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Calze
di Massimo Martinelli
Pubblicato su PBSE2019


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Ad un certo punto ci mettemmo a parlare di collant.
Ce ne stavamo sotto un grosso albero sul bordo della strada fumando e chiacchierando come fossimo ad una scampagnata. Ogni tanto rotolava nell’aria l’eco lontana di un’esplosione.
Il fatto di essere lì, seduti sull’erba umida all’ombra di un grosso castagno a conversare di qualsiasi cosa ci passasse per la mente in quel caldo mattino di giugno, bè, era una gran pacchia. Il ronzio degli insetti si stendeva come un tappeto fra noi e l’orizzonte.
Forse i collant non li avevano ancora inventati. E’ possibile che mi confonda e che non li avessero ancora inventati. Forse parlammo soltanto di calze di nylon. Ad ogni modo ricordo la faccia di Ethan, sporca di terra e segnata dalla stanchezza, con la cicca appesa alle labbra screpolate, quando prese a dirmi di quanto lo eccitasse mettere le calze ad una donna. Disse che niente lo eccitava di più del vestire una donna. Cominciando dalle calze, ovviamente.
Questa non l’avevo mai sentita. Dissi.
Non sai di cosa parli. Rispose Ethan, e mentre aspettavamo gli altri per cominciare a muoverci, mi raccontò della prima volta che vide delle calze di nylon.
Sua sorella Kate le aveva comperate per venticinque cent ai magazzini Hooker. Quella mattina le vetrine di Hooker erano tappezzate di cartelli che annunciavano la grande novità. Dietro quei cartelli c’era l’imponderabile. Neanche il sole riusciva a penetrare quella cortina.
All’epoca- disse Ethan- con venticinque cent potevi farci un pasto decente con birra, caffé e tutto. Comunque sia, Kate si fece buona buona le due ore di coda e poco prima di pranzo se ne tornò a casa con un paio di quelle costosissime calze nella borsa. Qualche giorno dopo sbirciando dal buco della serratura, Ethan la vide mentre le indossava.
Era bravo Ethan a raccontare storie e mi raccontò per filo e per segno della sorella e delle sue gambe tornite. Di come lei avesse arrotolato con cura quella pelle di serpente – disse proprio così – fino quasi a farla scomparire fra le mani, e di come ci avesse infilato il piede tendendolo in avanti, e avesse fatto risalire la calza su fino alla coscia, superando lentamente l’ansa livida del ginocchio. Mi disse di come la sorella avesse fatto la stessa cosa con l’altra, mentre il sole del primo pomeriggio penetrava nella stanza dalle tapparelle abbassate per metà, per danzarle sui fianchi.
Alla fine – disse – alla fine mia sorella si piazzò davanti allo specchio e voltandosi di tre quarti tirò su la sottoveste e si dette un gran colpo sulla coscia. A mano aperta. Ciaff! Non avevo mai sentito un suono così. Avresti dovuto vedere la sua faccia. Mica ce la facevo, mia sorella.
Sei completamente matto. Dissi. Ma quanti anni avevi? Di’un po’.
Ethan sogghignò e il fumo della sigaretta gli finì di traverso nella gola trasformando il sogghigno in tosse. La sigaretta- quel che restava- cadde sugli scarponi impolverati. Non lo sai - disse fra un colpo di tosse ed il successivo - non lo sai che il buon vecchio Wallace H. Carothers ha inventato il nylon nel 1938? Già. Nella sua fabbrichetta di Wilmington, Delaware, doveva farci polvere da sparo, capisci? Invece... bingo! Se n’è venuto fuori con la trovata del secolo. Nel 1940 aveva già venduto sessantaquattro milioni di paia di calze. Dico! Fai un po’ tu il conto.
Rimasi per un po’ ad osservarlo senza dir niente, senza fare conti. Ethan accese una sigaretta, tirò indietro la testa, chiuse gli occhi e mandò fuori il fumo. Ora posso morire. Disse. Morire adesso potrebbe andarmi bene. E sai perchè? Perchè sono stanco. Sono così stanco che non è la morte a farmi paura, ma il fatto di dovermela andare a cercare. Già. Ho paura a farmi le tre miglia fino a quel paese. Dover scendere lungo il fianco della montagna e arrampicarmi di nuovo, mentre mi sparano addosso. Buttarmi a terra, rialzarmi, correre, di nuovo buttarmi a terra fra le schegge di granata che cercano di fottermi...Di affrontare questo ho paura. Mica della morte. Quante volte lo abbiamo fatto Ned? Quante volte ancora lo dovremo fare? E poi questo è un bel posto. Mi piace l’Italia, Ned. E questo posto è veramente okay. Hai visto la montagna? Così cupa, solitaria... c’è un che di misterioso lassù, ma non cattivo. Non è come a Cassino, Ned. Niente sarà mai come sul torrente Rapido. Tutti quei ragazzi con la pancia gonfia che passavano ad un metro da noi portati giù dalla corrente, tutti quei corpi ammassati nell’acqua bassa del guado, incastrati fra le rocce ed il filo spinato. Abbiamo camminato sui cadaveri, Ned, mentre ripiegavamo.
E’ bello qua, Ned. Come si chiama quel paese? Santa...? Guarda sulla carta Ned.
Tenevo la carta appoggiata sulle gambe. La presi e la orientai. Nel quadrante c’erano segnati quattro centri abitati. Due potevamo vederli ad occhio nudo, sul fianco della montagna. Orientai la carta e lessi il nome. Santa Fiora. Si chiama Santa Fiora. Dissi.
Che bel nome. Non ti pare un bellissimo nome Ned? Queste sante...qua in Italia ce ne sono parecchie. Devono essere state delle donne bellissime Ned. Io non so di preciso cosa significhi, né perchè facciano santo qualcuno, ma di sicuro, Ned, quelle ragazze devono essere state bellissime e devono avere fatto qualcosa di talmente buono, talmente grande per la loro gente, che poi hanno chiamato i posti migliori con i loro nomi.
Che bello Ned. Ora potrei morire. Sono così stanco che se accadesse non ci rimarrei male.
Per tutto il tempo Ethan era rimasto con la testa buttata all’indietro, gli occhi chiusi. La sigaretta gli si era consumata fra le dita della mano abbandonata sull’erba.
Stavamo risalendo la penisola. Roma era già acqua passata e del resto noi della trentaseiesima l’avevamo appena sfiorata. Non siamo fra gli eletti, ci dicevamo per buttarla sullo scherzo. Roma è per gli eletti. Non si diventa eletti facendosi massacrare un assalto dopo l’altro su uno schifoso torrente. Ci sono altri modi.
Eravamo penetrati in Toscana dal Lazio cinque giorni prima. Gli inglesi erano passati per Bolsena e lì si erano battuti di nuovo, mentre noi eravamo risaliti dalla parte della costa. Poi la divisione aveva deviato verso l’interno.
A differenza delle altre regioni che avevamo attraversato, la Toscana ci apparve meno aspra. I rilievi erano coperti di boschi e i campi, con l’erba nuova, erano verdi e profumati. Da giorni avevamo notato il profilo della montagna. Incombeva sulla nostra strada.
Sai cosa vorrei Ned? Disse Ethan tirando su la testa. Vorrei regalare un paio di calze di nylon a questa Santa Fiora. Un paio di quelle col rigo dietro. Che ne dici Ned?
In quel momento il resto del plotone esploratori sbucò dalla curva. I ragazzi avanzavano lentamente, curvi sotto il peso degli zaini, le armi spianate. Sugli elmetti avevano sistemato dell’erba e delle foglie tenuti insieme da un nastro di caucciù. Il tenente ci vide e alzò la mano per dare l’alt. Ezechiele! Urlò. E’ un coglione! Risposi.

Nel primo pomeriggio il plotone esploratori della trentaseiesima texana si mosse in direzione del paese. Dalla postazione d’artiglieria divisionale sul Monte Labro partirono alcune salve d’aggiustamento. Avevamo occupato le alture intorno ed il nemico aveva da giorni cominciato a ritirarsi verso Siena. Ci dicevamo fra noi che sarebbe stata una passeggiata. Ma mentre avanzavo con lo zaino in spalla e il Thompson al fianco, non fu esattamente quello il mio pensiero.
Due compagnie di fucilieri del primo battaglione aspettavano a ridosso del torrente in secca. Quando arrivammo alla loro altezza Ethan riconobbe un compagno e si fermò. Noialtri della squadra proseguimmo. Ethan ci raggiunse dopo un paio di minuti. La nostra artiglieria copriva l’avanzata mantenendo una linea di tiro qualche centinaio di metri davanti a noi. Guarda. Disse. E mi mostrò un paio di calze di nylon. Me le ha date Frank. Disse. Sapevo che le aveva. Te l’ho detto Ned: le voglio regalare alla “nostra” Santa. Mi sono costate due pacchetti.
Speriamo che abbia il piede della misura giusta, dissi. E delle gambe come si deve. Un ora dopo eravamo a ridosso delle prime case.

Sdraiati dietro al muretto di marmo di una fontana, osservavamo la cima di un campanile dove ci avevano segnalato dei movimenti sospetti. Il plotone non aveva incontrato resistenza, a parte alcuni tiri di un mortaio subito zittito dalla nostra artiglieria. Dietro il plotone esploratori erano entrate anche le due compagnie di fucilieri. Il nemico si era ritirato, ma rimaneva il problema dei cecchini e delle trappole esplosive.
Il paese era costruito sulla roccia ed era distribuito su tre livelli. Noi eravamo entrati dalla parte alta, attraversando un bosco di castagni alle spalle di un cimitero. Stavamo scendendo quando ci segnalarono la probabile presenza del nemico sul campanile.
Hai sempre voglia di morire? Chiesi a Ethan. Lui non rispose, armò l’otturatore e lasciò partire una raffica contro la sommità del campanile. Poi aspettammo. Nel frattempo lei arrivò.
La Santa aveva gambe come si deve. Salì la ripida strada che portava alla chiesa in quel caldo pomeriggio di giugno, portando con sé la bellezza e il coraggio ed un fiasco di vino. Fu lei a dirci, o meglio a farci capire che il nemico se n’era andato sul serio. Si avvicinò sorridendo tenendo il fiasco contro il ventre con entrambe le mani.
Toccai la spalla di Ethan. Lui si voltò e la vide. Subito agitò il braccio per avvertirla di mettersi al riparo, ma lei fece una faccia buffa senza fermarsi, facendoci capire che nel campanile non c’era nessuno. Si avvicinò e ci porse il vino. Ci alzammo. Ethan prese il fiasco e bevve un lungo sorso, poi toccò a me e bevvi un lungo sorso. Era buono. Era la cosa migliore che avessi mai bevuto. Ne presi ancora. Ci fece capire che potevamo tenere il resto del vino. Un vento leggero percorse le vie strette portando con se l’odore di legna bruciata; le mosse appena i capelli. Ethan le guardava le gambe. Appoggio il Thompson, si tolse lo zaino dalle spalle e tirò fuori le calze di nylon.
La guerra sarebbe durata ancora parecchio. Saremmo arrivati a Firenze solo in Agosto e poi ci saremmo battuti per tutto l’inverno sull’Appennino e il sergente Ethan B. Morasco sarebbe caduto durante una ricognizione sul crinale fra Pianosinatico e l’Abetone il 25 febbraio 1945, dopo essere sopravvissuto a Kasserine e al Rapido. Ma quel giorno, in quel piccolo paese costruito su uno sprone di roccia trachitica, sulle pendici di una montagna coperta di boschi, quel giorno la guerra sembrò essere giunta alla fine. Ethan aiutò la ragazza ad indossare le calze e lei lo lasciò fare. I nostri zaini e le armi erano appoggiati a terra, io fumavo una sigaretta ed Ethan era chino alle prese con le gambe della ragazza, attento a non sciupare le calze con la pelle screpolata delle mani. Lei sorrideva e dalle case intorno cominciarono ad uscire donne e bambini.
Quando le ebbe indossate chiedemmo alla ragazza di fare qualche passo, così, per vedere l’effetto. Il sergente le fece fare una giravolta tenendola per la mano. Bene. Disse.
Hai ancora voglia di morire? Chiesi. Non lo so Ned. Ma se accadesse non ci resterei male. Davvero.

© Massimo Martinelli





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