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Il fiume Lete
di Matteo Guerrini
Pubblicato su SITO


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Allo stagno di fronte alla veranda mancava giusto la firma rossa di Monet sull’acqua scura. Le ninfee e i fiori di loto giacevano placidamente sopra il riflesso di un olmo maestoso, un albero magnifico che si stagliava con dignità secolare contro il cielo terso. La luce calda di un tramonto senza fine inondava il paesaggio. Una tenda bianca ondeggiava nella brezza lascando intravedere l’interno  della casa, una sola piccola stanza. Una stuoia e due cuscini, un tavolo con una sedia costituivano l’intero arredamento. Nella veranda, due poltroncine di vimini erano rivolte verso il laghetto. Non serviva altro. Nessuno aveva bisogno di mangiare o di dormire, andare in bagno o ripararsi dal freddo, nè lo avrebbe mai avuto. Ogni tanto pioveva, ma non faceva freddo. Non era neanche una pioggia da cui fosse necessario ripararsi. Pioveva solo perchè si potesse godere delle gocce di pioggia che facevano fremere le foglie dell’olmo e la superficie dello stagno.

Alessando si sedette su una delle due poltroncine. Lasciò che lo sguardo abbracciasse l’intera visuale senza concentrarsi su niente in particolare. Il movimento di un uomo adulto che passeggiava lungo la sponda del laghetto attirò il suo sguardo. Da quando era arrivato, non gli era capitato di frequente di vedere qulacuno laggiù. Aveva rimuginato tra sè e sè per diverso tempo, aveva osservato e ascoltato, ma ora aveva voglia di scambiare due parole. Sicuramente si trattava di una persona interessante. Uscì e si diresse in direzione dello sconosciuto. Avvicinandosi potè scorgere il profilo di un uomo giovane, vestito in modo semplice. Portava i capelli raccolti in un codino e una gonna a pieghe, scura e lunga fino ai piedi. Presto gli fu chiaro che si trattava di un samurai. Quando gli fu vicino, questi si volse verso di lui “Salve. Io sono Heizou” disse, chinando lievemente il capo in avanti in segno di saluto. Alessandro fu colpito dalla nobiltà dei modi di quello sconosciuto. “Io sono Alessandro. Ti ho visto dalla veranda. Quanti hanni hai?”

Ovviamente il senso di questa domanda non era letterale. Le anime non contano gli anni come gli uomini. Dopo la morte non ci sono più giorni, stagioni e anni, e poi un’eternità è sempre un’eternità. Solo gli uomini, oprressi dalla paura della morte, contano gli anni. L’anima nasce in ogni bambino e cresce con lui. Può capitare che l’anima venga sengata dalla sofferenza o schiacciata dalla paura, atrofizzata dall’edonismo e ossessionata dal desiderio. Tuttavia quella non è la vera forma dell’anima, ma piuttosto la camicia di forza che le viene imposta dalla limitatezza della condizione umana. Esistono anche uomini chapaci di non soffocare la propria anima. Sono molto rari, ma quando se ne incontra uno è impossibile non riconoscerlo. Dopo la morte l’anima sopravvive al corpo, torna libera e va in quello strano paese che alcuni chiamano paradiso. Là, assume la forma che le è più naturale. Non si tratta di un corpo vero e proprio, un corpo solido per intenderci, ma comunque l’anima non è inconsistente, ha una sua materialità. Non sono mica fatte d’aria le anime! Si possono ben toccare e hanno un aspetto esteriore. Per la verità è così anche sulla terra, ma gli uomini sono così concentrati sulla corporeità che non lo notano mai. Una volta libere, le anime hanno più o meno l’aspetto che gli uomini avevano da vivi nel momento in cui furono più felici e realizzati.

La domanda era convenzionale. Si sarebbe potuta tradurre con “Quanti anni avevi da vivo nel momento in cui avevi l’aspetto che porti per l’eternità?” ma tutti chiedevano semplicemente “Quanti anni hai?”. Alessando lo aveva imparato nel poco tempo trascorso dal suo arrivo.
 “Venticinque. E tu”
“Ventotto. Sei un samurai, vero?”
“Beh, lo ero. Ma dato che qui sono un’anima e non sarò mai nient’altro, sarò un samurai per l’eternità, mi pare”
“Non ci avevo pensato. In effetti, essere “qualcuno” è una caratteristica prettamente umana. Io ero un calciatore.”  
Heizou lo guardò senza fretta da capo a piedi come se volesse comprenderlo completamente con quello sguardo. Infine si soffermò a guardarlo negli occhi.
“Non deve essere molto tempo che sei qui” disse infine.
“Sono appena arrivato, anche se non saprei dire da quanto. Non ci sono orologi, non c’è giorno e notte. Il tempo non scorre, qui. Ma tu devi essere vissuto moltissimi anni fa. Probabilmente ne sai molto di più di me di questo posto”
“Non c’è molto da sapere di questo posto. Però forse c’è una cosa che non sai. Sei stato giù al fiume?”
“No”
“Vieni, ti farò da guida.”

Percorsero un largo sentiero attraverso il bosco. Dopo un lungo tratto il sentiero affiancò un ruscello trasparente che scivolava sopra un letto di grosse pietre tra i rami ricurvi delle felci. Il fragore di una cascata rimbombava in lontananza. Quando giunsero alla sommità del precipizio Heizou si fermò e gli indicò la pianura sotto di loro stendendo il braccio. Oltre la cascata, il fiume si dipanava ondivago nella pianura. Lungo le sue sponde, grandi caseggiati immersi nel verde brulicavano di figure in movimento. Alessando non aveva ancora visto tante anime tutte insieme. Ecco dov’erano tutti! Se lo chiedeva da un po’, ormai, dove fossero tutte le anime del passato. Dovevano esserci tante anime in quello strano paese quanti uomini sulla terra, aveva pensato. Forse meno, o forse più. Sapeva che la popolazione mondiale in passato era molto minore rispetto a quella attuale. Sommando tutti gli uomini che erano vissuti prima di lui si superavano i miliardi di uomini vivi? Alessandro non sapeva rispondere. In ogni caso si aspettava di trovare un sacco di gente, mentre nel bosco passava qualcuno solo di rado. Eccoli laggiù, tutti quanti! Molte domande affollavano i suoi pensieri. Perchè lui viveva appartato e non insieme a tutti gli altri? Perchè anche Heizou stava nel bosco? Chi li aveva mandati lassù? Lui si era trovato lì, non ci era andato per scelta. Era stato lo stesso anche per la sua guida? Il samurai interruppe il filo dei suoi pensieri.

“Hai vissuto a lungo?” chiese Heizou.
“ Quando sono morto avevo 84 anni”
“Mmm. Quindi hai vissuto il tuo momento migliore molto prima di morire.”
“Sì. Avevo ventotto anni quando ero così come mi vedi. Sono stato un atleta molto famoso, l’idolo delle folle e il modello dei ragazzini. Ma soprattutto sono stato felice. Ho realizzato il mio sogno di bambino e sono stato pagato e ammirato per averlo fatto. Questa che porto è la divisa della mia squadra. Avevo anche delle scarpe, ma le ho tolte. Qui non servono”
“E tu? Hai vissuto a lungo?” soggiunse.
“Ho vissuto quanto viveva in media un samurai nel Giappone dell’epoca Sengoku. Sono morto in battaglia a venticinque anni”
“Quindi hai l’aspetto che avevi nell’ultimo giorno”
“Ho l’aspetto che avevo in punto di morte. Le ferite sono rimaste sul corpo, però”
“Quindi eri contento di morire in battaglia”
“Lo ero. Morire in guerra è una fortuna per un samurai, è la miglior morte possibile. I miei discendenti mi hanno ricordato con orgoglio e ammirazione. Sono morto realizzando il mio sogno. Ero stato educato così” tagliò corto “Vieni, andiamo giù al fiume”

Scesero lungo un viottolo di pietre rese viscide dagli spruzzi della cascata. Poco dopo stavano camminando sugli argini del fiume. Dalle grandi case bianche che si susseguivano lungo le sponde entravano ed uscivano migliaia di bambini correndo, gridando, giocando allegramente fra loro. Sembrava una colonia estiva di quelle in cui Alessando era stato mandato ai tempi della sua infanzia, ma non c’era nessun adulto A controllare. I bambini giocavano liberi. In fondo non erano bambini e quella non era una colonia estiva, pensò.
“La maggior parte delle persone durante la vita rimpiange la propria giovinezza, i tempi passati, l’innocenza perduta. Quando l’anima è libera, diventano di nuovo bambini e giocano per l’eternità. Sono felici” Non c’era alcun disprezzo o senso di superiorità nelle parole di Heizou. Era un dato di fatto. Quasi tutti tornano bambini, in paradiso, e vivono lungo il fiume. “prova a parlare con uno di loro, fermane uno che ti sembri familiare”.
Alessando si guardò intorno. Inizalmente gli sembrò che tutti quei bambini fossero uguali, poi si accorse che non era affatto così. I più piccoli erano nudi, camminavano appena e non avrebbe saputo dire se potevano parlare. La maggior parte di essi dimostrava una decina di anni. Improvvisamente un ragazzino si girò nella sua direzione. Alessando fu colpito con la somiglianza con il proprio volto e gli fece un cenno. Quegli gli si fece incontro. Alessandro aveva la netta sensazione che avrebbe potuto essere suo figlio. Forse uno dei suoi discendenti era morto giovane? “Ciao, sono Alessandro Montagna. Come ti chiami?”
“Io sono Mario. Ero Mario Montagna” rispose quello. Improvvisamente tutto intorno si fece silenzioso “Ero tuo nonno. Sei diventato un uomo” I due si abbracciarono. Alessando sentì una sensazione di calore salirgli dentro dal profondo. Sciolto l’abbraccio, guardò suo nonno tenendolo per le spalle, come si fa con i ragazzini. Se ne rese conto e lo lasciò andare per rispetto. Non c’era niente da dire, ora. Erano felici di essersi incontrati, solo questo. Non si chiesero dei familiari. Il nonno non gli chiese se stavano bene. Lo sapeva, e poi le anime non hanno più paura della morte, perciò la sofferenza non è altro che un caso della vita.
“Vivi su nel bosco, vero?” Alessandro annuì “Torna a trovarmi. Ora devo andare al fiume, i miei amici saranno già arrivati. Ho ritrovato i miei amici di un tempo qui. Sono felice”
Alessandro avrebbe voluto chiederlgi di suo padre, ma il nonno era già sparito verso il fiume.
“Per oggi basta” disse Heizou “torniamo indietro”

Risalirono il sentiero fino alla cascata. Quando furono in cima, si voltarono di nuovo ad ammirare la pianura lussureggiante sotto di loro. Alessando guardava pensieroso quelle piccole anime che si intravedevano a migliaia lungo il corso del fiume. In lontananza non si scorgeva nessuna città, solo un aimmensa pianura verde punteggiata di case bianche.
“Oltre la pianura c’è il mare. Un giorno potremmo viaggiare fin là, se ne avrai voglia” Alessandro annuì ma non rispose. “Mi sembri deluso. Non ne vedo il motivo”
“Vedi, qui sono quasi tutti bambini”
“Cosa intendi dire?”
“Voglio dire che hanno vissuto delle vite piene di rimpianto. Molti di loro hanno avuto una famiglia, dei figli. Hanno faticato tutta la vita per costruire una casa per i loro cari, lottato per le proprie necessità, magari inseguito i propri sogni. Alla fine però, erano più felici da bambini, quando tutto questo non era ancora stato”
“L’infanzia è il periodo più felice della vita”
“La vita è infelice, quindi. La coscienza di sè porta solo infelicità, mi sembra”
“Le cose non sono sempre come sembrano. Non disprezzare chi vuole essere un bambino, il tuo è un pensiero arrogante” Heizou lo guardò con calma freddezza
“Tuo nonno ha combattuto una guerra?” aggiunse.
“Due guerre mondiali”
“Che tipo di guerra è stata? Ci hai mai pensato?”
“Me lo ha raccontato. Due guerre orribili combattute per lunghi anni acquattati nel fango, fianco a fianco con il freddo, la fame, l’orrore e la morte”
“Deve avere conosciuto la miseria più profonda della condizione umana”
Alessandro iniziava a capire quello che intendeva la sua guida. Un’anima ferita ne porta i segni per tutta la vita. Il nonno ora era un ragazzino, probabilmente quella era l’età che aveva prima della guerra.
Si incamminarono lungo il sentiero. Quando furono nel profondo del bosco Heizou gli chiese senza guardarlo “Tuo nonno ha ucciso altri uomini?”
“Non mi ha mai risposto quando gli facevo questa domanda. Ero solo un ragazzino, e lui non voleva raccontarmi tutto della guerra. Allora divagava, mi raccontava delle storie. In qualche episodio c’erano anche dei morti, ma non mi ha mai detto di avere ucciso qualcuno”
“Tuo nonno era un militare?”
“No, era l’apprendista di un orologiaio prima di andare in guerra. Era ancora un ragazzo. Sai cosa sono gli orologi?”
“Certo, da qua possiamo guardare sulla terra. Ti farò vedere come si fa” promise l’amico ” I civili che hanno ucciso in genere vivono nelle colonie lungo il fiume. Vogliono dimenticare, ma nessuno dimentica nulla”
Alessandro per la prima volta rifletté se era paradiso o inferno, quello. Forse non esisteva alcuna differenza, e forse davvero la beatitudine o la dannazione dipende dalle proprie azioni terrene.
“Tu hai ucciso degli uomini?” chiese Alessando.
“Certo, ma io ero un guerriero. Ero stato educato all’idea di dare la morte fin da bambino, come a quella di potere essere ucciso. Da quando ho memoria, sapevo che ogni giorno poteva essere il mio ultimo giorno. Inoltre la guerra che ho combattuto io era diversa”
“Diversa?”
“Le nostre guerre erano piccole battaglie, duravano pochi giorni. E i miei avversari li ho affrontati guardandoli negli occhi, da uomo a uomo. Non è la morte ad essere insopportabile, ma la morte inflitta con vigliaccheria. Nessuno ha più paura della morte qui, ma la consapevolezza di una vita vergognosa non si può cancellare, anche se quasi nessuno di loro poteva scegliere di non uccidere”
“Quindi i bambini sono davvero anime con dei rimpianti”
“Sì. Il rimpianto di un assassinio è il più difficile da superare, ma molti rimpiangono di avere bevuto, di essere stati egoisti, iracondi  adulteri o gretti. Molti rimpiangono di avere sprecato la propria vita inseguendo cosa di nessuna importanza. Per questo hanno l’aspetto di bambini, di quando erano innocenti”

Alessando guardava l’acqua immobile del laghetto, seduto sull’erba del prato. Era passato qualche tempo da quando erano scesi al fiume. Quanto, non avrebbe saputo dirlo. Vide il samurai passare poco lontano. Lo salutò con un inchino appena accennato. Dopo quella visita, Alessandro aveva riflettuto sul da farsi, su cosa volesse fare ora. Per cominciare, avrebbe cercato le anime di tutti i suoi conoscenti. Prima i parenti, poi gli amici più cari. Poi tutti gli altri, proprio tutti. Magari poi avrebbe cercato le anime del grandi uomini. Non sapeva dove cercarli e come riconoscerli, come avvicinarli e cosa dire loro, ma non c’era fretta, aveva tutta l’eternità per farlo.
Per cominciare, sarebbero andati al mare.

© Matteo Guerrini





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