"Erion Monaj smise d'essere di questa vita..., Trovammo la lama spezzata di un coltello da cucina ferma tra la quinta e la sesta costola della gabbia toracica". Il "Prologo" di Le rose si vendicano due volte, di Leonard Morava, scrittore albanese che vive in Italia, e il titolo stesso, già di per sé accattivante e che ci fa immediatamente pensare a Il nome della rosa di Umberto Eco, costituiscono una iniziale intelligente spinta alla lettura, addentrandoci nella quale, contrariamente a quanto ci aspettavamo, le tonalità del noir, come la suspense, si affievoliscono via via, pur persistendo fino alla fine, per far posto ad un realismo intriso di lirismo elegiaco, che nasce da uno scontro tra dolorose realtà legate a sconvolgimenti politici nazionali, miseria, viaggi avventurosi per mare, verso esili forzati, e desiderio di vivere sentimenti puri e profondi, di aderire al ritmo gioioso della vita e della giovinezza. Siamo catturati inevitabilmente dal sospettare in modo fulmineo (era nelle intenzioni dello scrittore?) di Teresa Sasaro, la cameriera della trattoria italiana, e di Simona Brun, la pensionante; sospettiamo un po' di più e più a lungo di Dorata Bardhi e molto di più, poi, di Elvira Kresta... Il corpo senza vita di Erion viene portato nella sua terra d'origine dagli amici albanesi, con cui in giovane età aveva stretto un patto di fratellanza con una sostanza fatta con 40 gocce di sangue di ciascuno di loro, polvere da sparo, tabacco, latte. Le usanze, le credenze e il rito funebre, sulla cui descrizione l'autore insiste con una certa compiacenza, ci fanno ricordare quelle meridionali illustrate ne Il ponte di San Giacomo da L. M. Lombardi Satriani e Mariano Meligrano. Il romanzo, dalle forti tinte biografiche, è impregnato di una dolce malinconia, presente soprattutto nel lento recupero memoriale, e di profonde metafore esistenziali. L' "amore proibito" tra Erion ed Elvira e quello alla luce del sole per le rose e, in generale, per tutti gli altri fiori, alleviano l'atmosfera tesa e le sofferenze causate dal Comunismo albanese, dalla mancanza di lavoro, dalla povertà, dalla mentalità non a passo coi tempi, dalle abitudini arretrate, ecc. "Querer las flores, se encuentra la vida, querer la vida, se encuentra l'amor ». La Puglia all'orizzonte, la clandestinità, il senso d'inferiorità, la lotta per la sopravvivenza, l'importazione in Italia della "cioccolata albanese", l'impossibilità di rinvenire una logica nella tumultuosa ed incalzante casualità degli eventi inducono a conclusioni estreme: "...il mondo è il più grande paradosso del mondo. Lo ami e ti emargina, lo ignori e ti aiuta". Il linguaggio incline alla poesia e materiato di profondo sentire, la trama semplice, ma ben articolata, del romanzo e la storia di Erion, "orfano dell'anima", "fan della fatalità", ci fanno conoscere, sorprendendoci, l'anima dell'Albania e degli albanesi, capaci di sentimenti delicati e di estreme efferatezze, spesso fatalisticamente rassegnati, a cui la cronaca nera, obbediente al principio dell'impassibilità, non è interessata.