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Il discorso
di Carla Montuschi
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L’aula era stipata come la metro nell’ora di punta . Era la prima volta nella mia vita che vedevo tutte quelle persone radunate per me, per ascoltare le mie parole. In effetti la cosa suscitava una certa emozione… cosa spinge un piccolo popolo a radunarsi in nome di un unico oratore?

Socchiusi un attimo gli occhi a voler radunare la concentrazione necessaria ed immediato mi arrivò l’odore intenso di tutta quell’umanità mescolata. Soavi fragranze  da donna, dopobarba economici, deodoranti incapaci di annientare del tutto l’odore acre del sudore, aliti di vite così dissimili fra loro che mi pareva surreale potessero trovarsi lì tutti contemporaneamente  e non “ per caso”.

Io ero il motivo di quel caso e portavo dentro di me un discorso raro che avevo intagliato in ore di solitaria meditazione. Parole scelte e cesellate sino a divenire preziose, rarità di concetti che avrei riversato nell’aula, quasi a voler ricoprire le pareti spoglie di elaborati arazzi.

Era l’occasione della mia vita. Avrei potuto donar loro una coerenza altrimenti, data l’eterogenità degli individui, impossibile. Il mio discorso avrebbe amalgamato tutto in un continuum di respiri sino a divenire un unico movimento, un solo organismo pulsante.

Aprii gli occhi e parte del mio discorso interiore si era già tramutato in fatti. Tutto già appariva più coerente, il solo fatto che io fossi lì a catalizzare gli sguardi, aveva instaurato un abbozzarsi di legame.

Feci un lungo respiro  e mentalmente cercai il capo del mio discorso che avrei sciorinato come un lungo filo di perle in cui ogni concetto legato con un nodo all’altro, sarebbe scorso fra le mie labbra senza intoppi.

Pensai .

Nella mia mente si affacciò l’immagine sonora di una parola.

Aspaganato…

Già, proprio Aspaganato! Ma che cavolo di parola era?

Riprovai  l’inizio del discorso che nella mia mente si affacciò così:

“Sono molto Aspaganato di essere qui questa sera con voi…”

Fui terrorizzato dal quel suono interiore… ma che caspita stava succedendo, che voleva dire “Aspaganato”, che centrava con il mio discorso…

Feci appello a tutte le mie energie cognitive e l’unica parola simile che trovavo aver un senso era Appagato ma era ben lungi da ciò che avevo previsto e comunque la ripetessi si contorceva sino  a diventare comunque Aspaganato.

“Sono molto lieto di essere qui questa sera con voi…”  lo ripetei almeno cinque volte mentalmente  e per cinque volte la parola aliena si infilò nell’articolazione tra lettera e lettera ammorbando il discorso…

Decisi così di lasciarmi andare all’assurdo, non potendolo contrastare forse era meglio scendervi a patti. La parola astrusa sarebbe scorsa, senza opposizione,  in un sussurro … forse così nessuno se ne sarebbe accorto.  Riflettei in un tempo indefinito su questo. Sebbene le mie parole sino a quel momento  della mia vita fossero state tutte ben studiate ed ordinate, quante volte nella vita mi era capitato di asserire semplicemente delle assurdità.

“Ti amerò per sempre…”

già, quella era una delle più grosse insieme a “Non mi fai paura!”  o a “Mi basto da solo…”…

Pensieri assurdi espressi con parole coerentemente ordinate. Tutto ciò pareva esser grave se visto da quella prospettiva, più grave del pronunciare “Aspaganato”.

Mi lasciai andare come in un suicidio liberatorio e, come previsto la parola fluì incontrastata dalla mia bocca. Scrutai fra volto e volto tutta la platea. Nessuno pareva essersi  accorto dell’errore, non scorsi il più piccolo risolino beffardo od il minimo segno di perplessità.

La parole cesellate tappezzarono le pareti dell’aula come arazzi, con la particolarità che in ognuno di quei quadri spiccava esattamente al centro un momento di folle incoerenza. Aspaganato sostituì appagato, ammaliato, addentato, ma anche fortunato, implicato, ostentato e sebbene le frasi che con essa produceva la mia bocca sembrassero non avere più un senso, abbracciate al discorso si reggevano, filavano via senza impicci apparenti. Ad un tratto mi parve addirittura di divertirmi,  nascondere quella parola fra le altre era diventato un gioco di abilità. Era un gioco di equilibrio fra assurdo e buon senso.

Pronunciare Aspaganato risultava più lieve di tutte le volte in cui avevo dovuto mentire senza farmi smascherare, era un assurdo reale e non un assurdo calcolato.

La platea non si accorse di nulla. Evidentemente erano lì per coincidere con una parte di me. Aspettavano che un moto del  loro animo fosse messo in risonanza dalle mie parole e non si preoccuparono del fatto che di quando in quando una di esse fosse assurda. La gente non si scandalizza per una parola dichiaratamente assurda, è talmente abituata ad interi discorsi assurdi che probabilmente quella piccola follia è vista come un vezzo, un refuso .

Da quel giorno la piacevole sorpresa della tolleranza della gente nei confronti di una parola tanto astrusa, fece sì che io imparassi ad usarla in modo consapevole. Da allora infatti è mia consuetudine buttar qua e là qualche Aspaganato per dar colore ai miei discorsi. Scivolano in modo sempre più naturale e la gente pare non accorgersene…  gli unici che mi fermano e domandano spiegazione di quanto detto sono i bambini sino ad una certa età. Probabilmente quelli che, vivendo le favole vere, non si sono ancora abituati alle tante assurdità della vita!

© Carla Montuschi





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