Metti un Commissario di polizia scaltro e introverso, anzi, proprio scorbutico, un’investigatrice privata intelligente e florida, anzi proprio “cicciottella” e i membri di un’antica casata nobiliare riservati e snob, anzi proprio con la classica “puzza sotto al naso” alle prese con alcuni inspiegabili decessi, maturati nel blasonato ambito famigliare, ed ecco serviti gli ingredienti per un thriller di tutto rispetto: IL DICIASSETTESIMO CONTE, il romanzo giallo, ultimo nato, dalla prolifica e variegata penna dell’autrice Patrizia Marzocchi.
Come in ogni thriller d’autore la trama, all’apparenza semplice e scorrevole, è in realtà ricca d’intrecci e colpi di scena, complessa e sviante, vivace quanto basta per non risultare monotona e scontata.
E’ un giallo che inizia in maniera soft, poi, come un’auto diesel, guadagna sulla distanza e accalappia il lettore senza concedergli via di scampo. Al termine della lettura, l’opera risulta piacevole, intrigante e anche molto interessante.
Personalmente ho apprezzato i due livelli sui quali l’autrice ha imbastito la vicenda. Due piani, quello materiale e quello psicologico, che per lungo tratto procedono paralleli fino ad arrivare all’auspicata, e quasi temuta, fusione finale.
Patrizia Marzocchi ha immortalato magnificamente, a mio modo di vedere, tutti i suoi personaggi, costruendo per ognuno una propria e originale caratteristica che lo distingue e, al momento opportuno, lo fa emergere sugli altri. Tommaso il commissario razionale, pignolo e ostinato, Jolanda che presta la sua firma per i romanzi del timido cugino, investigatrice privata e buongustaia a tempo pieno, con un’intelligenza istintiva, spiccata e risolutiva, Rodolfo simpatico e accomodante che insegue e teme una verità niente affatto scontata oppure Pietro, pesce d’acquario che nuota in un mare di squali, figlio di Isabella, donna enigmatica, triste e malinconica e, infine, anche l’obesa gatta Ofelia sempre in cerca di coccole e di cibo. Quando i riflettori, guidati dalla sapiente regia dell’autrice, si accendono sulle figure secondarie, la trasformazione in interpreti principali è immediata. Ciò vale per Jhonny, il cugino scrittore di Jolanda, per Caterina l’amica di sempre o per l’aristocratica Matilde, colorata e cordiale.
Sconvolgente e inclassificabile la figura dell’arrivista Fabio Sali che, al pari di una maledizione, aleggia tetro, tanto sui destini dell’antica casata quanto nei capitoli del romanzo. Parimenti scioccante è la fredda e cinica spietatezza della sua “degna” nipote, la grigia e scostante Giulietta.
Confezionato su misura, con impeccabili rifiniture d’autore, è il colpo di scena finale che vede la trasformazione dell’infelice Isabella, sacrificata nell’adolescenza e contro la sua volontà sull’altare del buon nome dell’aristocratica famiglia, da agnello a lupo. L’intima e straziante lotta psicologica che ne ha segnata l’esistenza, dalla prima giovinezza fino alla maturità, esplode in tutto il suo tragico pathos tanto da diventare dolorosamente percepibile e drammaticamente condivisibile dal lettore.
Nessuna rumorosa, caotica e frastornante metropoli estera, ma la pacifica, umida e sonnecchiante Bologna dei nostri giorni è l’ambiente che l’autrice ha scelto per far muovere i personaggi de IL DICIASSETTESIMO CONTE.
Da sottolineare proprio questa opzione scenografica “nostrana” perché da essa traspare il viscerale amore di Patrizia Marzocchi per la ridente cittadina emiliana. Piccoli e grandi dettagli, descrizioni che sfiorano la liricità, ne sono la testimonianza diretta.
“La gente non si lascia scoraggiare da un po’ di pioggia e affolla il centro, le cui strade sono afflitte anche da un incessante andirivieni di autobus. Imbocco via Brocchindosso, stretta tra due file di portici e mi fermo davanti alla targa che ricorda la prima residenza di Carducci a Bologna.
Aspetto un po’, a volte sono fortunata.
Lo sono anche questa volta: una famigliola di quattro persone esce dal pesante portone, così io mi intrufolo nella proprietà privata, arrivo fino in fondo e rimango a osservare l’ordinato giardinetto che compare oltre un cancello. Lì c’è il «verde melograno dai bei vermigli fior» che oramai deve avere superato abbondantemente il secolo. Rimiro per l’ennesima volta quel miracolo di longevità e poesia che si protende nell’aria grigia. Bellezza inconsapevole. Medicina dell’anima.”
Un thriller la cui scrittura fluida, la chiarezza delle immagini, i dialoghi perfettamente bilanciati e mai scontati che incollano il lettore alle sue pagine, fanno de IL DICIASSETTESIMO CONTE, un libro a cui spetta di diritto un posto nel panorama nazionale del genere giallo.
Per non togliervi il piacere della scoperta non riassumo la storia, ma fidatevi: è da leggere! Lo consiglio caldamente.