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La lente
di Alessandro Tanfoglio
Pubblicato su SITO


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Anselmo stava scrivendo la lettera di risposta alla rivista d'arte contemporanea che ultimamente aveva recensito un paio di sue opere. Nella recensione Anselmo aveva potuto leggere come il critico sostenesse che fosse un giovane in gamba ed un artista interessante, e spiegò come nelle sue opere si potesse notare quello spiraglio di luce, segno indiscutibile della sua autenticità e del suo talento. Era una lama di luce sottile, intendeva sottoscrivere il nostro eminente critico, ma era una luce vera, sincera, e per questo incandescente. Era una luce che abbagliava gli spettatori. Una luce che bruciava le mani e gli occhi. Quel tipo di luce che può nascere solo dall'intuizione, dalla genialità di un giovane come lei, scrisse l'eminente. Em. sosteneva che l'obbiettivo del ragazzo doveva essere l'espansione dello spiraglio di luce. E per far questo Anselmo avrebbe dovuto impegnare tutto se stesso: Anselmo avrebbe dovuto lavorare così duramente su quella luce da scalpellarsi le mani e da rovinarsi la vista dal suo bruciore.

A parere di Em. Anselmo avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle tutto quel buio e quell'oscurità che accompagnava sempre così fortemente lo spiraglio di luce perchè non erano altro che una puerile dimostrazione, per giunta plateale e boriosa, della sua bravura, della sua autenticità, della sua genialità intuitiva. Le ombre sfocalizzavano il punto centrale delle sue opere: la luce. Ma Em. scrisse anche che Anselmo era ancora molto giovane e che quelle leggerezze e quelle esagerazioni, simbolo di una puerilità acerba che deve ancora maturare, se le poteva ancora permettere.

Concludendo Em. avvertiva Anselmo che, proprio perchè così giovane e artisticamente casto, non doveva lasciarsi prendere troppo dai complimenti che aveva largamente ricevuto negli ultim tempi. L'eccesso e la boria, mio caro giovane, scriveva Em., non sono neppure da ritenersi serpenti infausti, ma solo bisce. Bisce fastidiose. Il successo e la fama non sono leggerezze così problematiche inizialmente, ma voglio avvertirla personalmente che possono farle perdere tempo prezioso; e con l'andare del tempo soprattutto farle perdere quella naturalezza del gesto e quella castità di cui lei risente così fortemente. Lei è giovane, e deve sapere che le grandi vette si raggiungono solo dopo grandi scalate. Così scrisse e così saggiamente concluse Em., eminente critico della rivista “Arte in Fede”, mensile patinato, costoso e reso celebre dalle grandi firme che presentava.

 Anselmo, proprio adesso, scriveva la lettera di risposta.

Gentile Signore, scriveva Ans, se è questo che intende, io non ho mai pensato di essere migliore di nessun altro, Signore. Io conosco un po' di artisti. Ho amici artisti. Vedo i loro lavori e loro vedono i miei. Ci confrontiamo. E devo dire, Signore, che alcuni lavori li trovo anche belli. Loro trovano lo stesso di alcuni miei. Ma non esageriamo mai con i complimenti. Ogni volta che ci confrontiamo e che parliamo e discutiamo delle nostra opere lo sa cosa ci rimane sui piedi, Signore? L'Insoddisfazione. Siamo insoddisfatti. Perennemente insoddisfatti, Signore. È qualcosa che non possiamo controllare, ma l'insoddisfazione è il nostro paio di occhiali. Ci permette di vedere meglio le cose. Vediamo le cose. Ne siamo insoddisfatti. Ma continuiamo a confrontarci. Capisce signore? Non so se mi capisce. Per parlare con lei di queste cose dovrei conoscerla bene. E io non la conosco, Signore. E per quanto mi riguarda in fatto di conoscenze rimango sempre dello stesso parere di mia madre. E per quanto riguarda discutere di queste faccende, be' sono dell'idea che devi procurarti dei conoscenti fidati, prima. Degli amici che conosci assolutamente bene e che conoscono altrettanto bene te. Con loro potrai discuterne quanto vuoi. Degli amici fidati. Un tavolo. Caffè. Sigarette. Non ci serve altro.Ans si fermò una prima volta e rilesse ciò che aveva scritto. Poi riprese. 

Noi, Signore, facciamo la fame qui. Glielo dico solo per informarla. Facciamo la fame, ma continuamente ci sforziamo di produrre qualcosa di buono. Qualcosa che non ci faccia discutere o parlare. Qualcosa che ci faccia stare zitti. Dobbiamo farlo. L'importante per noi, Signore, è farlo. Perchè me lo lasci dire Signore, quello che conta per noi è l'arte. L'Arte. E se glielo scrivo è perchè voglio essere assolutamente sicuro che lei lo capisca. E quando sostengo di non ritenermi migliore di nessun altro, le dico la verità. L'Arte. Tutto il resto non ci interessa. Tutto il resto ci fa sentire insoddisfatti. Le luci ci fanno sentire insoddisfatti. Le luci con le ombre alleviano la nostra insoddisfazione. Le ombre ci insoddisfano enormemente...

Ans si fermò una seconda volta. Rilesse dall'inizio ciò che aveva scritto e riprese.

Insomma, quante riviste al giorno dovrei leggere per essere completamente sicuro di essere apprezzato? Quanto tempo dovrei spendere per voi critici? Lo capisce che questo per noi non conta? Che questo, al massimo, viene dopo? Certo, sono consapevole del fatto che molte volte mi comporto come se lo fossi, e che molte volte non posso non ammettere di non averlo pensato. Come se fossi cosa? Si chiederà. Come se fossi il migliore, Signore. Il fatto di darsi delle arie e tutto ciò che comporta il darsi delle arie. Le voglio dire Signore che se l'ho pensato è perchè ho visto intorno a me alte montagne, Signore. Parlo di grandi montagne, Signore. Enormi montagne fumanti di merda. E allora, Signore, in alcuni di quei sinceri momenti mi lasci almeno la libertà di pensarlo. No? Lei pensa che non dovrei? Che è stupido da parte mia? Be', Signore, io non la conosco, lei non mi conosce. Sono fattacci suoi. E questi sono fatti miei. E la smetta di trattarmi come un bambino. E si compri una torcia se vuole vedere tutta questa luce nei quadri di oggi. È solo un consiglio.

Salve Signore.

Anselmo ripose la penna. Rilesse la lettera e rise. Poi uscì per imbucare la lettera. Fischiettando per la strada Anselmo arrivò fino alla cassetta delle lettere. Imbucò la lettera e si incamminò nuovamente. “Fatto!” Pensò Ans. Era una bella e primaverile giornata di aprile. Faceva fresco ma ormai l'inverno aveva lasciato la città per un viaggio di sola andata per chissà dove. Hei bella questa! “Un viaggio di sola andata per chissà dove.” pensò Ans. Avrebbe potuto scriverlo nella lettera... E senta, Signore, prenda tutte le sue parole e le ficchi in una valigia e butti la valigia su un treno per un viaggio di sola andata per chissà dove. Ma andava bene così.                                                                                                               

Per strada il ragazzo salutava i passanti con un sorriso soddisfatto. «Heilà!», «Salve signora!», «Come va!». Camminava agilmente, trasportato dalla sua irrequieta felicità, saltellando e fischiettando con le mani in tasca. Ad un certo punto però il ragazzo dovette fermarsi e portare la sua attenzione su un manifesto. Inaspettatamente si trovò a leggere qualcosa di sorprendente.

ARTHUR FLINK
La magia del vuoto”
Esposizione giugno – febbraio
Palazzo Maggiore

Anselmo rilesse il manifesto. Arthur Flink. Esposizione. Mandò giù un fiotto di saliva e, Dio buono! Ma come aveva fatto a non notarlo prima? Arthur Flink! Esclamò il ragazzo passandosi una mano nei capelli. Arthur Flink! Uno dei suoi artisti preferiti. Ans sapeva tutto di Arthur Flink! Conosceva l'intera opera di Arthur Flink! E semplicemente lo riteneva un genio al pari di tutti gli altri geni che anche voi conoscerete. Arthur Flink! Ed era esposto a due passi da casa! Anselmo corse per la strada incredulo.                         
A casa la signora Schubert era nella cabina dell'atrio.

«Salve signor Ans.»

«Ciao Anna.»

«Dove va' così di corsa?»

«Devo fare una cosa.»

Ans salì velocemente le scale. Entrò in camera. Aprì un libro. Vi estrasse una banconota. “Speriamo che bastino” pensò. Poi scese.

«Esce di nuovo?» Gli chiese la signora.

«Sì, ci vediamo Anna.»

«Starà via molto?»

«Penso di sì.»

«Devo prepararle qualcosa per pranzo?»

«No Anna.»

«Non c'è problema.»

«Arrivederci.»

Ans uscì in strada velocemente. Correva. Poi però rallentò. “Calmati, sei eccitato come una ragazzina.” si disse. Percorse cinquanta metri a passo lento, salutando i passanti, con le mani in tasca e fischiettando. Poi però le sue gambe ripresero a correre. Il ragazzo corse fino al palazzo.

Dopo pochi minuti Anselmo arrivò davanti al palazzo coi capelli arruffatti ed il fiato corto. Davanti al portone d'ingresso vide il nome in grande di ARTHUR FLINK. Ans sospirò. Dopodichè entrò nel palazzo.

Dentro c'era solo una ragazza al banco d'entrata.

«Salve.» Disse la ragazza.

«Salve.» Disse Ans. Cadde il silenzio. La sala era ampia e luminosa.

«Mi fa un biglietto?» Disse Ans.

«Certo.» Disse la ragazza.

«Quanto è?»

«Cinque euro il biglietto. Se hai una carta studente entri gratis.» La ragazza sorrideva.

«Sei studente?» Gli chiese la ragazza. Anselmo si passò una mano nei capelli.

«No.» Disse, ficcandosi le mani in tasca. Le porse la sua banconota guardandosi intorno. Non c'era nessun altro nella sala.

«Non ha qualcosa di più piccolo?» Gli chiese la ragazza.

«Eh no.» Disse Ans, grattandosi la testa.

La ragazza prese la banconota, stampò il biglietto e porse il biglietto ad Ans. Poi gli restituì ben cinque banconote e qualche moneta.

«Salve e buona visita.» Disse la ragazza, che sorrise chiudendo gli occhi.

«Grazie.» Disse Ans, e si avviò verso l'ingresso.

Erano quasi le dieci e mezzo quando Anselmo iniziò la visita. Dopo il primo passo all'interno di quelle stanze alte e senza finestre, il tempo per il ragazzo si trasformò in un ronzare continuo di termosifoni e nel vagare assorto come un pesce nel silenzio del museo, annusando l'odore di colla e detersivo, pittura, plastica e polvere: l'odore dell'arte in un museo. Ans passò attentamente tutte le stanze del museo. Guardò e scrutò tutte le opere e tutte le installazioni di tutte le stanze. I soffitti. Le finestre. I bagni. Ans era incredulo ma soddisfattissimo. Insomma era alla personale di Arthur Flink! E aveva tutta la mostra per sé! Non un'anima viva! Non un rumore! Che eccitazione! Ma come tutte le cose belle, anche quella bellezza doveva finire. Infatti, proprio in quel momento, Anselmo si affacciava nell'ultima stanza della mostra e il ragazzo poteva già sentire quell'emozione che provi quando esci da un museo, simile ad un sollievo. Dalla porta poteva vedere l'uscita del museo. La fine della mostra. Eppure, prima che la magia finisse del tutto, il ragazzo ebbe una sorpresa. Nella stanza semibuia infatti c'era qualcosa che Anselmo non aveva mai visto prima. Né nei cataloghi, nè in internet o nei libri di storia dell'arte. Sull'unica parete illuminata della stanza la luce disegnava un arco luminoso, e sotto l'arco c'era una tela. La tela. Quella doveva essere l'opera.

Anselmo si passò una mano nei capelli e fece un passo nella stanza. Si guardò intorno. In tutta la stanza c'era solo quella tela. Ans respirò profondamente e si diresse verso l'opera. Arrivò ad un passo dall'opera e guardò e scrutò meglio la tela. Era bianca e rettangolare, di media grandezza. Era una tela bianca. Il ragazzo lesse la targhetta.

 

 DIE KUNST IST WAHRHEIT – L'ARTE E' VERITA'

di Arthur Flink

1936 (Creata tra Monaco e Roma)

Anselmo si emozionò immediatamente. “Ma questo è semplicemente straordinario!” Pensò il ragazzo. “Ma questo è assolutamente geniale!” Si disse. Ma non si fece prendere troppo da affanni intellettuali e scrutò la tela da più vicino ancora. Ne scrutò gli angoli e i bordi, attentamente. Le cuciture e l'odore della tela. Dopo qualche minuto Ans potè constatare ufficialmente che la tela era bianca. Ma doveva essere solo una comune tela bianca? Cosa significava? Cosa intendeva dire Arthur Flink? Ans sentiva di essere davanti ad una grande prova d'artista. Davanti ad un'opera che diventa storia, leggenda. Davanti ad una di quelle opere che devono far pensare molto e che devono assolutamente far parlare di sé. Una di quelle opere che quando le vedi ti fanno provare la stessa emozione di segnare un goal a porta vuota. Eccola lì! La tela bianca dell'artista! Una semplice tela bianca? No! Era davanti all'arte che è verità, e alla verità dell'arte. Verità bianca come una tela nemmeno sfiorata, vergine. Non del tutto però! Non del tutto! Con spropositata sorpresa Ans notò proprio nel centro esatto della tela una macchietta. Un puntino nero. Qualcosa di veramente minuscolo, ma di percettibile. Ans pensò infatti di averlo percepito già da lontano, ma di non averlo visto. “Lo sentivo che c'era qualcosa di strano.” si disse il ragazzo, profondamente scosso dalla scoperta.

Ora Ans si sentiva come ci si potrebbe sentire dopo aver notato un pepita di cioccolato in un gelato alla stracciatella. Ans era davanti alla verità dell'arte. Un segreto enorme, ma contenibile ed evocativo. Un segreto invisibile ma percepibile. Qualcosa che Anselmo non aveva mai visto prima. Il ragazzo cominciò a sudare.

Sì. L'opera davanti a lui, così flemmatica e immobile, imponeva movimento allo spettatore. Ans cominciò a muoversi davanti alla tela come un giocatore di pallanuoto e si mise a scrutare avidamente la macchietta. Vi si avvicinò ancora di più.

«Scusi.» Si sentì nell'ombra.

«Sì?» Disse Ans voltandosi come un pollo a mezzogiorno.

«Non si può stare così vicini.» Disse un omone con la giacca.

«Oh. Mi scusi.» Disse Ans.

L'uomo grugnì e tornò nell'ombra.

Anselmo si passò una mano nei capelli. Guardò la tela. L'uomo lo guardava. Ma doveva significare qualcosa quella macchietta? Doveva essere qualcosa? Forse c'era scritto qualcosa? Sì, doveva voler dire qualcosa, si convinse il ragazzo. Anselmo attraversava un periodo in cui riusciva a darsi molte risposte.

C'era qualcosa in quella macchietta, solo che ci voleva un mezzo per scoprirlo.

Trasportato dalla sua geniale intuizione giovanile Anselmo rilesse la targhetta per assicurarsi che non gli fosse sfuggito niente. Lesse fra le note che l'opera, creata tra Roma e Monaco esclusivamente per un pubblico italiano e tedesco, era stata personalmente soprannominata dall'artista – e stiamo parlando sempre di quell'Arthur Flink di prima – come “VERGRÖßERUNGSGLAS”. E allora in quell'istante la mente di Anselmo Sal cominciò a girare e girare come un flipper pazzo e al ragazzo venne in mente come la Signora Schubert un pomeriggio cercasse sul dizionario TEDESCO – ITALIANO & ITALIANO – TEDESCO il termine lento, come soprannome per l'anziano signor Merletti che da tempo ogni mattina le portava fiori freschi; ma Merletti era talmente lento col suo bastone e così zoppicante per la sua vecchiaia che la Schubert non potè non riderne privatamente con Ans, e mentre lei rideva tutta arrossata dal gran ridere a causa del suo cattivo italiano cercava sul dizionario il termine lento, facendo scorrere i termini sulla le. Attentamente leggeva ogni termine. Lesse il termine lente, linse, poi lesse lente di ingrandimento, vergrößerungsglas. Lente di ingrandimento! Pensò agilmente il ragazzo che fermò il suo cervello in corsa e si disse: Anselmo, sei geniale! A quel punto Ans si mise a correre.

Ripercorse tutte le stanze a ritroso. Arrivò nuovamente all'ingresso del museo. Nella stanza c'era solo la ragazza al banco. Ans si diresse verso di lei.

«Salve.» Disse la ragazza.

«Salve.» Disse Ans. Ci fu un istante di silenzio.

«Posso chiederle un'informazione?» Chiese Ans.

«Certo.» Disse lei.

«Senta, lei ha, avete una lente?»

«Una lente?»

«Sì, una lente d'ingrandimento. Non riesco a vedere una cosa.»

«Non riesce a vedere? Che cosa?»

«Vede, sbadatamente ho dimenticato gli occhiali e non riesco a vedere bene le opere.» Ans si passò una mano nei capelli.

«Ah ah.» Fece la ragazza.

«Mi farebbe un immenso piacere, sa'. Sono talmente buie le stanze... »

Anselmo cominciava a prenderci gusto.

«Non ho capito bene. Le serve una lente?»

«Sì. Una lente di ingrandimento.»

«Ah! una lente d'ingrandimento!»

«Sì!»

«Aspetti un istante.» Disse la ragazza che scomparve dietro una porta.

Ans rimase dov'era. Si mise le mani in tasca. Si passò una mano nei capelli. Rimise le mani in tasca. Poi la ragazza ricomparve.

«Mi dispiace. Non abbiamo lenti.»

«Ah.» Disse Ans. Poi ci fu silenzio.

«Allora be', salve!» Disse, e uscì velocemente dalla sala. Appena fuori si mise a correre. A casa doveva avere ancora la sua vecchia lente.

Adesso per strada non c'era più sole. C'erano nuvole. Ci fu persino un tuono, ma nel caos di gente e nella foga della corsa Ans non ne sentì il roboare. Qualche gocciolina cominciò già a cadere quando Ans arrivò a casa.

«Già qui!» Disse la Signora Schubert dalla portineria.

«Sì.» disse Ans. Corse su per le scale e pensò che la lentre doveva essere nel cassetto del tavolo. Si lanciò in camera e in volo aprì il cassetto del tavolo. Svuotò il cassetto in aria. Il cassetto era pieno di fogliacci. La lente non c'era. Allora Anselmo si mise a cercare tra i libri. Sotto le tele. In bagno. Nella vasca. Sotto gli asciugamani. Nella libreria. Sotto il materasso. Ma la lente non c'era da nessunissima parte. Poi saltò nuovamente in corridoio e gridò.

«Dov'è la mia lente, Anna?» Si rilanciò in camera.

«Dice a me?» Disse la Schubert, uscendo dalla portineria.

Ans ricacciò fuori la testa dalla camera.

«Dov'è la mia lente?»

«La lente? Quale lente?»

«La mia lente di ingrandimento.»

«Io non ho mai visto lenti di ingrandimento qui.» Disse la Schubert, che dopo aver pronunciato quelle parole slittò velocemente in portineria.

La verità era che la signora Schubert utilizzava da tempo la lente di Ans. Aveva trovato la lente infondo al cassetto del tavolo, quando le era ancora possibile fare le pulizie nella stanza del ragazzo. Aveva visto la lente e l'aveva trovata un oggetto interessante, e quando scoprì quanto quella lente le faceva leggere meglio di qualunque altra cosa tutte le sue riviste e tutti i suoi romanzi, be' la lente divenne ufficialmente sua. Tuttavia non ebbe mai il tempo di riferirlo ad Ans.

Ora, la signora Schubert afferrò la lente tra le sue riviste e i romanzi. Poi si diresse velocemente in cucina. Nemmeno lei seppe il perchè. Girò su se stessa. Aprì un cassetto ed infilò la lente in una tovaglia piegata. Poi richiuse il cassetto. Silenzio. La signora riprese a respirare. Sospirò ed inspirò. Poi riaprì il cassetto e riprese la lente e ricorrendo nell'atrio si mise a gridare «L'ho trovata! L'ho trovata!»

Anselmo era sotto il suo letto e stava cercando di smuovere un'asse dal pavimento. Sentì la Schubert gridare dall'atrio «L'ho trovata! L'ho trovata!»

«La lente?!»

«Sì la lente!»

Ans allora corse giù per le scale e rotolò fino ai piedi della Schubert. Lei gli porse la lente.

«Dov'era?» Gli chiese Ans.

«Era in cucina.»

«In cucina?»

«Sì, l'ho trovata casualmente. Stavo cucinando ed eccoti lì la lente!»

«E come ha fatto a finire in cucina?»

«Ah, non lo chieda a me.»

Ans si passò una mano nei capelli. Poi disse «Be' io vado.»

«Ma come? Dove va adesso? E' quasi ora di pranzo!»

«Torno tardi Anna.»

E dicendo questo Ans corse fuori mentre la Signora Schubert pensava a come avrebbe fatto quel pomeriggio a leggere i suoi romanzi.

Fuori pioveva. Anselmo uscì nel pieno dell'acquazzone primaverile con i tuoni e i lampi e il vento che soffiava sull'asfalto. Corse per la strada e nuotò fino al museo, prendendosi tutta la pioggia possibile che un uomo possa prendersi. Dopodichè, coi vestiti zuppi e appesantiti, entrò nel museo.

«Salve.» Disse alla ragazza, passandosi una mano nei capelli grondanti.

«Salve.» Disse lei. Poi ci fu silenzio.

«Senta, sono stato qui circa un quarto d'ora fa.» Disse Ans.

«Sì?» fece lei.

«Ho il biglietto se vuole.»

«Bene.»

«Vuole vedere il biglietto?»

«Perchè?»

«Insomma, vorrei sapere se devo pagare di nuovo.»

«Che cosa deve pagare, scusi?»

«Il biglietto. Ho il biglietto se vuole.»

Ans fece per tirare fuori il biglietto di tasca e immergendo la mano l'acqua strabordò dalla tasca come da una spugna. Poi mise quello che doveva essere il biglietto sul banco. La ragazza guardò il biglietto.

«Senti,» disse lei, «questo è il mio primo giorno qui. Non vorrei già avere grane.»

Ci fu un istante di silenzio.

«Quindi?» Domandò Ans.

«Credimi. Non lo faccio con cattiveria. Ma è meglio se prendi un nuovo biglietto.»

Ans si tirò indietro i capelli bagnati. Tirò fuori una banconota umida e lei gli diede un nuovo biglietto.

«Grazie e buona visita!» Disse la ragazza.

«Grazie a lei.» Disse Ans, lasciandosi dietro una scia d'acqua.

Ma Ans era di nuovo al museo e solo questo contava e velocemente ripercorse tutte le stanze che aveva già visitato. Arrivò nella stanza. L'omone era sempre nell'ombra. La tela era nella luce. Ans entrò nella stanza e finalmente si avvicinò all'opera. Senza dare nell'occhio impugnò la lente. Tirò fuori di tasca la lente. Si chinò sulla tela. La macchia era ancora lì. “Cristo,” pensò il ragazzo “ormai ci siamo”. Con la lente cerchiata si avvicinò alla tela. Vide la superficie ruvida e bianca e cucita della tela ingrandirsi ed amplificarsi e velocemente gli occhi del ragazzo si diressero verso il centro della tela. Mise la lente sopra la macchietta. Socchiuse gli occhi sulla lente e lesse qualcosa. C'era evidentemente scritto qualcosa. Si avvicinò ancora. Mise a fuoco.

«Scusi.»

Ans si risollevò dalla tela, ficcandosi la lente in tasca come un ladro.

«E' quasi l'una. Stiamo per chiudere.» Disse l'uomo.

«Sì?» disse Ans.

L'uomo lo guardò.

«Solo un istante.» Disse Ans.

L'uomo continuò a guardarlo.

«Un minuto.» Lo pregò Ans.

«Un minuto.» Disse l'uomo.

Ans riportò velocemente la sua attenzione sulla tela individuando con la lente la macchietta. Non riusciva ancora a leggere. Si avvicinò ancora ingrandendola avvicinandosele. Ma non avrebbe potuto avvicinarsi di più. La macchietta si ingrandì e si suddivise in tanti piccoli puntini. “È più complicato di quanto pensassi.” pensò Anselmo, che si avvicinò ancora alla macchia mentre nella sua mente tutti i suoi ricordi si arruffavano arrotolandosi fra loro in un caos polveroso di libri, articoli e critiche e monografie su Arthur Flink. Arthur Flink! Portavoce della rappresentazione della dissoluzione della realtà, di questo assurdo gioco delle parti amalgamato di mistero. Arthur Flink e il gioco tragico dell'umanità nella straripante generalizzazione dell'individuo odierno. Puoi volare se lo desideri. Arthur Flink e l'eterna lotta tra la realtà fittizia del vuoto e la verità della realtà del pieno. Realtà divisa in due verità uniche ed incomparabilmente contrastanti. Il pieno e il vuoto. La fatuità del vacuo e la vacuità delle relazioni umane in contrasto con la ricerca della libertà. Perchè snocciolare una verità quando la puoi avere in grande? Verità e libertà nell'arte! Vita piena sognante del pieno che è vacuo e del vacuo che è pieno. È tutto un pieno vacuo magico inscindibile dalla spiritualità che mai si genuflette alla verità dell'arte, per l'arte e nell'arte! Ed Arthur Flink diventa lo splendido portavoce della dissoluzione di questo tragico destino delle parti, ma che ogni uomo, che ogni anima sincera può vedere, oggettivamente parlando ma soggettivamente interferendo perchè è lì, semplicemente lì davanti ai suoi occhi! Semplicemente straordinario, ma del tutto vostro: Arthur Flink.

Ans avvicinò ancora la lente alla tela e lesse.

ABER WAS FÜR EIN IDIOT!

SCEMO CHI LEGGE!

Dopo aver letto Ans distolse lo sguardo dalla tela. Poi però riportò l'attenzione sulla macchietta. Rilesse. Poi rilesse ancora. Rialzò la testa.

«E' ora.» Disse l'uomo.

Anselmo ripose la lente in tasca. Si guardò intorno. Fortunatamente non c'era ness'un altro nella stanza.

© Alessandro Tanfoglio





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