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Le reliquie di Sarajevo
di Paolo D'Anna
Pubblicato su SITO


Anno 2016- Edizioni Studio53
Prezzo € 13,00- 112pp.
ISBN N/A

Una recensione di Cinzia Baldini
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Le reliquie di Sarajevo

Le madri hanno lavato i corpi dei figli
Cucito le ferite purpuree rosee sbocciate anzi tempo
I padri si sono inchinati davanti ai volti delle figlie
E hanno raccolto i loro capelli di miele
Nei nastri colorati dalla festa
E tutti hanno pianto
E tutti hanno pregato Dio
Volgendo lo sguardo a Oriente e a Occidente

Come non sentire in questo dignitoso e accorato gemito di dolore il dramma di esistenze strappate prematuramente alla vita? Come non leggere nelle poche, essenziali e lancinanti parole della lirica la tragedia racchiusa in essa?

Cosa aggiungere di più per spiegare i versi appena letti? Forse che il brano è il racconto straziante dell’inconcepibile follia degli uomini o della mostruosa devianza elaborata dal genere umano per assecondare la sua disumanità? Non credo siano necessari tanti giri di parole quando ne basta una, terrificante, luttuosa, evocativa per riassumer il tutto: la guerra!

Non è facile commentare questi versi e ancora più difficile è recensire l’intero volume de “Le reliquie di Sarajevo” scritto dal versatile e poliedrico autore, poeta, artista e regista Paolo D’Anna, senza correre il rischio di scadere nel “già detto” o nelle solite frasi fatte e di circostanza.

Sono liriche sussurrate all’orecchio del lettore, versi declamati con religioso rispetto, parole che fluiscono timide, quasi volessero scusarsi per l’orrore che raccontano. Sono descrizioni di storie e situazioni che, magistralmente rese in fluida poesia, traboccano di amarezza e rendono appieno il senso d’impotenza del genere umano che si trova al cospetto del suo fallimento, che sconta la vergogna di una “civiltà” deliberatamente e coscientemente consacratasi alla violenza, che nell’imperante delirio di onnipotenza ricorre alla guerra per dirimere i suoi disaccordi.

E’ una silloge d’effetto, che scatena brividi di commozione e di raccapriccio, brani dolorosi che graffiano la coscienza come artigli affilati e lasciano l’amaro in bocca ma, sedimentato l’impatto emotivo, ci si accorge del tocco sensibile espresso dal poeta, dell’abilità dell’autore, del colpo di scena magistrale impresso dal regista. Anche in un mondo dove impera la Nera Signora dalla Falce Lucente non tutto è perduto! E come uno spiraglio di sole in un cielo in tempesta, ecco spuntare un anelito di speranza: sono le Reliquie di Sarajevo, ossia i superstiti dell’interminabile assedio portato alla sfortunata città bosniaca nel famigerato conflitto avvenuto oltre un ventennio fa. Una promessa di rivincita lanciata dalla vita sulle macerie ancora fumanti lasciate dalle ostilità. E chi meglio dei sopravvissuti all’immonda guerra civile nella quale, amici, parenti, conoscenti, concittadini, hanno combattuto l’uno contro l’altro per assurdi principi o miserabili credenze di presunte superiorità etniche, religiose, politiche ed economiche, può trasformare tale speranza in realtà? 

Gli scampati ai rastrellamenti, alle bombe, agli agguati e ai cecchini, continuavano come potevano, a far scorrere un rivolo di linfa vitale nelle vene della metropoli martoriata da “…gente che se scanna/ per un matto che commanna;/ che se scanna e che s'ammazza/ a vantaggio de la razza.../ o a vantaggio d'una fede/per un Dio che nun se vede,/ ma che serve da riparo/ ar Sovrano macellaro”, per dirla con Trilussa.

Persone che, nonostante i lutti, gli stupri e le violenze, cercavano di ritrovare l’umanità perduta non solo attraverso il conforto reciproco, ma coltivando, in ogni modo, le arti e la cultura. Un sostegno psicologico e morale, una parvenza di normalità che, inventata per poche ore, spesso per una manciata di minuti, impediva di soccombere o d’impazzire.

L’uomo che se opportunamente manovrato si trasforma in macchina da guerra, l’”homo homini lupus” che riduce la sua esistenza ad un inferno per puro egoismo ed ottusità, se ricorda di avere un cervello e una razionalità e li usa per migliorare se stesso e il mondo che lo circonda, può risorgere dalle sue ceneri è il messaggio positivo che Paolo D’Anna lancia attraverso le palpitanti pagine de “Le reliquie di Sarajevo”. È un appello chiaro è inequivocabile e, benché giunga da un tempo lontano, è, purtroppo, sempre attualissimo. La minaccia, infatti, di un conflitto globale non è poi, tanto insensata e, come una spada di Damocle, pende minacciosa sulle nostre teste.

È un invito a riflettere che accolgo e rilancio, nella speranza che venga recepito da chi siede “ai posti di comando” perché la vita è una e non ne abbiamo altre di riserva.

“Le reliquie di Sarajevo” per molti versi mi richiamano alla mente la “Ninna Nanna de la guera” del buon Carlo Alberto Salustri, forse perché scritta in occasione dell’attentato di Sarajevo che fece conflagrare il primo conflitto mondiale? Non saprei, ma, a questo punto, approfitto dell’ideale accostamento per concludere le mie considerazioni con i versi delle due poesie. L’ironica e significativa chiusa di Trilussa: “…Fa la ninna, cocco bello,/ finché dura sto macello:/ fa la ninna, ché domani/ rivedremo li sovrani/ che se scambieno la stima/ boni amichi come prima./ So cuggini e fra parenti/ nun se fanno comprimenti:/ torneranno più cordiali/ li rapporti personali./ E riuniti fra de loro/ senza l'ombra d'un rimorso,/ ce faranno un ber discorso/ su la Pace e sul Lavoro/ pe quer popolo cojone/ risparmiato dar cannone!” e quella più pacata e altrettanto incisiva di Paolo D’anna:

 “… E tutta la nostra vita ritorna
Corre stanca come un vecchio treno
che non vuole fermarsi
in nessuna stazione
corre sulle rotaie del tempo
Scorre come le immagini
di un vecchio film in bianco e nero
senza titoli di coda
e ce ne stiamo lì io e te
senza rimpianti, emozionati
aspettando che passi la mezzanotte
senza la sorpresa dei botti
aspettando il nuovo anno
per brindare ancora
una volta insiemeio, tu, noi.” 

(da Buon Anno Sarajevo)


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