Un'autobiografia dalla grande potenza espressiva, drammatica e poetica al tempo stesso. Un viaggio fino alla scoperta dell'inferno nel sogno americano di tanti nostri connazionali emigrati all'estero. E' da leggere il romanzo di Pascal D'Angelo, "Son of Italy". Da leggere e da riflettere.
Pubblicato in America nel 1924 grazie all'intervento di Car Van Doren, direttore di "The Nation", viene fatto conoscere in Italia grazie all'edizione di Antonio Corbisiero, alla traduzione di Sonia Pentola e alla collaborazione di Luigi Fontanella, docente di Letteratura Italiana alla State University Stony Brook di New York.
Pascal D'Angelo, come il noto Jonh Fante, è abruzzese. Nasce a Introdacqua in provincia di L'Aquila nel 1894 da una famiglia di contadini ed emigra con il padre all'età di 16 anni negli Stati Uniti, abbandonando il suo piccolo mondo fatto di infanzia e povertà. "La prima volta che vidi New York, ossia la prima volta in cui mi resi realmente conto di esserci, fu nell'estate del 1914. Là mi ospitò una famiglia di compaesani che alloggiavano con altri abruzzesi in una baracca situata in una zona impervia della Polisades". Il giovane sbarca in America col padre, l'impatto è subito durissimo, sconvolgente e drammatico, ma grazie al dono della "scrittura" e della poesia, l'esperienza di Pascal diventa denuncia della società americana del tempo e "documento/testimonianza" dei sogni e delle esperienze vissute sulla pelle dal "popolo" degli emigranti. "...il cozzare del piccone e il tintinnare del badile, chi lo sente? Solo lo sguardo austero del caposquadra si accorge di me. Quando scende la notte e il lavoro si ferma, badili e picconi restano muti, e la mia opera è perduta, perduta per sempre. Se però scrivo la mia opera non andrà perduta. Resterà qui, dove oggi potete leggerla, come altri potranno leggerla domani. Invece nessuno, né oggi, né domani leggerà mai quello che ho fatto col badile e col piccone". La scrittura dunque, strapperà all'oblio i problemi quotidiani degli emigrati, le esperienze di lavori massacranti e animaleschi, le paure e i sentimenti comuni, la fatica dell'adattamento, la nostalgia e lo sforzo di conservare le proprie radici in terra straniera. Pagine in cui l'autore contrappone l'immagine di una città magmatica come New York "sfuocata, grande, numerosa e indefinibile", alla luminosità del paesaggio natale abruzzese "Introdacqua è abbarbicato in cima ad una bellissima vallata di prati verdi a cui fanno da sfondo le spoglie cime bluastre della Maiella, la madre montagna che si staglia ad est...". Una storia sul dramma dell'emigrazione che dall'individuale si dilata al collettivo e al "gruppo", nelle sue connotazioni sociologiche e storiche, raccontata con una scrittura semplice, lineare, a tratti ingenua, ma dallo sviluppo narrativo stabile e coerente.
A Pascal D'Angelo, scomparso prematuramente nel 1932, all'età di 38 anni, è intitolato il "Centro Studi per la Letteratura di Emigrazione" a Mercato San Severino in provincia di Salerno.