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La guerra di Caio
di Roberto Betz
Pubblicato su SITO


Anno 2005- Giovanni Tranchida Editore
Prezzo € 14- 225pp.
ISBN 9788880033202

Una recensione di Heiko H. Caimi
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La guerra di Caio

Caio Moroni è figlio di operaio e nipote di operaio, «il terzo di una generazione ostinata cresciuta con la fabbrica nell’anima»: pane e fabbrica, come sottolinea Roberto Betz nelle prime pagine del suo folgorante romanzo. E per reggere il peso del lavoro sottopagato bisogna avere «le palle dure come il ferro»: un virilismo posticcio nel quale però cadono i lavoratori della Tecnomasio Italiana Brown Boveri, un’industria che produce motori marini e locomotive. Arrivare a fine mese è una conquista, e per arrivarci ci vogliono tenacia, senso del dovere e responsabilità. Poco importa se si è sfruttati: c’è il pane da portare a casa, la sopravvivenza da garantire alla famiglia. Se non si riempie la pancia si muore.
Ivano, il fratello di Caio, non è della stessa idea: cresciuto a fabbrica e libri, si solleva contro quel modo di pensare, non accetta di essere solo il dente di un ingranaggio nel cieco e alienante asservimento alla macchina. Seguendo così le orme ribelli del nonno. E ciò che gli viene opposto dalla famiglia, dagli amici è che «mica è un uomo chi baratta la famiglia per le idee! [...] A criticare son bravi tutti!». Quella stessa mentalità che sta divorando
le nuove generazioni, portate a barattare per un tozzo di pane tutti i progressi sociali duramente conquistati da chi li ha preceduti.
La vicenda inizia nel marzo del ’43, in una Milano che continua a lavorare «in una cieca e ostinata volontà di svolgere il proprio ruolo, aggrappandosi con forza alle inerzie quotidiane», e che accetta passivamente il divieto di scioperare imposto dai fascisti. Sarà Ivano, con l’amico Rodolfo, a inserire il sasso che bloccherà l’ingranaggio: licenziato senza giusta causa, metterà in moto un sciopero che lo porterà prima in prigione, poi sulle montagne a combattere con i partigiani.
Caio no, Caio china la testa e si lascia brutalizzare dal lavoro con la paura di perderlo. «Era tutto deciso fin dalla nascita»: ognuno ha un destino già scritto. E non saranno le vessazioni e le ingiustizie sempre più frequenti, che comincia a vivere in prima persona, a fargli cambiare idea, ma l’amore per Lina e il tentativo di sfuggire alla chiamata alle armi. Che lo porteranno dapprima nei campi di lavoro, poi in una fuga verso la Val d’Ossola per ricongiungersi con la donna che ama. Lì ritroverà anche Ivano, e parteciperà alla guerra partigiana.
Se questo è lo scheletro, non è tutto qui il romanzo del milanese Roberto Betz. La sua è una scrittura densa, piena di notazioni e di particolari, estremamente documentata e con precisi riferimenti storici. Si tratta di un’opera di finzione, ma è anche uno spaccato d’epoca realistico ed efficace. Betz non si sottrae alle contraddizioni dei suoi personaggi, ma anzi le amplifica portandoci a una forte identificazione, che sa condurre con mano ferma lungo il dipanarsi delle pagine.
La guerra di Caio è un romanzo che si legge d’un fiato, avvinti alle vicende dei protagonisti e conquistati da uno stile liscio e immediato che non rinunzia però ai contenuti. Un romanzo di formazione che ci fa riflettere non solo sull’epoca rappresentata ma che mostra, anzi, inquietanti analogie con il nostro presente. E, se nella prima parte è raffigurata la realtà della fabbrica, nella seconda il respiro si apre ai monti, allo scambio non sempre concorde di idee, alla lotta resistenziale e all’amicizia virile. Con un personaggio, Rodolfo, che riecheggia allo stesso tempo gli ideali più alti della lotta sociale, unendo con un filo invisibile la Resistenza al Sessantotto, i diritti violati di allora a quelli profanati nell’oggi, l’esperienza dell’iniquità e della prepotenza dei tedeschi e dei fascisti a quella di chi pretende di governare il nostro presente.
Il potere di seduzione degli ideali più universali è irresistibile, e ci coinvolge non meno di quanto faccia con il protagonista. Anzi, sa aprire domande che sono altrettanti squarci sul nostro presente, portandoci a ragionare sulle scelte e sulle responsabilità, sull’importanza della memoria, delle nostre radici per comprendere non solo il passato, ma la pericolosa deriva nella quale stiamo scivolando oggi, arrendendoci a una barbarie che lega il nazifascismo al potere economico-politico, in una simmetria innegabile ed evidente. Ed è proprio nella trasformazione di Caio, qualunquista che riesce a conquistare con le proprie forze la consapevolezza, che avvertiamo l’importanza di conquistare una libertà che certo nessuno ci regalerà mai. Scopo del potere è evitare che i vessati si uniscano, perché in quel caso non potrebbe tener loro testa e nessuno potrebbe far nulla contro di loro: basterebbe restare uniti per abbattere anche le montagne. Una lezione che la storia c’insegna, e che è la considerazione anche di questo romanzo.


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