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un paio di scarpe rosse col tacco a spillo
di Pierina Pacucci
Pubblicato su SITO


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Un paio di scarpe rosse con il tacco a spillo

I pensieri liberi,
leggeri come bollicine si susseguivano fendendo l'aria .
il respiro calmo,
pelle opalescente, dove riflessi di luna lampeggiavano
lungo il corpo immobile nella sabbia.
L'onda del mare frangeva i suoi piedi arricciandosi in una bianca schiuma.
Le voci lontane
non disturbavano confondendosi con il verso dei gabbiani.
Il profumo di salsedine entrava prepotentemente nei suoi polmoni senza
risvegliarla dal torpore.
Le mani a palmo aperto, accarezzavano la sabbia ancora calda in modo sensuale.
Le immagini;
un sorriso, una camicia azzurra, il profumo di tabacco.
Sorrideva alle stelle che la contraccambiavano.
Nella coscienza ovattata,
si attutiva il rimorso della sua dissolutezza,
lasciando solo spazio al ricordo dell'appagamento pelvico,
felice, leggera aperta al cielo e al mare.
La carezza della brezza prolungava il ricordo del piacere,
si chiese se fosse solo un ricordo.
Allungò le braccia indietro sopra la testa
a stringere i sandali rossi
come un potente talismano.
Il contatto consapevole materializzò il colore
il cielo si espanse rosa, rosso sempre più rosso.
Ritmico ondeggiare del corpo a cullarsi,
poi si addormentò al riparo dello scoglio bruno.

Riflesse nello specchio schegge rosa come a novella aurea
dalla sottoveste di pizzo e raso,
con gesto lento circolare naturale amorevole
nutriva la pelle,
spalmando assorbendo crema profumata,
si sorrideva.
Denti candidi si stagliavano tra labbra
ridisegnate, rosse.
Lunghi capelli lucidi mobili danzanti incorniciavano il viso,
la musica suonava dentro e non fuori di lei.
Muovendosi sinuosamente, accompagnava il ritmo
e la spazzola scivolava tra i capelli,
in tondo, morbida come la sua anima.
Prese con un dito i sandali rossi col tacco a spillo,
li guardo amorevolmente, con attenzione,
si alzò con passo morbido innaturale,
sollevò le calze nere di seta, infilandovi le mani,
osservandone controluce l'effetto sulla pelle bianca.
Un brivido di soddisfazione, la percorse
torbido.
Pose attenzione nell'indossarle,
amate fragili creature,
introvabili,
prezzo del suo corpo.
Le sirene improvvise ulularono l'allarme
si impietrì .
Lo sguardo si volse intorno,
senza esitazione afferrò i sandali rossi col tacco a spillo
Fuggi tra le bombe coprendo appena la sottoveste rosa con una sciarpa
Saldamente in mano le scarpe rosse col tacco a spillo.

Silente calura.
Ferma immobile davanti alla tomba
L'esile giovane donna,
metà illuminata dal sole e per l'altra ombreggiata dal cipresso.
Viso teso, pallido, più pallido al contrasto coi neri capelli, colpivano i sandali rossi col tacco a spillo.
Con dei fiori in mano
che poi lasciò cadere a terra ,
si sedette sul marmo freddo della tomba e prese a parlare sottovoce.
Parlava in dialetto stretto la foga e gli occhi fiammeggianti rivelavano
rabbia
poi pianse, pianse ancora.
Si alzò e girò in tondo attorno alla tomba
più volte ed ancora.
Sembrava una danza.
Poi in un crescendo ritmico come una mosca attorno ad una lampadina
accarezzò la lapide in modo ossessivo.
Prese il mazzo da terra sfilò i fiori uno ad uno lanciandoli velocemente per aria in una rapida cascata colorata.
Sembrava sorridesse,
si sbottonò la giacca nera, poi la tolse,
si chinò raccolse i fiori ad uno ad uno ma non li mise nel vaso li sparpagliò sulla tomba.
Raccolse la giacca e la borsa.
Poi un urlo disumano:
- siiii moooortu finarmente, ta odiu.
Si allontanò con passo calmo tra i filari di cipressi
occhi asciutti labbra schiuse in un sorriso.
Controllò che i cinturini dei sandali fossero al posto giusto.

Sul letto,
la gonna la camicia il velo, grigi.
Indumenti ancora quasi sconosciuti. si vestì lentamente, con timore.
era consapevole, una strada senza ritorno, almeno per lei.
Aveva pensato tanto, due anni nei lunghi silenzi del chiostro ad ascoltare i battiti del suo cuore accelerare all'idea della definitiva scelta.
Sentì la sua voce dire
-sono certa di volerlo.
Sorrise si guardò nello specchio era tanto che non lo faceva, non più in quel modo,
due piccole rughe di fianco agli occhi verdi, sempre splendenti,
le guardò senza emozione non pensava mai al tempo che scorreva inesorabile.
Non vi era un tempo, vi era un luogo nel quale il tempo sembrava non esistere e lei aveva scelto di restare nel luogo senza tempo, dove i ricordi si perdevano nei silenzi lamentosi tra le spesse protettive mura.
Era l'ora della partenza, si attardò ancora ad assaporare gli odori della sua
vecchia casa per l'ultima volta, si mosse nelle stanze leggera, silenziosa come fosse sospesa. Girando nelle stanze ordinate ne riconosceva ogni minimo dettaglio non ne
aveva dimenticato nemmeno uno ma non aveva mai provato nostalgia per nulla di tutto ciò durante la permanenza al convento e non provava emozioni ora.
Non un battito al cuore.
Era tutto finito dimenticato, un mondo di pace l'aspettava per un tempo lungo non importava quanto.
Dalla porta socchiusa dello sgabuzzino intravide una chiazza rossa l'aprì
e le vide lì, appaiate rosse lucenti come nuove, scarpe rosse col tacco a spillo, una fitta le attraversò il cuore, le prese andò in cucina e con un gesto deciso le gettò nella pattumiera
La musica le tornò in mente e la fitta proseguì verso lo stomaco, quella musica
era l'unico ricordo che a tratti riaffiorava, lo avrebbe ricacciato indietro come sempre.
Uscì lasciò ogni cosa dietro di se, in quella casa, ripensò per un attimo
alle scarpe rosse ma fu solo un attimo .

ODORI E PROFUMI

Continuava ad annusare lentamente il braccio di lui, nudo bronzeo compatto.
Le vene blu,pulsavano sotto la pelle,
più evidenti all'altezza dell'avambraccio.
Annusava e socchiudeva gli occhi ascoltando il suo respiro lieve.
L'odore del mare pervadeva ancora i suoi capelli neri lucenti nei quali
si riflettevano lampi blu intenso.
Respirava tutti quegli effluvi e i ricordi tornavano galoppanti lucidi:
Immagini e profumi.
Era trascorso così tanto tempo che pareva impossibile accettare dei
ricordi così tangibili, freschi,dolorosi.
Aveva commesso una sciocchezza ad accettare di incontrarlo ancora
ma quando lui l'aveva abbracciata per salutarla, lei aveva percepito
il profumo della sua pelle e tutto quello che lei aveva pensato che sarebbe avvenuto se mai lo avesse nuovamente incontrato, svanì inconsistente nel nulla.
Viveva il momento e finalmente non si chiedeva più cosa sarebbe stato
tra un' ora , un giorno, un mese, non le importava
non ci sarebbe stato nulla ma quel momento sarebbe rimasto,
ricordo in compagnia di altri ricordi.
Si alzò silenziosamente grata a se stessa per essersi concessa una resa.
Non se ne era concessa una per dieci anni, non c'era stato nessuno, una lunga costante inconsapevole attesa.
Tutti i tempi, i luoghi vacui, riempiti dell'affannoso nulla solo tanta stanchezza.
Questa notte l'aveva ripagata, liberata da un lungo inespresso dolore, ridandole finalmente la libertà.
Una lunga calda doccia la sferzò di vitalità e un senso di gioia la pervase,consapevole
di un rinnovato desiderio di vivere.
Si vestì con calma continuando ad annusare l'aria della stanza.
Lo guardò ancora
non resistette, tornò ad annusare il braccio e poi ancora i capelli.
Fu un dolcissimo, definitivo addio.

Parcheggiò con cura nel piccolo spazio a disposizione cercando di non urtare contro il muro della vecchia casa.
Il cuore gli tremava appena
erano venti anni che non tornava in quella casa .
L'aveva avuta due mesi prima in eredità dopo la morte della madre ,
ma non era riuscito a decidere sino alla settimana precedente se accettarla oppure no.
Prese le chiavi dal cassetto dell'auto scese e si accese una sigaretta, aveva ripreso a fumare il giorno dopo la morte di sua madre.
Non era andato al funerale.
Le sigarette servivano ad attenuare il dolore ed il rimorso che ogni tanto tentava di
emergere dall'inconscio.
Fece un profondo respiro e si avviò verso la porta, sempre la stessa
fece girare le chiavi ed entrò.
La casa, era in penombra, la luce filtrava attraverso le persiane chiuse,
nulla era cambiato, tutto in ordine pulito, aleggiava ancora l'odore della legna arsa nella stufa, anch'essa sempre la stessa .
Si sedette sulla poltrona vicino alla finestra, reclinò la testa e socchiuse
gli occhi, permettendo ai ricordi di affluire lentamente.
Sentì la voce di sua madre chiamarlo dolcemente:
- Marcolino, Marcolino, vieni qui.
La rivide in ginocchio sull'erba del giardino, mentre lo aspettava sorridente, abbronzata con i neri capelli lucenti e lui correva da lei e l' abbracciava.
Di colpo, ricordò il profumo del rossetto di sua madre, quel profumo lo aveva portato sempre nei suoi ricordi.
Ne fu scosso.
Si alzò, andò nella grande cucina tutto in ordine come sempre, trovò il bicchiere al primo colpo andò al lavandino e lo riempì.
Incredibilmente anche l'acqua era sempre la stessa, buona, fresca.
Gli venne in mente, quando in ginocchio sulla sedia davanti al lavandino aiutava la mamma a pestare il basilico nel mortaio ne sentiva ancora il profumo intenso unico.
Poi insieme ridevano, quando lui grattava il formaggio e la mamma gli
chiedeva di fischiare, perché così non avrebbe potuto mangiarlo di nascosto.
Col bicchiere in mano si aggirò per la camera da letto, sul comò, ancora
le vecchie foto in bianco e nero di lui bambino e dei suoi genitori giovanissimi.

Aprì un cassetto era quello delle tovaglie lo invase il profumo della lavanda, sorrise e rivide sua madre mentre preparava i piccoli sacchetti che poi metteva in ogni dove.
Guardò nel cassetto a fianco, c'era la biancheria di sua madre quella "antica" che lui ricordava da sempre e che la madre non metteva certo più ma che come tutto il resto non aveva mai buttato via, prese una sottoveste di seta la portò al viso e l'annusò gli sembrò di sentire l'odore della sua pelle, sapeva di saponetta alla rosa .
Ricacciò a forza le lacrime, si chiese che cosa c'entravano tutti quei ricordi con
quello che era successo tra di loro, durante quei lunghi venti anni, ma evidentemente in qualche angolo del suo cuore erano nascosti e ora ritornavano prepotentemente.
Prese il carillon dal centro del comò, lo apri diede la corda e la ballerina in tutù si mise a ballare al suono del valzer delle Candele; un regalo di Natale di suo padre.
Di colpo si rilasso, fu come se quei vecchi ricordi cancellassero le tensioni ed i rancori durati venti anni.
Aprì le persiane della porta finestra che dava sul giardino fu sorpreso da come fosse ben tenuto, i cespugli delle rose erano belli, rigogliosi, profumati, gli venne in mente quante volte prima di cena mamma si faceva aiutare a bagnarle e se faceva caldo ogni tanto lo spruzzava con il tubo, per gioco, e ridevano gioiosi.
Tutto questo non aveva senso, ma il desiderio di restare li per ricordare si stava facendo insistente .
Si chiese cosa fosse veramente accaduto di così insanabile, da trasformare tutto quello che ora stava ricordando in quel lungo arido tempo.
Prese il cellulare e chiamò la moglie:
- Ciao, Milli sono ancora nella casa, ho deciso di rimanere qualche giorno, ho bisogno di ritrovare un po' di pace, di capire alcune cose ed ora, so che posso farlo solo qui.
- Mi sembra una esagerazione, dai torna a casa.
- No, non torno, ti chiamo domani ciao.
Chiuse il telefono.
Andò in cucina e aprì la credenza certo di trovare qualche cosa per prepararsi la cena, c'erano gli spaghetti, i barattoli di sugo preparati da sua madre, i funghi sott'olio,tutto il necessario.
Preparo la tavola,cucinò e cenò poi nel cassettone cercò un pigiama di suo padre,
ne infilò uno e scese in giardino.
Si appoggiò con la schiena contro un albero e fissò le stelle, erano tante bianche lucenti, il cielo lo commuoveva.
Gli sembrava di sentire nell'aria un leggero odore di salsedine, le rane cominciarono a gracchiare lui lasciò che i ricordi tornassero; desiderava tanto ritrovare la pace, doveva perdonare, poteva perdonarsi.

Nel buio profondo della montagna ombreggiata dai profili degli alberi rigogliosi si staglia imponente illuminata minacciosa, la Sacra di San Michele.
Io sono quì, seduta sullo scalino della porta immobile, ad osservarla in un silenzio
primordiale; fatta eccezione per l'inconfondibile voce di Billy Holiday che arriva attutita dalla porta socchiusa sulle note di Strange Fruit.
Un sentimento tra paura e gioia un forte desiderio di isolamento e silenzio.
Io qui, esperimento in questa pace la gioia di guardare in me stessa, nel profondo
con compassione senza voglia di ricordi, in pace con il presente.
Il lago, in basso a sinistra quasi non si distingue in questa oscurità intensa, le stelle
splendenti mi circondano, come diamanti su di una morbida sciarpa, blu scuro.
Sa di destino compiuto di arrendevolezza di accettazione.
Respiro con forza i profumi della montagna. Gli stessi di tutte le estati ma questa sera
sembrano assumere un significato più profondo, incisivo, come un balsamo che allevia la stanchezza del vivere senza scelta nel caos della città.
Magari non dipende dal vivere in città.
Qui l'inquietudine che mi porto appresso con rassegnazione quotidiana per incanto sparisce.
Rintoccano le campane, undici tocchi e sembrano le quattro del mattino, anche il tempo cambia il ritmo del suo scorrere ed io fisso le luci della Sacra, finalmente, lentamente percepisco lo scorrere del sangue nelle mie vene e la pelle fresca delle braccia rabbrividisce, si è appena alzato un leggero vento.
Un guizzo tra gli alberi al di là della strada mi fa irrigidire, una piccola serpe sinuosa
striscia al bordo della strada tra i ciuffi d'erba, sembra si fermi a fissarmi negli occhi; poi riprende strisciando il suo cammino.
Io mi interrogo sulla solitudine; sulla mia solitudine. A me piace, sono le domande
superficiali a volte stupide che la mettono in dubbio. Ma io qui non ho dubbi, mi sento parte di questo universo, di questa montagna di queste stelle di questi indimenticabili profumi.
Arriva Willy il cane del pastore vorrebbe che gli andassi a prendere il pane secco,
- Willy questa sera dovrai farne a meno, c'è qualche cosa che mi impedisce di alzarmi da qui.
Lui quieto, scodinzola e si allontana, sparendo in un attimo, nel buio appena dopo la siepe del giardino, tra una cascata di rose rosse.
La musica tace, ed il silenzio sembra se mai fosse possibile, ancora più profondo,
in questo più profondo scorgo il viso sereno e sorridente di Don Renzo.
Rintoccano le campane, dodici tocchi, come in risposta al mio ricordo.

Frida, distesa inerme insanguinata sulla barella.
L'odore conosciuto intimo del suo sangue riempiva le sue narici,
invadeva i suoi occhi s'incrostava sulle labbra,sul viso sulle sue bianche mani.
-Perché ? perché ?
La confusione dell'amore senza risposte.
Ma che cazzo di amore è? Si chiese per un attimo, pentendosi immediatamente di quel pensiero.
Lo amava ma sbagliava sempre ogni cosa, sbagliava per essere punita od era punita perché sbagliava?
Si sentiva scorrere dentro un fiume, lentamente, senza annegare, senza respirare profondamente, sopravvivendo; l'odore del sangue l'accompagnava.
Il dolore quasi non lo sentiva, il corpo può sopportare, l'anima no.
Nei pensieri il viso della sua bambina che scompariva per lasciare il posto a quello di lui: occhi dilatati, rossi, iniettati di sangue uno sguardo d'odio ingiustificato.
Perché, perché? La voce di Rocco le rombava nelle orecchie come se fosse lì a sussurrarle le frasi di sempre:
-ti amo, perdonami ti prego, la colpa è tua è tua, io ti amo non potrei vivere senza di te.
Si girò lentamente per guardarlo in viso pronta a sforzarsi in un sorriso, non c'era nessuno; una commistione tra delusione e sollievo la fece scoppiare in lacrime.
Una piccola dolce infermiera bionda, comparve al suo fianco, le prese le mani e gliele strinse amorevolmente, amichevolmente in senso di intesa, senza chiederle nulla.
Frida svenne con il viso dell'infermiera impresso nei ricordi.
Si rivide nella strada, in ginocchio, mentre Rocco infieriva su di lei, calci, pugni, morsi e poi quell' uomo che si frapponeva tra loro due, allontanava Rocco, veramente non vedeva chiaramente più nulla il sangue colava copioso dalla testa e dal naso, lei non sentiva più il dolore, sentiva solo l'odore del sangue, nauseante e dolciastro conosciuto, fu sollevata le sembrò di muoversi volando in una atmosfera rarefatta, si lasciò scivolare verso l'infinito, verso la pace . Non voleva più vivere con Rocco e non poteva più vivere senza di lui, meglio scivolare verso l'infinito.
Galleggiava in un tunnel bianco,nebuloso non sentiva più nulla solo ancora l'odore nauseante del sangue; qualche cosa la riportò alla realtà, la piccola infermiera bionda
era lì accanto a lei, le sorrideva tenendole ancora la mano, Frida percepì il messaggio muto che le arrivava dalla piccola donna bionda, il coraggio si fece strada dentro di
lei, rivide il viso della sua bimba, questa volta l'immagine non fu cancellata dal sopraggiungere del viso di Rocco, rimase nitida, sorridente negli occhi di Frida,
con un filo di voce chiese all'infermiera di chiamare i carabinieri.

I CAPELLI

Luca si lasciò strisciare verso il basso con la schiena contro il muro,
le forze lo stavano abbandonando; la dose che si era iniettato era veramente massiccia.
Seduto per terra con le gambe larghe in preda ad un forte tremito; sopravviveva
attraverso le sue allucinazioni, sorrideva al vuoto con gli occhi appannati, come
per incanto era tornato in Sicilia.
Lui non l'aveva mai dimenticata la sua terra.
Ora la rivedeva, caleidoscopica, arancione, verde, blu e il colore rosso della terra,
dove mille ulivi d'argento muovevano le chiome al passare del vento della sera.
Rivedeva il cortile della nonna dove giocava facendo spaventare le galline,
che schiamazzavano volando qua e là, e la nonna che si affacciava sulla porta minacciandolo con la scopa in mano, poi stanco si sedeva sugli scalini della porta di casa e la nonna gli portava una limonata fresca e lo baciava sulla testa.
Luca restava lì con gli occhi spalancati su quei tramonti rosso ed oro, seguendo con gli occhi le piccole nuvole bianche che si rincorrevano nel cielo limpido; poi alle sei
come tutte le sere, vedeva arrivare Rosa.
Prima vedeva i suoi lunghi capelli neri che sventolavano al ritmo della corsa, Rosa
arrivava sempre correndo, poi di colpo si fermava quando vedeva Luca e con un
sorriso dolcissimo lo chiamava, facendogli segno con la mano di correre e lui felice
correva tra le braccia di Rosa.
Rosa aveva diciassette anni, Luca cinque.
Il ricordo cambiò e lui e Rosa erano al mare, giocavano in mare tuffandosi nella
curva delle possenti onde del mare mosso, Luca ormai aveva dieci anni.
Rosa quel giorno al mare seduta sulla sabbia con i lunghi capelli neri bagnati
sorrise a Luca e prendendogli le manine tra le sue disse:
- senti Luchino devo dirti una cosa, tra tre mesi mi sposo con Cosimo e purtroppo non potremo più vederci come ora, perché andremo a vivere a Palermo, ma ti prometto che ogni volta che tornerò a trovare mia madre verrò a trovare anche te.
Luca restò muto, in silenzio le fece un piccolo sorriso e non parlò più sino a che non furono arrivati a casa.
Una volta arrivato a casa pianse, pianse sino a sfinirsi, a nulla servirono gli abbracci
della mamma e della nonna. Rosa la rivide solo poche volte.
Passarono lentamente otto anni, Luca finite le scuole medie si trovò un lavoro.

Lavorava come meccanico, per pochi soldi a settimana.
Era timido, usciva qualche volta con gli amici del bar, qualche ragazza gli ronzava
intorno ma in nessuna ritrovava il fascino dei capelli di Rosa.
Una sera, era di sabato, una di quelle sere con un cielo che solo in Sicilia si può vedere, Luca stava seduto al bar, solo, guardando il nulla, quando di colpo notò una massa di capelli neri lunghi svolazzanti, la ragazza correva ed ogni tanto si girava indietro come se qualcuno la stesse inseguendo; arrivata al bar rallentò vide Luca e inaspettatamente andò a sedersi vicino a lui.
Era bellissima e gli sorrideva stralunata, Luca rimase folgorato e non riuscì ad aprire
bocca.
- Ciao, sono Tina, e tu chi sei?
- Ciao, sono Luca, che ti succede? Da chi scappi?
- Ioo? Da nessuno scappo. Me lo offri un gelato?
- Certo.
Si alzò per andare alla vetrina dei gelati.
- Al cioccolato!!
Gli urlò dietro Tina.
Luca tornò con un cono di gelato enorme, lei lo afferrò al volo e cominciò a divorarlo
ad una velocità sorprendente; Luca la guardava tra lo stupefatto e il divertito.
Gli piaceva Tina, allungò una mano e le spostò una ciocca di capelli dal viso passandola dietro l'orecchio.
- Che fai stasera, sei impegnata?
- Perché? Dove mi vuoi portare?
- Dove ti và.
- In discoteca, ma non ho soldi.
- Fa niente pago io.
Si alzarono, Luca le prese la mano e si avviarono lungo il vicolo stretto e buio pieno di ombre indistinte, solo dalle voci si capiva che erano ragazzi come loro, alla ricerca di un momento magico di una serata speciale.
- Questo cielo ci porterà fortuna. Disse Luca.
Tina scoppiò in una risata feroce.
- E tu Luca ci credi alla fortuna, chi l'ha vista mai?
Tina strizzò gli occhi nel buio guardando nella direzione di un portone.
- Aspetta Luca, c'è un mio amico arrivo subito.
Gli lasciò la mano e corse verso quel portone, Luca seguì con lo sguardo il fluttuare dei suoi lunghi capelli neri e provò una piccola fitta al cuore.
Tina tornò sorridente, gli riprese la mano tirandolo leggermente, Luca sentì la sua piccola mano, era sudata e fredda.

All'alba, seduti su di una panchina abbracciati guardavano i bagliori rosa che salivano verso il cielo, laggiù all'orizzonte del mare, Tina con la testa reclinata nell'incavo della spalla di Luca, continuava a dargli piccoli dolcissimi baci appena sotto l'orecchio, lui stava immobile, pensando che era tutto troppo bello perché potesse durare, godendosi felice quel momento di emozioni sconosciute.
- Luca, ti devo dire una cosa.
- Cosa ?
- I miei amici mi chiamano spada, sai che vuol dire?
- Che ferisci i cuori di tutti i ragazzi che si innamorano di te?
- No, una Spada è una siringa, mi chiamano Spada perché io per le siringhe ci vado matta, non ne posso fare a meno.
Luca si alzò di scatto dalla panchina e la guardò spaventato.
- Che cazzo dici? Non è vero. Me ne sarei accorto, tu sei a posto, ci siamo
divertiti tutta la sera, quando è che ti fai?
- Mi sono fatta nel portone con quel mio amico prima di andare in discoteca.
L'istinto diceva a Luca di scappare di lasciarla lì su quella panchina; non ne fu capace.
La guardava incapace di credere che fosse drogata, ci ripensò si inginocchiò davanti a lei sull'erba, fissandola negli occhi. E' bellissima, pensò con uno sguardo arrendevole.
Lei gli prese la testa dolcemente e la posò sulle sue gambe e prese ad accarezzargli
i capelli come si fa con i bambini, come Rosa faceva con lui tanti, tanti anni prima..

© Pierina Pacucci





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(1) La vendetta di Pierina Pacucci - RACCONTO
(2) un paio di scarpe rosse col tacco a spillo di Pierina Pacucci - RACCONTO



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dal 2010-10-31
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