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La tredicesima volta
di Mirko Tondi
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Tra poco sarò morto, di nuovo. Oggi, per l'esattezza, sarà la mia 13a volta. Sono morto a causa della tubercolosi, di un cancro ai polmoni o della vecchiaia. Sono stato ucciso da una coltellata, da un colpo di pistola o da una ghigliottina. Ho visto guerre, rivoluzioni, epidemie e pene capitali. Sono stato francese, inglese, italiano, giapponese e americano.

   Difficile spiegare chi o cosa sia. Posso solo dirvi che ci sono gli esseri umani, poi ci sono gli angeli, e infine ci siamo noi, creature di mezzo, straordinarie quanto invisibili. Viviamo tra la gente, ma nessuno sa chi siamo. Nessuno, tranne quelli come noi. Viviamo per cambiare il mondo, viviamo per migliorarlo. Ogni generazione deve avere il suo Gandhi, il suo Martin Luther King o la sua Madre Teresa. Senza di noi il mondo sarebbe ancora oppresso dalle pesti, dall'inquisizione o dal nazismo. Noi siamo coloro che hanno proposto idee innovative e poi le hanno fatte accettare, siamo coloro che hanno debellato gravi malattie, siamo coloro che hanno intavolato trattative di pace.

   Purtroppo, ci sono anche coloro che hanno perso il primario obiettivo: quello, appunto, di agire secondo il bene comune. In origine erano come noi, ma poi hanno smarrito la strada, sopraffatti dall'egoismo e dall'ambizione incondizionata. La ricerca della gloria personale e del potere li ha resi cechi, così le loro anime li hanno abbandonati, rendendoli malvagi. Noi dobbiamo fronteggiarli, anche se talvolta la loro potenza è devastante, così devastante che può spazzare via ciò che abbiamo costruito in molti anni. Pensate a fatti storici e ritroverete molti di quei personaggi.

   Non so se ritenermi fortunato per tutto ciò che ho vissuto, so soltanto che adesso non voglio più continuare. Ho deciso di smetterla con tutto questo, sono davvero stanco. Pensate di dover abbandonare familiari cari o che loro abbandonino voi. Adesso moltiplicate quel dolore per 13 vite. E poi ci sono tutte le atrocità del mondo, che io non intendo ancora vedere con gli occhi di qualcun altro. Ne ho abbastanza, credo sia giusto lasciare la scena. Stavolta, però, sarò io a decidere come e quando morire. Non so cosa mi aspetti, ma sono sicuro che il mio atto comporterà amare conseguenze. Probabilmente, sarò confinato insieme alle creature senz'anima in un luogo di dannazione infinita, e non potrò più vedere il mio Dio. Immagino che non esista indulgenza né perdono verso chi, come noi, ha avuto la possibilità di vivere più vite, ma non l'ha voluta.

   Devo trovare soltanto il modo giusto per farlo, è questo che mi spaventa. Non voglio spararmi né impiccarmi. Allo stesso modo, non voglio buttarmi giù da un grattacielo o sotto a un treno. Non ho abbastanza coraggio per fare cose di questo tipo. Credo che la maniera più dolce e indolore per andarsene, sia quella di ingerire qualche sostanza di morte. Non dovrebbe essere difficile trovarne, sarà più difficile trovare la forza di mandarle giù. Comunque, devo ammettere che il solo pensiero di non rinascere in un altro corpo mi fa stare meglio. È l'ora di agire secondo la mia volontà.

 

   Vado in strada e mi incammino verso la zona più malfamata della città. Se Dio sa a cosa sto pensando, forse mi fermerà prima che possa farlo, o forse Dio ha troppo da fare in questo momento. Arrivo in un vicolo semibuio, dove noto un giovane appoggiato al muro, proprio sotto la flebile luce di un lampione. Mi accorgo che sta fumando uno spinello. Ha un aspetto da bravo ragazzo. Per niente trasandato, non mi pare il classico delinquentello che sguazza nei vicoli in cerca di qualcuno da rapinare. Indossa vestiti puliti e ha i capelli a posto. Strana dissonanza vedere uno come lui in un luogo del genere. Mi avvicino senza timore e cerco di andare dritto al sodo. Calandomi nel linguaggio giovanile, gli chiedo dove posso trovare qualcosa per sballarsi un po'.

   Lui mi squadra da capo a piedi e mi risponde con un'altra domanda: «Cosa ci fa uno come te in questo posto lurido?»

   «E tu, cosa ci fai?» controbatto ancora con una domanda. «In fondo, non sembri peggiore di me.»

   «Gli occhi dicono poco. E quelli come te sono così abituati a guardare, supporre, giudicare, che non se ne accorgono nemmeno. Quelli come te dovrebbero starsene nel loro mondo.»

   «Non ne passa mai, di gente per bene, da queste parti?»

   «Ne passa troppa, è questo il punto. Non vi basta mai, quello che avete. E se avete tutto, allora vorreste avere niente. Forse siamo tutti uguali, figli dello stesso male: l'insoddisfazione.»

   Sono persuaso dal suo modo di parlare. Usa un tono molto basso, sforzato, quasi un sussurro. Lo fisso mentre fuma, poi gli chiedo se ha della roba per me. Lui scuote la testa. Allora insisto perché mi indichi come trovare qualcuno che mi venda quello che cerco. «Io non voglio la solita dose per ravvivare le mie serate noiose», gli preciso.

   «Credo di aver capito di cosa hai bisogno. Tu vuoi un pass per l'aldilà», ribatte il ragazzo, con l'espressione più sicura che mi sia mai capitata di fronte agl'occhi. Alla fine mi mostra una catapecchia all'incrocio delle due strade, dicendomi che lì posso trovare Jimmy, il rifornitore di tutto il quartiere. Qualcuno lo chiama "Il fabbricante del sonno eterno". È quello che cercavo. Sono nel posto giusto.

   Imbocco la strada che mi condurrà alla morte, la morte senza ritorno. Busso ad una porta di legno marcio, che si sgretola al solo tocco. La porta si apre immediatamente, come se Jimmy mi stesse aspettando. Ha il volto emaciato e gli occhi infossati, i denti sono radi e i capelli aridi. Jimmy mi fa entrare e accomodare su una poltrona rosicchiata dai topi. Senza che io dica niente, prende un sacco e comincia a tirare fuori droghe di ogni tipo.

   «Cocaina, eroina, mescalina, benzedrina, crack, qui c'è tutto quello che vuoi», dice lui, soddisfatto.

   «Io, io non saprei... non sono uno che ne fa uso abitualmente.»

   «Lo so», dice Jimmy.

   È chiaro, riconosce a prima vista uno che si fa, da uno che vorrebbe farsi. Ma Jimmy non sa che a me serve un'unica grande dose per un unico grande viaggio. «Mi serve qualcosa di forte, estremamente forte, non so se capisci», gli dico con voce sommessa.

   «Certo, capisco cosa intendi. Siete in molti voi che passate a miglior vita con una semplice dose di veleno. La paura e la sofferenza vengono azzerate, ci si addormenta lentamente in un piacevole sonno, si vedono immagini di vita e di morte, nuovi colori e nuove figure.»

   Descrive il momento come se anch'egli fosse già morto. E poi è riuscito ad intuire subito ciò che volevo. Non so davanti a chi mi trovi, ma rimango sbigottito per il fascino che riesce ad esercitare nei miei confronti.

   «Vi affidate a me perché le vostre vite ormai non valgono più niente, vi affidate a me perché avete il timore che il vostro intruglio di tranquillanti e alcol non sia efficace, vi affidate a me perché non avete abbastanza coraggio per fare altro. Vi affidate a me, certo, e fate bene, perché nessuno meglio di me conosce ciò che state cercando.»

   Si assenta un attimo e lo vedo tornare con un astuccio rigido, di forma rettangolare. Lo custodisce tra le mani, come qualcosa di prezioso.

   «Qui dentro c'è la verità, qui dentro c'è il sollievo senza principio né fine, qui dentro c'è la chiave per l'altro mondo. La morte è solo il passo che precede la salvezza dell'anima.»

   Apre l'astuccio e all'interno ci sono cinque fialette contenenti un liquido trasparente. Me ne consegna una e mi dice che dovrò berla, quindi mi fa cenno di andare. Tiro fuori dalla giacca una mazzetta di soldi fasciati da un elastico e la poso sul tavolo. «Non so quanto è il prezzo da pagare, ma questo è tutto quello che ho. Non mi servono più, i soldi.»

   Jimmy afferra i soldi, li sfoglia, li annusa e mi chiede: «Dunque questo è il prezzo che dai alla tua vita, Mark?»

   Sono attonito, lui conosce il mio nome. «Come fai a sapere come mi chiamo?»

   «Non sei forse famoso? Ti avrò visto in televisione.» 

   È vero, sono un volto noto, ma mi stupisco di essere conosciuto anche tra i derelitti. E poi mi guardo intorno e non vedo televisori nella stanza.

   «Verrà il momento in cui ti accorgerai di aver già pagato abbastanza», dice Jimmy gettandomi il fascio di soldi addosso. Mi indica la porta: «Adesso puoi andare.»

   Vado via, pensando a ciò che Jimmy intendesse dire, ma non trovo spiegazioni. Quando sono a casa, poggio la mazzetta di soldi sul comodino. Magari mi serviranno dall'altra parte. Mi siedo sul letto, penso alle mie tredici vite, immagini che mi accompagnano in questi ultimi momenti prima del passo definitivo. Inevitabilmente, Jimmy e le sue parole si incuneano tra ogni mio pensiero. Sono proprio le sue parole che mi fanno trovare il coraggio. Prendo la fialetta e la apro. Un ultimo attimo di esitazione. Migliaia di facce e luoghi mi ritornano in mente. Dopodiché, finalmente, bevo. Mi distendo e chiudo gli occhi. Provo un piacevole sollievo e pian piano sento di addormentarmi. Vedo la vita e la morte, i colori e le figure che non avevo mai visto. Jimmy aveva ragione. Sono folgoranti, intense, estasianti. D'improvviso cessa tutto, e debolmente mi spengo.

 

   Apro gli occhi, non sono morto. Jimmy mi ha fregato. La prima cosa che vedo è la mazzetta di soldi appoggiata sul comodino. Poi, osservando la stanza e girandomi intorno, mi rendo conto che non è la stessa abitazione in cui ho trascorso la mia tredicesima vita. Mi alzo e vado in cerca del bagno. Devo vomitare. Il pavimento è pieno di vetri, dappertutto brillano bottiglie di alcolici frantumate. Entro nel bagno e mi guardo allo specchio, ma vedo un altro. Ho i capelli lunghi, la barba incolta e i denti corrosi. Volgendo gli occhi verso il basso, vedo le unghie sporche delle mie mani tremolanti e un fisico decadente, trasformato dagli eccessi e dal lerciume di una vita neanche più degna di essere chiamata tale. Perché occupo questo corpo? La testa mi scoppia e ritorno in camera. Lì, nella penombra, distinguo una sagoma seduta su una poltrona.

   «Ciao, Mark...»

   È una voce che conosco. Inconfondibile.

   «Scusa... forse dovrei chiamarti Joseph. Questo è il tuo nome, adesso.» L'uomo si alza dalla poltrona e mi viene incontro mostrandomi il suo volto. È Jimmy.

   Lo osservo frastornato. «Non capisco, come posso essere vivo, come posso essere un altro? Tu mi hai dato la fiala...»

   «Io ti ho dato la fiala, e tu mi hai dato la tua vita 32 anni fa. Adesso non ha importanza chi sei, ha importanza solo quello che devi fare.»

   «Io non farò niente per te, questo è certo.»

   «Sì che lo farai. Sarà l'impulso a guidarti. E poi, credimi, nella vita le uniche cose certe sono quelle che non avresti mai immaginato lo fossero. Davi per certa la tua morte e invece eccoti qua.»

   «Mi hai fottuto bene bene, Jimmy», gli dico, agguantato da un inesorabile sconforto.

   «Non chiamarmi così, sai benissimo che non esiste nessun Jimmy.»

   «Allora chi sei? Sei lui in persona?»

   «No, sono solo uno dei suoi tanti emissari. Lui non fa questi sporchi lavoretti.»

   «Voglio incontrarlo. Devo conoscere l'artefice della mia eterna punizione.»

   «Non puoi. Per quanto ne so, nessuno potrebbe averlo mai incontrato, o forse tutti, almeno una volta, potrebbero averlo visto senza saperlo. La verità è che lui non ha nome e non ha sostanza. Compare nell'una o nell'altra forma, come la gente vuole che compaia. Può essere un boia con un'ascia in mano oppure un vecchietto che passeggia per la strada, può essere un rapinatore armato fino ai denti oppure una donna che allatta il suo bambino, può essere un ricco e avido banchiere col suo bicchiere di whiskey oppure un ragazzo che fuma serenamente uno spinello in un vicolo buio. Può essere chiunque e dovunque. Io non posso aiutarti.»

   Un indescrivibile stupore si fa largo tra i miei pallidi ricordi, facendo riaffiorare dettagli quasi cancellati. La luce delle lampade è sempre più fioca. «Mi avete condannato con l'inganno!» gli urlo contro.

   «Ti abbiamo dato solo quello che volevi, e adesso la tua anima ci appartiene. Ora lavori per noi, e il prossimo suicidio è fissato fra tre giorni.»

   Due occhi rossi scompaiono nel buio, spaventosi e ipnotici. Non mi rimane niente. Ed è giusto così, perché avevo tutto e niente ho voluto.

© Mirko Tondi





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