi impercettibile, la volpe uscì dal boschetto e si avvicinò cautamente alla strada. Annusava il terreno, si fermava, annusava l’aria e ripartiva, girando nervosamente la testa e muovendo le orecchie alla ricerca di rumori dai quali fuggire. Niente, solo i grilli riempivano l’aria con i loro monotoni e ripetitivi richiami d’amore. L’animale riprese coraggio, avanzò ancora fino al centro della strada, poi indugiò sopra la chiazza di sangue lasciata dalla sorella sull’asfalto. Annusò a lungo, poi, seguendo la scia di sangue e di odore familiare sulla carreggiata arrivò fino al corpo inerte nascosto dall’erba. Era ancora caldo. La volpe si accoccolò di fianco alla sorella che non c'era più. Prima di addormentarsi, forse, pianse.

© Massimo Burioni





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