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Champagne
di Riccardo Falletta terafina
Pubblicato su SITO


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 Erano da poco passate le otto di sera. Dalle vetrate entrava una leggera brezza e le tende s'accarezzavano in un pudico fruscio, gonfiandosi acquose. Non v'era rumore se non quello di un piccolo animale che si accovacciava tra i rametti di un cespuglio e dello scricchiolio delle zampette  sulle foglie secche. Il cielo si stava annerendo e Venere cominciava a brillare, diligente. Al di là delle basse siepi rossastre che seguivano lo steccato, un'alitata viola si faceva largo tra i grattacieli e le sopraelevate, abbracciati gli uni con le altre in un saldo groviglio sopra al quale si affacciava curiosa la pallida luna. Una collina, morbida e perfetta nel suo ingobbirsi all'orizzonte, s'alzava davanti alla villa, nascondendo gran parte della città. Dalle ciminiere lievitavano cremosi i gas di scarico degli agglomerati industriali delle periferie e mentre galleggiavano lenti sul limitare della metropoli, si scioglievano nelle nuvole grumose ormai scolorite dalla sera. Nel giardino, azionate da un meccanismo a tempo, le due file di lampioncini che costeggiavano il sentiero di cotto si accesero sfarfallando un poco e allontanando tempestivamente gli insetti che s'erano assopiti sotto i bulbi affusolati. Il prato inglese e le morbide onde pressoché impercettibili che lo attraversavano brillavano di un verde piatto e perfetto, ai piedi delle luci giallastre. Solo il gazebo di ferro battuto e un gruppetto di sedie che puntava attento un grosso tavolo rotondo erano rimasti pressoché all'oscuro, accanto a un imponente ulivo.
 Mescolandosi al puzzo gradevole dell'erba appena tagliata, l' odore della giornata finita entrava nella sala spaziosa della villa, accovacciata su una collina da cui si dominava la metropoli sporca e assordante. In lontananza, nel bianco e sonnolento sobborgo di Ginger, un automobile frenò su un vialetto di ghiaia e un cane abbaiò al padrone appena arrivato. Si udì lo scatto di una porta aprirsi e chiudersi subito dopo. Tutto tornò silenzioso.

 Ian sedeva sul divano, spossato, in una di quelle pose innaturali e dinoccolate che potrebbe avere una marionetta abbandonata sul suo palco. La nuca era incassata nel cuscino di pelle bianca; pendeva da un lato e il labbro inferiore sporgeva appena, lasciando intravedere il principio della lingua. Dalle palpebre, ferme a mezz'asta, fiorivano due lunghi ciuffi di ciglia. Si raddrizzò e si pulì le mani in un fazzoletto di seta che ripiegò con cura, in quattro, e infilò in tasca.  Dopo essersi sistemato la camicia nei pantaloni, si allacciò la cintura, domandandosi se Jerom, prima di uscire dal bagno, avesse notato le due statue ai lati la vasca, ma quando sentì la porta aprirsi e vide comparire l' uomo dal corridoio buio, questi si limitò ad attraversare la sala con andatura incerta, quasi non fosse sicuro di dove si trovasse, senza proferir parola.  
 Benché si sforzasse, Ian non riusciva pienamente a decifrare il comportamento del suo ospite. Infatti, se in un primo momento quest'ultimo sembrava senza dubbio fuori posto e maldestro, mostrando tutte le caratteristiche proprie di un atteggiamento costruito, forzato, moderato certo con non poca fatica, l'istante successivo tutto i suoi movimenti delineavano i tratti di una persona tranquilla e determinata. Non comprendeva tuttavia quell'apparente  vantarsi, tipico di coloro che hanno tutto l'aria d'essere felicemente disorientate. L'uomo fece un giro attorno al divano a ferro di cavallo e si sedette al fianco di Ian.
 Si guardarono, scambiandosi due sorrisi che, per quanto diversi, apparvero a entrambi identici.
 Voltandosi, si ritrovarono riflessi nell'enorme schermo spento del televisore e s'accorsero che gli occhi dell'uno puntavano risoluti negli occhi dell'altro e cercarono di metter fine a quel silenzio, che, seppur breve, sembrava durasse da un'eternità. Malgrado l'ospite poco gradito, Ian era a casa sua e si sentiva perfettamente a suo agio, mentre Jerom confidava che Anne ricomparisse il prima possibile. Soppesò un ennesima volta l'ambiente in cui si trovava,  posando la vista un po' ovunque: sui gradini di vetro delle scale, senza corrimano, che portavano al piano superiore; sulla colonna quadrata nel bel mezzo della sala, su cui scorrevano verticalmente una serie di spaccature irregolari da cui fuoriusciva una soffice luce; infine sul bassorilievo che occupava tutta una parete e di cui, assieme a Ian, avevano discusso a lungo, dopo che René e sua moglie si erano allontanate. Uno dei due gatti persiani apparve dalla porta finestra, miagolò due volte e scomparve, mentre le note di Händel cominciarono a spandersi nella casa.
- Bellissima - disse Jerom.
- Sarabanda è uno dei miei pezzi preferiti. Ha un fascino ineguagliabile, solenne.
- Mi riferivo alla casa, Ian.
- Ti ringrazio.
- Vivete da molto qui?
- Poco più di un anno.
- Non si può dire che sia vicino alla città.
- La città non mi manca. Ci metto piede a fatica.
- E' appartato, qui.  
- Tu e Anne vivete ancora là, in quel putiferio. Non riesco proprio a capire come facciate a non averne abbastanza.
- Non è poi così male, laggiù. Sarabanda è un pezzo magnifico.
- Ogni cosa ha i suoi difetti. La Sarabanda non ne ha.
- Un' ora, un'ora e mezza, in macchina?
- Poco più di quaranta minuti. Il mio studio non è lontano da qui. Versati da bere, se vuoi - disse l'uomo sistemandosi il foulard - Ti dispiace se alzo un po' le luci, ora?
- Fai pure - Accavallò le gambe con uno slancio elastico, rallentandole poco prima che si toccassero - Riempo il bicchiere anche per te.
 La pelle bianca del divano scricchiolò al puntellarsi di Ian con le braccia. Si diresse al pannello di controllo di fianco alle vetrate che davano sul giardino e regolò l' illuminazione della sala. La penombra scomparve e una luce ambrata prese il suo posto, ricoprendo ogni oggetto con una pellicola saporosa e rassicurante. Ian amava quel colore cremoso, caldo. Se avesse potuto materializzarlo, diceva sempre a René, sarebbe appiccicoso, untuoso, ma privo di quelle peculiarità che lo renderebbero sgradevole: si staccherebbe subito, verrebbe via, come uno strato di pelle morta scottata dal sole. Avrebbe voluto farsi il bagno in quel colore, spalmarselo sul corpo, lavarsi i denti e tutta la faccia.  Voltato di spalle, con le mani che indugiavano sul comandi, sentiva gli occhi di Jerom puntati su di lui.
 Aveva notato le scarpe di lacca a punta e i pantaloni stretti sulle caviglie e troppo larghi sulle natiche: vestiti nuovi, comperati per l'occasione, che non gli stavano poi così male, pensò, ma non riusciva tuttavia a levarsi di dosso la punta di compassione che provava per quell'uomo, il quale sembrava si desse un gran da fare per piacergli il più possibile. Eppure, aveva avvertito perfino una sorta di affetto in quel che era successo. Non era stato troppo insistente, Ian. Senza neppure prendere tanto slancio, aveva semplicemente buttato un esca e il pesce aveva abboccato. Una dimostrazione sincera, limpida,  sebbene all'inizio Jerom sembrasse riluttante. Aveva avvertito una dimostrazione di stima, più che altro.
 Era indeciso se regolare la temperatura, ma il clima tiepido dell'estate finita lo fece desistere. Tornò a sedersi, dopo aver fatto un lungo sorso dal bicchiere che Jerom gli aveva allungato:
- In primavera e in estate preferisco la bicicletta, alla macchina. E' un piacere da cui non riesco a separarmi. Con la città ho chiuso, da un bel pezzo. René è una conservatrice. Lei ama il passato, le scatole con tante fotografie, vecchie lettere, spillette e gingilli di famiglia. Vecchie scatole con etichette scritte in corsivo. Anche tua moglie probabilmente ne ha alcune.
Jerom sorrise.
- René ne ha diverse. Impilate nel guardaroba. Proprio non voleva saperne di andarsene. Adorava i grattacieli che s'appoggiano sull'immondizia, le monorotaia che sposta l'aria a pochi metri dal balcone. Le code alla posta, le code ai supermercati, le code al parrucchiere. Qui le uniche code che si vedono sono quelle degli scoiattoli, sopra i rami degli alberi. A Ginger, vedi code solo fuori dalle gioiellerie - Dopo un altro lungo sorso si sentì meglio, lo spirito meno maldisposto nei confronti di Jerom. In fondo pensò, non stava facendo nulla di male.  
- Tutti quei farabutti che strepitano. Sembrano maiali in una macelleria. Scelgono il pezzo da prendere, poi gli viene la bava alla bocca perché soldi non ne hanno. Restano lì, con il naso quadrato e pieno di muco schiacciato sul vetro e gli occhi infuocati. Tutta quella propaganda, tutte quelle proteste. Sindacati e associazioni. Sono anni che va avanti così, Jerom.   
 A Ian parve che l' uomo, sentendosi chiamare per nome, non riuscì a trattenere un sorriso notevolmente sproporzionato rispetto al necessario e accorgendosi prima del dovuto di quel involontario animarsi, serrò la bocca con un gesto netto, negandosi così l'unica possibilità di camuffare quel comportamento. Jerom trangugiò quel che restava nel calice, ne versò ancora e allungò la bottiglia in direzione di Ian, ma questi si limitò a disegnare nell'aria un mezzo cerchio con la mano.
- Si sta bene qui - sibilò Ian.
- Ci sono meno controlli.
- C'è più libertà.
- Penso che gli uni derivino dall'altra.
- Forse. Non sempre.
- Sono cambiate molte cose negli ultimi anni.
- Sono cambiate molte cose, è vero. I sindacati e le associazioni si sono moltiplicate in maniera preoccupante, in maniera anomala. Non si fa altro che sentir parlare di loro. Non pensavo che potessero aumentare così velocemente.
- La velocità ci insegue.
- Non posso darti torto.
- Non possiamo liberarcene. Un'amica antipatica. La conosciamo, crediamo di imbrogliarla anche se non dobbiamo, ma è lei che imbroglia noi. Come fai a imbrogliare la velocità? Sarebbe come portare a spasso la propria ombra,  metterle un collare, nascondersi dietro l'angolo e tornare di corsa verso casa. Lei si allunga, poi si accorcia, si assottiglia e scompare, di notte. La ritrovi sul muro quando vai alla toilette, quando ti alzi a bere. Neppure un bambino ci cascherebbe.
- Verranno tempi migliori.
- Ne verranno anche di peggiori - rispose quasi macchinalmente Jerom.
- E poi di nuovo di migliori.
 Jerom non replicò e si abbandonarono entrambi alle note di Händel. La immaginava così, Ian, la Sarabanda: marrone pallido, terra di Siena, soffusa. Sabbia da respirare. Silicone fuso in cui ammollire pane. La velocità ci insegue e non possiamo liberarcene, diceva Jerom. Ha ragione, pensò. Una catena senza lucchetto. Dal piano superiore, mescolati a risa e a parole pronunciate a metà, giunsero alcuni rumori indistinti. Frasi interrotte, che terminarono in un profluvio di risate proprio mentre Händel lasciava il posto a Wagner.
- Quel pannello andrebbe sistemato. Tutto ha i suoi pregi, ma i difetti non mancano mai. Wagner non è appropriato. Non so proprio come il computer l'abbia potuto selezionare - disse Ian. Tornò al pannello di controllo e la musica si interruppe.
- Manca poco. Sono le otto e mezza passate - disse Jerom
- Stavo per dimenticarmene - rispose l'uomo con uno scatto quasi comico. Si sedette, impugnò il telecomando e accese il televisore.
 Il gigantesco schermo, che occupava pressoché tutta la parete di fronte a loro, si attivò con un breve suono stagnante. I riflessi dei due uomini seduti scomparvero, sostituiti dapprima da un nero incerto, poi da un flusso di colori che si spalmò su tutta la sala, si infilò nel corridoio, nel sottoscala, nella cucina buia alle loro spalle, come se un arcobaleno fosse precipitato e avesse scelto la casa dei coniugi Dedier come tomba.
- Le luci vanno bene così, non è vero, Jerom ?
- Le luci vanno benissimo - replicò dando una fasulla occhiata tutt'attorno. Ian iniziò a modificare i settaggi del televisore. Ad ogni tentativo che non andava a buon fine camuffava le bestemmie in brevi sospiri. Mentre la sigla d'apertura del programma televisivo aveva cominciato a scorrere crepitante, Ian modificava l'intensità cromatica, lo spettro e la vividezza dei colori dello schermo. Nonostante non avesse molta familiarità con quell'apparecchio ne elencava le seducenti caratteristiche ogni qual volta ricevesse visite. Ai lati di esso giacevano due agavi blu e fucsia in vasi di cotto decorato che saltuariamente Ian utilizzava in luogo del posacenere. Jerom, poco dopo essere entrato e girovagando per la casa, aveva notato i mozziconi di sigari spenti e si compiacque nel constatare che persone tanto diverse sono spesso accomunate da difetti tanto simili.
- Io le spengo nelle piante che Anne tiene sul balconcino della cucina. Mi prometto di toglierle, ma me ne dimentico sempre.

- Le signore sono tornate? - domandò Ian dopo aver sentito le risate gonfie - Giusto in tempo - aggiunse guardando Anne e sua moglie sul mezzanino alla sua sinistra. René indossava un vestito con un motivo geometrico di losanghe dai colori autunnali e seri che le copriva le gambe fino alle ginocchia, lasciando trasparire due esili caviglie. Dalla scollatura, che precipitava fino all'ombelico per poi tornar sù, si vedevano due seni tondi e floridi e quando con un braccio si appoggiò alla ringhiera nel tentativo di infilarsi una scarpa, essi ondeggiarono appena, senza scomporsi, rivelando tutta la loro pienezza. Anne, a qualche passo di distanza, si passava le mani sulla faccia arrossata, solare, ma quando gli occhi si incontrarono con quelli di suo marito, il volto ovale della donna s'intorbidì come l'acqua di un lago, si distese, e tornò infine nuovamente raggiante. Entrambe portavano una pettinatura forzatamente fuori moda che si era disfatta un poco. Manciate di capelli puntavano in tutte le direzioni, conferendo loro un seducente aspetto infantile.
 Sulla parete del mezzanino, illuminato dall'alto da un faretto alogeno, era appesa una grossa riproduzione incisa nel giaietto dell'immenso agglomerato di pannelli fotovoltaici sulla costa orientale della Corsica, dove due mesi addietro le due coppie si erano incontrate e avevano fatto conoscenza.
- E'stato curioso. Una gradevole coincidenza - aveva detto Jerom mentre passeggiavano tra le siepi fiorite della villa.
- Ci dispiace per il tamponamento, Ian - aveva aggiunto Anne. Due fossette fonde si erano fatte spazio nelle guance carnose. Parlarono di quel tardo pomeriggio di due mesi prima, quando Ian e René viaggiavano con la loro auto per i tornanti ombreggiati delle Corsica. Jerom, poco dietro di loro, premeva sull'acceleratore: la pelle abbronzata, le maniche della camicia rimboccate fino a i gomiti. Al suo fianco sedeva Anne; scarpe di tela bianche e il gomito fuori dal finestrino. Dietro i grossi occhiali scuri si nascondeva uno sguardo serio e attento. Il mare e le montagne sembrava non destare in lei il benché minimo interesse.
- Ne abbiamo già parlato. Non c'è più alcun motivo di preoccuparsi - disse Ian.
- Certo, andavate davvero veloce. Si sarebbe detto che stesse inseguendo qualcuno - aveva replicato ridente René, mentre suo marito indicava a Jerom alcuni innesti botanici di cui andava particolarmente fiero.
 Il giardino non era brutto, ma mancava di quelle caratteristiche che lo rendessero proprio, personale. Sembrava che i coniugi Dedier avessero studiato a lungo sfarzose riviste di giardinaggio e si fossero preoccupati di rendere il loro giardino, e in parte la loro casa, il più simile possibile ad una delle foto in esse rappresentate, disponendo e accoppiando i fiori in determinate maniere, senza conoscere essi stessi il perché delle loro scelte.
 Jerom si sentì catapultato sulla copertina di un catalogo di residenze estive. Sorrise a quel pensiero.
 I coniugi Dedier avevano osservato la macchina di Jerom e Anne scendere per il sentiero della collina, tra i due campi di lavanda, mentre il sistema di irrigazione automatico terminava il suo lavoro e i getti verticali e rotatori degli irrigatori si afflosciavano su se stessi dopo un breve impennata, lasciando l'erba profumata sotto il sole cadente.  
- L'assicurazione ha già risolto tutto, il mese scorso - proseguì René.
 Per scusarsi dell'accaduto, subito dopo l'incidente, i coniugi Belt avevano invitato Ian e la moglie a cena.
 Un ristorante sul mare. Un ristorante piccolo e appartato, al quale si accedeva tramite una scalinata lunga e stretta scavata nella pietra. Avevano mangiato lentamente e bevuto molto. La conversazione, che per due ore si era tenuta sul banale, aveva deviato verso i comitati e le associazioni, e infine, quasi necessariamente, verso il signor Seelow. Non ne parlarono troppo a lungo, esattamente come si può parlare di un conoscente morto, senza essere troppo precisi, ma discorrendo di tutto, elencandone le qualità, anche quelle inesistenti e solo supposte. Entrambe le coppie, in maniere differenti, non parvero particolarmente inclini a trattare l'argomento. Ian e sua moglie si rallegrarono del fatto che la discussione precipitò poco dopo essere nata; Jerom e Anne se ne rallegrarono ancor  più ed insistettero per pagare il conto, mentre una leggera brezza si era alzata e faceva svolazzare i coperti della tavola e i capelli profumati e sciolti delle due donne.
- E' una vecchia storia, oramai - aveva precisato Ian sfiorando un cespuglio di rose - Tra poco comincia lo show.
 Poi, senza parlare, in fila indiana da perfetti scolari, erano rientrati, seguendo il sentiero di cotto. Jerom si era voltato a contemplare la strada che sgattaiolava sopra la collina. Una volta in casa, avevano aperto la prima bottiglia di champagne.
- Splendido - disse dando un ultima occhiata alle impostazioni dello schermo - Guarda le nostre mogli, Jerom. Sono già ubriache.
Entrambe le donne barcollavano un poco e si sorreggevano l'un l'altra, appoggiando le labbra sulle orecchie e sussurrandosi frasi a cui seguivano, quasi fossero conseguenze necessarie, altre risatine che si accavallavano a quella più corposa e generale che andava scemando e ricomparendo, rinvigorendola e alimentandola come benzina.
 Anne prese posto al fianco di Jerom, mantendo una certa  distanza che a Ian parve curiosa. René si sfilò le scarpe e sedette sulle gambe di suo marito. Le donne si trascinarono dietro un odore misto di chewing-gum e di lattice e un' olezzo acre e pungente che impiegò un certo tempo prima di svanire.
 Mentre la sigla del programma stava giungendo al termine, René versò da bere per sé e per Anne. Aveva appena aperto la bocca quando le parole si persero nella gola ed ella rimase con la bottiglia a mezz'aria e lo sguardo estatico.  
 Il presentatore comparve aprendo con fare istrionico due grossi tendaggi bordeaux, allargò le braccia e scese le gradinate ellittiche dello studio. I fari di luce lo seguivano, lo ingabbiavano. René buttò le braccia al collo del marito, lentamente:
- Hai fatto un lavoro perfetto - mormorò.
- Non posso crederci - sussurrò Anne.
- Non è perfetto - rispose Ian.
- Lo è - replicò Jerom, inumidendosi le labbra.
- Quel linciaggio lo stava per uccidere. E' la prima apparizione che fa dall'incidente - continuò René.
- Non penso che volessero ucciderlo - replicò Jerom, il volto appoggiato tra le mani - Hai fatto davvero uno ottimo lavoro, Ian.
  Nello studio, preceduto da un improvviso buio, piombò un silenzio penetrante, che contagiò anche le due coppie. Il presentatore, un'uomo alto, dal volto quadrato e ferino sopra al quale premevano i capelli ingellati, comparve esibendosi in una mal simulata serie di salamelecchi e piroette. Faceva roteare le mani nell'aria, gli indici e i mignoli puntavano in tutte le direzioni, il naso era un ciuffo di carne pressato tra il sorriso e gli zigomi. Il completo scarlatto gli dava un tocco ludico, quasi circense, accentuato dalla cravatta gialla. Le scarpe erano di lacca, a punta. Aveva un'andatura incerta, a tratti legnosa, e compensava la rigidezza delle gambe con un forzato movimento delle braccia.
- Non sembra che cammini molto bene - asserì Jerom  esaminando il volto perfettamente rasato di Ian.
- Abbiamo fatto il possibile.
- Lo hanno conciato davvero male. Non riesce a muoversi agilmente - interloquì René.
- Hanno preso di mira le ginocchia e gli stinchi. Quando è stato condotto in ospedale la tibia fuoriusciva dal polpaccio di dieci centimetri abbondanti. Il perone era pressoché tutto visibile e spaccato in più punti. Un pezzo ero rimasto attaccato al midollo e pendeva all'altezza del ginocchio. Le tibie e le fibule abbiamo dovuto sostituirle. Irrecuperabili. Erano divenute polvere. Estrarre tutti i frammenti dai muscoli e dalla carne ha richiesto più di due ore. Anche le due rotule erano spaccate. Il coccige era frantumato in decine di pezzi. I polsi spezzati, entrambi. Lo davano per spacciato, nessuno credeva ce l 'avrebbe fatta. Se non fosse morto, non avrebbe più camminato, così dicevano i primi medici che lo videro.
 René portò una mano alla bocca. Con l'altra accarezzò il collo al marito. Jerom e Anne tacevano.
 All'aria fanfaresca e vivace che aveva accompagnato il suo ingresso, subentrò presto una quasi tragica serietà e un portamento composto e pomposo. La voce, acre ma rilassata, s'espandeva solitaria con un ventaglio di tonalità austere, quasi religiose. Dopo una lunga serie di ringraziamenti, il presentatore allungò il braccio in un punto imprecisato a lato dello schermo, ruotò su se stesso e annunciò l'inizio del primo turno. Le luci esplosero in uno scintillio monocromo e lo schermo si trasformò in un rigonfiamento olografico bianco e incandescente, come se una vela di elettronica fosse lievitata in un vento invisibile.  
- Ci sono otto turni. Sara è nel primo - affermò René.
- Sono proprio curiosa di vederla - replicò Anne.
- Ho saputo che le urla del pubblico sono registrate - soggiunse Jerom, mentre applausi, boati e fischi invisibili s'espandevano dallo schermo.
- Ian ha fatto un' ottimo lavoro. Anche con lei - disse René rivolta alla donna che la guardava con i grandi occhi scuri - Ora vedrai.
- Si, gli studi sono protetti. C'è un ferreo servizio di vigilanza. Il pubblico viene selezionato con cura, non più come prima. Oltre agli operatori e ai tecnici, solo alla giuria è concesso assistere. Pare che ad alcuni di loro il governo abbia messo a disposizione scorte personali - disse Ian.
- Un uomo del genere non può non avere nemici. Il signor Seelow tiene pìù di 40 milioni di telespettatori. Non ha precedenti - replicò Jerom - I sindacati non lo molleranno mai. Le associazioni men che meno.
- Prima o poi lo faranno - rispose Ian - E' solo questione di tempo.
- Ormai hanno intrapreso una crociata. Da qualche parte vogliono sicuramente arrivare. Gli ronzano attorno come mosche. Ci riproveranno, probabilmente.
- Perlomeno le associazioni se ne occupano in altra maniera. Manifestavano davanti alla clinica, quando era ancora convalescente. Si limitano a fare propaganda. Non sono pericolosi. L'aggressione proveniva dai sindacati, non dalle associazioni.
- Anche il suo assistente personale e il suo manager sono stati aggrediti - intervenne René - Secondo la stessa modalità. Tre furgoni bianchi sono spuntati davanti alle loro abitazioni. La stessa notte. In un primo momento credettero si trattasse si giornalisti. L'assistente era con degli ospiti. Una coppia di amici. Ossa fratturate, su tutto il corpo. Non potrà mai più camminare. Al manager è andata  meglio. Marley...
- Barley. Il signor Barley - la corresse Ian.
- Barley, si. Sua moglie è riuscita a scappare. Credevano di trovarlo da solo, quelli dei sindacati. Invece c'era anche sua moglie, la produttrice del programma. Una bella donna, la signora Louis. Se l'è cavata con qualche frattura ai piedi e alle mani - concluse la donna.
 Anne allontanò le dita dal dorso del naso:
- Stanno stringendo il cerchio. Prima o poi arriveranno anche ai familiari, agli amici stretti, ai tecnici. E poi chissà a chi altro. Sembra che tutte le persone che ruotino attorno a quell'uomo siano condannate a subire lo stesso trattamento.
- Il loro scopo è ferire. Attaccano con precisione - disse René.
- Con precisione quasi chirurgica - precisò Jerom.  
- Sono solo degli assassini...
 Le parole si interruppero nella bocca di Ian non appena le concorrenti comparvero sul palco. René prese a battere le mani istericamente. Jerom e Anne la seguirono in un rantolo indistinto di esclamazioni e apprezzamenti, mentre davanti al divano seni e fianchi in forma di ologrammi s'estendevano dalla superficie dello schermo. Jerom non riuscì a trattanere un esclamazione, dal tono però poco decifrabile.
- Sembra che stiano camminando qui davanti - si limitò a dire.
- Questi schermi sono fantastici - disse Anne.
 Il presentatore, ritto ai piedi della scalinata ovale nel suo completo stretto, annunciò i nomi delle partecipanti. Esse comparvero, una alla volta, scendendo i gradini con fare inesperto. Piccoli passi sgraziati accompagnati da un jingle esotico che si ripeteva a brevi intervalli. Si allinearono di fianco a Seelow, il quale, una volta terminato di elencare la provenienza e le esperienze passate delle partecipanti, richiuse la cartelletta che teneva tra le mani e si allontanò, congedandosi con un inchino mozzato.
 Le concorrenti erano immobili, zitte, fissavano l' obiettivo della camera con occhi trasognati. Sulla fronte di un paio di loro si formarono delle piccole gocce di sudore e la pelle riluceva come un piatto unto. Sfoggiavano sorrisi tanto ampi che pareva quasi che un gancio tendesse gli angoli della bocca e li tirasse con un congegno invisibile dietro alla nuca. I capelli, tutti legati alla medesima maniera, si alzavano dal capo in una sorta di imbuto rovesciato che ricadeva all'indietro con una coda di cavallo, fin sotto alle ginocchia. Le unghie delle mani e dei piedi erano smaltate e attorno agli occhi e sulle labbra riluceva un trucco color avorio. Un nastro elastico blu elettrico, poco più alto di un centimetro e dal quale pendeva un cartellino numerato, ne avvolgeva i seni coprendone solo i capezzoli, stringendoli quanto bastava da spingerli verso l'alto e comprimerli in modo che sembrassero un unico blocco compatto di carne. Per il resto, le partecipanti erano completamente nude. Tenevano le gambe unite e i piedi puntavano in direzioni diverse, come oche scuoiate e gonfiate di crema. Viste di profilo, non era difficile percepire lo sforzo che facevano per rimanere in equilibrio. La schiena era impercettibilmente inarcata e le braccia, stese lungo i fianchi, tendevano a indietreggiare.
 Dopo aver inquadrato velocemente la giuria, composta da una decina di persone che con aria accigliata e pensosa prendeva appunti, la regia passò in rassegna con una lenta carrellata le sei partecipanti, partendo da un primo piano, passando poi ad un piano americano e finendo con piano completo. Per un attimo parve che le inquadratura si fosse trasformata in un fermo immagine, nulla dava il menomo segnale di vita, tutto era fermo, anche gli occhi delle concorrenti. Occhi di vetro di bambole giocattolo. Il ticchettio del termostato del pannello di controllo tuonava nella sala, mescolandosi alle zampette dell'animale che tra i cespugli continuava a procacciarsi il pasto del giorno.
 Tutta la sala della villa era tinteggiata di rosa e di viola sbiadito.  La pelle e la carne si volumizzavano negli ologrammi. Le partecipanti rimasero in quella posizione per due minuti abbondanti, mentre la camera ne inquadrava ogni angolo, ogni curvatura. Dopodiché si voltarono, con un mezzo giro di centoottanta gradi.  
- E' bellissima - disse Anne guardando prima René, poi il marito - Hai fatto un bellissimo lavoro, Ian, davvero. Complimenti.
- Ti ringrazio - rispose Ian, senza distogliere lo sguardo dallo schermo. Gli occhi schizzavano da una parte alla altra in maniera pressoché incontrollabile, tradendo un' accozzaglia di emozioni.
- E' stata sottoposta a tre interventi. Due per il seno e una per i glutei. Sono intervenuto anche sui piedi. Tutti le partecipanti hanno piedi piccolissimi. Vanno di moda, ora.
- Davvero un ottimo lavoro, Ian - disse Jerom - Per il processo di rimozione...
- Lo ho provato già tre volte. Gli innesti sono stati estratti senza problemi. Le cicatrici sono appena visibili per la prima settimana, poi non ne rimane traccia.
 Le concorrenti ruotarono nuovamente su stesse, rimasero ferme una manciata di secondi e poi si allontanarono ai lati opposti del palco, alternativamente. Il presentatore ricomparve, e con un volto serio e mesto guardò in camera, portò involontariamente una mano al risvolto della giacca e annunciò il termine del primo turno e il messaggio pubblicitario che apparve subito dopo.
- Il notiziario aveva parlato di un vero e proprio attentato. Era appena uscito dallo studio di registrazione - disse René mentre si riempiva il bicchiere - Ian lo ha sottoposto a un intervento di sette ore. La mascella si era staccata e pendeva dal resto della testa.
- La mandibola era staccata, René. La mascella era pressoché intatta. Ora è bellissimo, come prima - disse Ian e con difficoltà riuscì ad ignorare gli occhi di Jerom fissi su di lui.  
 La prima volta che uscirono insieme, Ian rimase colpito dalla bellezza dell'uomo. Vi somigliate, diceva sua moglie, ma Ian non sembrò molto entusiasta. Come persona, Ian aveva trovato Jerom troppo artefatto, spugnoso, ne detestava all'inizio quel senso di tacita arroganza che emanava e quell'aria sparuta di uno che nonostante si senta fuori posto, abbia piacere a bagnarsi in quel suo stesso liquame di ferrea compostezza. Ora però ne riconosceva alcune doti. Deve essere selvaggiamente innocuo, pensava mentre vuotava l' ennesimo calice. A me piacciono le persone innocue, pensava. Notò che Anne si era voltata verso il bassorilievo alle loro spalle.
- E' davvero bellissimo - disse.
- E' splendido, si. Io e Jerom ne abbiamo parlato a lungo, prima - disse sistemandosi il foulard di seta con un breve e puntato tocco di mano. Senza volerlo, le parole uscirono secche e taglienti dalle labbra leporine.
 Pensava alle due statue in bagno di cui Jerom non si era accorto e alle quali lui teneva molto. Regali del signor Seelow, anch'essi, come il bassorilievo. Un regalo in segno di ringraziamento per l'intervento chirurgico a cui era stato sottoposto e che gli aveva restituito il volto spappolato dalla furia della folla. Un operazione che aveva permesso a Ian di far partecipare Sara al suo programma televisivo. Gli occhi di Anne vagavano lentamente per tutta la lunghezza del bassorilievo, studiandone ogni particolare.
 Posizionato tra la porta della cucina e il corridoio, esso occupava l'intera superficie della parete alle spalle del divano in pelle. V'erano raffigurati una decina di putti in pose differenti: chi con un' arco in mano, chi in un fasullo atteggiamento di preghiera, chi con la braccia allargate nel tentativo di toccarsi con le dita le ali, chi con lo sguardo perso nel vuoto e le braccia lungo i fianchi. Mostravano pettorali induriti, vene gonfie sulle braccia e sopra il pube, rigonfiamenti inopportunamente intumescenti sparsi qua e là sui corpi compatti e forzuti. Gli arti non avevano sempre le stesse proporzioni, cosicché una gamba poteva essere notevolmente differente dall'altra, benché appartenesse al medesimo corpo. Lo stesso accadeva per le braccia e in particolare per le mani e le dita; un indice  aveva pressapoco le stesse dimensioni di un femore: una caviglia era larga come un collo, un ginocchio nodoso e gonfio come una nocca. Vi erano inoltre due Amazzoni, una delle quali senza capelli e due piccole corna che spuntavano sulla fronte. Ballavano su due pezzi di un capitello abbandonato a terra, tra le rovine di un tempio di cui non rimaneva che un abbozzo di facciata ricoperta da una fitta vegetazione e da rampicanti di diverso tipo. Le pose lasciavano capire un accenno di ballo tribale e poco coordinato, una caduta evitata, uno scatto bloccato e congelato nell'esplodere di contrazioni muscolari.
 Gli occhi erano socchiusi, le palpebre sbilenche e le braccia tese nell'evidente tentativo di afferrare le corpose e smisurate eiaculazioni proveniente dagli organi genitali dei putti. L'intero bassorilievo era realizzato in onice, le cui venature e le differenze cromatiche rendevano i dettagli nitidi e carnosi. Seelow, durante l'incontro che seguì l'operazione, fu molto preciso e dettagliato nel descrivere a Ian le caratteristiche del materiale. Orgoglioso della sua opera, ne elogiava le proprietà traslucide e diafane e le differenti tipologie di struttura fibroso-compatta, fibroso-raggiata o fibroso-parallela del materiale. A Ian quei termini suonarono più eccitanti che tecnici, quasi contenessero al loro interno, nascosti tra le lettere, un significato più profondo che ne giustificasse appieno il proprio utilizzo nella realizzazione del bassorilievo. Alcuni elementi, i capezzoli e le cosce affusolate delle figure femminili, le rivoluzioni circolari e curve di sperma e i pettorali dei putti, sporgevano dalla superficie di diverse decine di centimetri. In più occasioni, perlopiù involontariamente, Ian e sua moglie utilizzavano quelle protuberanze come temporanei appendiabiti. Era affascinante, diceva spesso Ian mentre sedeva in cucina con René, vedere una cravatta pendere da uno spruzzo d sperma o una capello a tesa larga appoggiato sui glutei bombati di un Amazzone.
 Qualsiasi musica diffondesse il pannello di controllo, sembrava che i protagonisti del bassorilievo fossero perfettamente in grado di seguirla e quasi di valorizzarla.
Le due coppie si trovavano in quel momento placidamente avvolte dalle forme rigide e palpabili del bassorilievo alle loro spalle e dalle lingue di carne siliconata olografica, che sinuose e rarefatte s'espandevano dallo schermo.
 Le eiaculazioni e i nervi rigonfi, i capelli delle Amazzoni e le dita nerborute dei putti gettavano ombre lunghe sulle tende beige e sulle pareti spoglie della casa, mentre il televisore faceva in modo che esse prendessero vita, illuminandole con spettri cromatici variegati e sempre mutevoli. Jerom pensò che non ci sarebbe potuta essere situazione più somigliante con la realtà. La velocità ci insegue. Ciò che abbiamo alle spalle coincide con quello che abbiamo di fronte e ciò che ci lasciamo alle spalle, ritroveremo davanti a noi, sotto sembianze diverse.
- Al prossimo show verranno annunciate le vincitrici - disse René guardando Ian, dal cui viso s'irradiava uno sguardo fiero e soddisfatto.
- Sara era la più bella, non è forse così? - domandò Jerom senza tuttavia curarsi della risposta.
L'uomo sorrise:
- Partecipano centinaia di candidate alle selezioni. Il signor Seelow non mi ha promesso niente, Jerom. Assolutamente niente. E' già tanto che abbia consentito a Sara di partecipare. E' sempre stato il suo sogno. La abbiamo portata quattro volte ai provini, ma è sempre stata scartata. Troppo alta, dicevano una volta, troppo magra, dicevano la volta successiva. C'era sempre un motivo per non farla partecipare. Anche le protesi temporanee che le innestavo non erano mai adeguate. Troppo piccole, dicevano una volta, troppo regolari, dicevano la volta successiva. Per non parlare dei glutei e dei polpacci. Non sono affatto facili da modellare. Anche gli zigomi e la bocca sono difficili da scolpire. Quando le ossa non hanno finito di svilupparsi completamente, bisogni essere cauti con gli innesti, si rischia che i tessuti vengano danneggiati irrimediabilmente. E' capitato. Ad alcune concorrenti è successo. Ci sono chirurghi che non conoscono bene il loro lavoro. Dopo lo show sembravano statue di cera sciolta. Colleghi che lavorano al Sant Daise, l'ospedale dove lavoro io, me ne hanno parlato. Si sono ritrovati sul lettino quei corpi. Sembravano dei volatili implumi. La pelle si era afflosciata a tal punto che si ripiegava su se stessa, come strati di panna.  
- Anche Alice voleva partecipare - disse Jerom dopo una breve pausa.
 Ian gli scoccò un' occhiata interrogativa, come se quella domanda e la conseguente introduzione di quel nome mai sentito prima avesse apportato all'aria tiepida di settembre una ventata gelida e asfissiante.
- Nostra figlia, Ian - disse Anne battendo le palpebre.
- Avete figli? - domandò René con occhi sgranati.
 D'un tratto parve a Ian di intravedere un fascio di luce tra quel gomitolo di elementi che caratterizzavano i due ospiti. Prese a torturarsi il foulard. La cordialità, la difficoltà a tradurre le loro parole e i loro gesti, l'eccessiva condiscendenza. Ora quella visita sembrava trovare una piena giustificazione. Le persone si  assomigliano tutte, pensò. Tentò di andare indietro con la memoria. L'incontro all'assicurazione per il problema del tamponamento avvenuto in Corsica. La cena, il ristorante sul mare. Avevano parlato poco, a tavola. Si era divertiti, avevano mangiato lentamente, bevuto molto. Non avevano parlato poco a tavola. Il tamponamento. L'invito a cena. La bocca era aperta in una smorfia ebete e i denti s'appoggiavano delicatamente sul labbro inferiore. Afflosciato sul divano e i palmi delle mani rivolti verso l'alto, sembrava che Ian si fosse congelato nell'aria inerte settembrina. Impossibile, pensò, mentre si tirò su:
- Non sapevamo aveste una figlia. Non ne avete mai parlato.
- Non è venuta con noi in Corsica. Era con la figlia di una nostra amica.
  Ian fece scivolare lo sguardo per tutta la superficie dello schermo. Per un attimo, non sapeva più dove guardare e una ventata di calore lo avvolse.
- Ti senti forse poco bene? - domandò Jerom e Ian non pote non notare quella punta di indistruttibile indecifrabilità che oscillava nei suoi occhi, come un panfilo inaffondabile in un mare in tempesta. La tempesta sarebbe finita e il panfilo avrebbe portato a terra i passeggeri, incolumi.
- Benissimo, Jerom. Sto benissimo, grazie - disse, senza quasi muovere le labbra.
- E' la cosa a cui tiene più al mondo - riprese Jerom con voce rinvigorita - Io e Anne abbiamo tentato in tutti i modi di farla partecipare, ma sin dalle preselezioni avevamo capito che non le avrebbe superate.
- Non è facile - interruppe René - Non è affatto facile. Seelow si è comportato da vero gentiluomo con Ian.
- Dovreste essere in buoni rapporti, ora, voi e il signor Seelow - disse Jerom guardando le proprie mani che passavano lente sulle gambe e sulle ginocchia.
- Gli ho ridato una vita. La chirurgia plastica è un'arte, sotto tutti gli aspetti. Seelow lo sa bene. Lui per primo è un artista eccelso. Si può rendere tutto perfetto - interruppe Ian.
- Non tutto ha bisogno di esserlo - sussurrò Anne.
- Quell'operazione non è stata affatto semplice, Jerom. Per ringraziarmi Seelow mi ha donato quest'opera - buttò stancamente la mano all'indietro, in direzione del bassorilievo - e le due statue che abbiamo messo in bagno.
Le hai viste le statue, Jerom, quando sei andato in bagno? - domandò volgendo lo sguardo repentinamente verso l'uomo, dopo averli staccati dallo schermo dove le partecipanti del secondo turno cominciavano a scendere la gradinata.  
 Jerom dischiuse la bocca e cercò subito un posto, un qualsiasi posto dove buttare lo sguardo. Le grinze della camicia color canarino di Ian, e il suo monogramma JD sul taschino del golf scollato. Il vaso con i mozziconi. Deglutì, senza staccare lo sguardo dal viso lezioso di Ian.  Aveva fatto scorrere l'acqua, quando era in bagno. L'aveva fatta scorrere a lungo, guardandola scendere nello scarico, mentre le dita stringevano la ceramica fredda del lavandino. Le nocche erano diventate quasi bianche. Aveva controllato il cerca-persone, digitato un numero, dopodiché lo aveva spento. Si lavò le mani con furia, strofinandole vigorosamente. Aveva sputato nel lavandino e si era sciacquato la bocca a lungo guardandosi nello specchio. Collutorio, saponette color malva, asciugamani con le iniziali. Poi si sorrise, più volte, lisciandosi i capelli, fissando la saliva che gli scendeva sul mento. Aveva visto le due statue ai lati della vasca da bagno. Certo che le aveva viste. Due putti, con seni enormi e organi genitali maschili, chini su se stessi. Con le dita delle mani toccavano le dita dei piedi. Le teste, su cui
s'arricciavano confusamente nuvole di boccoli, guardavano di lato, verso l'alto, ghignanti come demoni dai volti adolescenti.  
- Penso di non averci fatto caso, Ian. Certo che dovi essere in buoni rapporti con il signor Seelow, ora - continuò cambiando repentinamente argomento - Quanto varrà questo bassorilievo, Ian? Un milione? Due milioni? Non te lo avrebbe regalato se...
- Non ne abbiamo mai discusso e io, personalmente, non gliel'ho mai chiesto.
 Sulle schermo, la regia inquadrò i corpi nudi delle nuove concorrenti. Questa volta i seni turgidi e sproporzionatamente gonfi erano trattenuti da un nastrino verde acceso.
- Cosa c'è, René? - domandò Anne intromettendosi nella discussione dei due uomini. Notò il volto accigliato della donna, che, presa alla sprovvista, si girò con un movimento meccanico e secco.
- La...la concorrente numero tre. Non mi convince.
- Ian...pensi che potresti... - iniziò  Jerom senza tuttavia terminare la frase.
- Ha il monte di venere troppo pronunciato.
- Non ci vedo niente di male.
- Quella peluria anche, non mi convince. Il concorso è riservato a partecipanti da otto ai dodici anni. Quella concorrente ne ha sicuramente di più.
- Ian...ripeté Jerom - Ian, è importante per noi, quanto lo è per te. E' nostra figlia. La conoscerai. Sei un chirurgo eccelso. In confidenza con il signor Seelow. Possiamo pagare gli innesti, di questo puoi starne certo. Io e Anne guadagniamo bene con il nostro lavoro. Quanto alla selezione... se tu potessi parlare con il signor Seelow o almeno cercare di...
- Dubito, Anne, che quella concorrente abbia più di dodici anni - disse René.
Ian fu pervaso da un torpido senso di fastidio. Gli ospiti lo stavano irritando. Tutte quelle domande, i quesiti sottaciuti, la gentilezza petulante, le richieste sottaciute e appena accennate erano emerse in una chiara supplica. Emise un lungo sospiro accompagnato da una leggera smorfia. Ne aveva abbastanza di Jerom e della sua fasulla condiscendenza. Era stufo di condividere lo show con quella stupida coppia conosciuta in vacanza. In fondo, pensò, è sciocco frequentarsi solo perché si è stati vittime di un banale tamponamento. Tutta la faccenda era finita lì, disse tra sé e sé. L'assicurazione aveva provveduto a tutto. Perché sua moglie era stata tanto stupida da accettare l'invito di Jerom e sua moglie a vedersi nuovamente? Qualche chilometro in più all'ora e ora se li trovava in casa, Jerom e Anne, Anne e Jerom, due perfetti sconosciuti. Sospirò un altra volta, più rumorosamente possibile. Voleva solo godersi in pace lo show. Che idea aveva avuto sua moglie ad invitarli a casa per vedere la prima apparizione di Seelow dopo l'incidente?
- Ci sarà un audience di 50 milioni di telespettatori - aveva detto fuori dall'ufficio assicurativo, in strada - Potremmo vederlo tutti insieme, che ne dici, Ian ? - Lui aveva acconsentito, non gli sembrava poi un idea malvagia. Ora se ne pentiva. Le concorrenti sparirono ai lati del palco e Seelow annunciò l'interruzione pubblicitaria.
- Quando sono troppo belle, certe cose terminano prima del previsto - mormorò Ian.
- Come? - domandò Jerom.
 Sulla pelle tirata e bianca del divano tamburellarono spazientite le dite di Ian. Più volte. Ian parve riprendersi da uno stato comatoso e alzò la bottiglia di champagne, vuota.
- Ci vorrà un po' prima del prossimo turno. Andiamo a prendere un po' d'aria - disse alzandosi. Senza aspettare il consenso della moglie né dei coniugi Belt, abbassò il volume del televisore al minimo e si diresse al quadro comandi. Dvorak. Danza Slava Numero 7. Gli avrebbe fatto bene uscire  all'aria aperta, si sarebbero assopiti i vapori dell'alcol e i suoi pensieri avrebbero trovato forse un po' di tregua. I sensi si sarebbero rilassati. I coniugi Belt e René si alzarono a loro volta dal divano e passando davanti al bassorilievo René ne toccò con una mano la superficie, che sfiorò la testa di un putto, scese sulla bocca contratta e infine sui pettorali induriti. Dopodiché raggiunsero Ian in giardino. Camminava con la testa rivolta verso il basso. Si voltò a controllare dove fosse sua moglie. Ella sorrideva mentre parlava con Anne. Gesticolavano animatamente. Notò Jerom voltarsi e portarsi una mano nella tasca. Estrasse un cerca-persone, lo controllò, lo rimise nei pantaloni. Anne gli si avvicinò e le labbra si mossero, appena. Forse stavano cominciando a non sentirsi più a loro agio, pensò Ian. Forse stavano cercando una scusa per andarsene. Forse si sentivano loro stessi imbarazzati dal aver avanzato quella richiesta. La Danza Slava si interruppe, bruscamente, e le note della Sarabanda tornarono all'attacco.
- Dovresti farlo aggiustare quel quadro comandi, Ian - disse Jerom con un filo di voce.  
- Ogni cosa ha i suoi difetti. La sarabanda ha un fascino ineguagliabile, solenne - Ian, a cui l'aria fresca aveva giovato, liberò involontariamente una gentilezza di cui non si credeva capace, ma di cui anzi si stupì lui stesso e rassicurato dalla possibile dipartita degli ospiti, si sentì ancor più rasserenato. Tutto stava lentamente tornando alla normalità.
- Bellissima - rispose l'uomo - Fu anche messa al bando, diversi secoli fa. Attorno alla metà del '500, mi pare. Quando sono troppo belle, certe cose terminano prima del previsto.
 Una cicala aveva cominciato a stridere e le due coppie camminavano ora distanti. Jerom e Anne percorrevano lentamente il vialetto illuminato dalle alitate ambrate dei lampioncini. Piccoli sciami di insetti s' agitavano nevrotici sopra le loro teste. Preceduto dalla moglie, Jerom si diresse con una andatura decisa e al contempo flemmatica verso il gazebo. Si sedette su una delle sedie di ferro battuto, si tirò su i pantaloni e mormorò qualcosa a sua moglie. Ella aveva raggiunto la staccionata ed aveva appoggiato i gomiti su di essa, guardando l'orizzonte nero sbavato di viola. Jerom accavallò le gambe e si guardò attorno. L'interno della sala si tinse di rosa e le vocina acre di Seelow tornò a raschiare l'interno della villa color panna.
- Il terzo turno è cominciato - Ian si diresse a passo spedito verso l'ingresso, seguito da sua moglie, che con le braccia conserte osservava i piedini piccoli e nudi  affondare nell'erba fresca.  
- Jerom, Anne, non entrate a vedere il terzo turno ? - insistette e sparì dietro le tende.
Jerom non rispose. Sua moglie guardava l'orizzonte.
- Non ce n è bisogno, Ian - rispose Jerom.
- C'è il terzo turno, ora, Jerom - Fece capolino da una delle vetrate - E' per le concorrenti tra i dodici e i sedici anni. Quanti anni ha Alice ?
- Chi è Alice ? - farfugliò Jerom, ma le parole non arrivarono alle orecchie di Ian.
- Jerom... . Sulla fronte bassa s'erano create alcune gocce di sudore e i capelli impomatati si erano sciolti e sembravano ora un cesto carico di salamandre. La camicia usciva dai pantaloni e il foulard gli abbracciava il collo come una animale morto. Aveva tutta l'aria di essersi svegliato dopo una lunga dormita.
- Proprio una bella casa - disse Jerom a bassa voce.
Alle sue spalle, sulla stradina sterrata che spaccava in due la collina, compressa tra i campi di lavanda, una nuvola di polvere cominciò ad alzarsi sotto il cielo carico di stelle. Dello spicchio di luna non si vedeva che una minuscola fetta spuntare brillante tra due grattacieli. Anne si voltò verso suo marito. Dalla bocca uscirono poche parole, dopodiché la testa della donna puntò decisa verso Ian. Gli zigomi e gli occhi accennavano a un sorriso, ma la bocca e la mascella erano un blocco unico e solido. Le note della Sarabanda si mescolavano ai nomi delle nuove concorrenti. Le urla registrate del pubblico si fusero con le note di Händel.  
- Jerom ! - gridò Ian. Goffo, fece un passo fuori dalla porta.
 Un rumore sordo si sprigionò dalla nuvola di polvere e come piccole esplosioni, si allargarono due circonferenze luminose. Diventarono quattro, diventarono sei. Si ingrandirono in maniera impercettibile e quando presero la curva in discesa, si delinearono poco alla volta i profili di tre furgoni bianchi. Come vecchie anime di furibondi cavalli al galoppo bucavano la notte nera. Gli steli di lavanda ai bordi della strada si contorcevano, come in preda ad uno spasimo delirante. La silhouette di René comparve tra le tende che ora pendevano inerti. Portò le mani al petto e la bocca sottile si dischiuse un poco. Gli ululati del cane, che poco prima aveva accolto sereno il rientro del padrone, laceravano ora l' aria mentre i fasci di luce rosata dello schermo tuonavano alle spalle dei coniugi Dedier.
 Ian si bloccò sul sentiero di cotto, a pochi passi dall'ingresso. Gli parve di udire alcune parole provenire dalla bocca di Jerom, ma capì solamente "champagne".
 Il pomo d'Adamo saltellò sotto il mento. Gli occhi spalancati fissavano ora Jerom, comodamente seduto sotto al gazebo, ora i tre furgoni, che percorrevano l'ultimo tratto di strada prima dell'ingresso delle villa. Una seconda cicala prese a stridere mentre il crepitio degli anelli della catena del cane e le note della Sarabanda si tendevano nell'aria calda di settembre.

© Riccardo Falletta terafina





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