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P70: quando la musica viaggia su un cavo telefonico


Un articolo di Andrea Coco

Non si sono mai incontrati eppure fanno tutti parte di un gruppo che suona musica ispirata alle atmosfere dei Pink Floyd e al rock progressivo e psichedelico degli anni Settanta. Stiamo parlando dei P70, una band virtuale composta da musicisti che non si conoscono, suonano a distanza, e fanno le prove per telefono. Nel produrre musica, i componenti della band, facendo ricorso alle moderne tecnologie, hanno scelto di percorrere la strada della sperimentazione, spinti dal desiderio di tentare strade nuove, ma al tempo stesso recuperare alcuni valori artisti di qualche decennio fa, insomma di integrare il passato con il futuro.

A dispetto delle apparenze, P70 è un gruppo ben affiato, che nell’arco di quindici mesi hanno realizzato un disco “Laughs”, composto da dodici brani ed incentrato sul tema dell’Amore, che può esser scaricato gratuitamente da internet (www.pagine70.com), un bel gesto in un ambiente, quello della musica, dove amore e gesti disinteressati scarseggiano alquanto.

Dopo “Laugh”, la band è tornata nuovamente all’opera è sta componendo un nuovo disco, del quale sono in questo momento già disponibili sette canzoni, ma non vogliamo dire altro… sarà Pino Grimani, fondatore e leader del gruppo, a parlarci dei P70 e dei loro progetti.

Pino, cominciamo dall’inizio, perché vi chiamate P70?
Stavamo per pubblicare il primo brano e non ancora avevamo un nome e, visto che il nostro canale è proprio Pagine 70 (spesso chiamato P70 per comodità), non abbiamo neppure perso tempo in votazioni sul nome da scegliere. In un certo qual modo siamo “figli” di questo sito e, dunque, chiamarci P70 mi è sembrato naturale.

Come hai fatto a scegliere gli altri componenti della band?
Componendo musiche sul genere Pink Floyd mi sono per prima cosa messo alla ricerca di un chitarrista che avesse il tocco alla David Gilmour. L’ho trovato su un sito di appassionati floydiani, è di Taranto. Gli altri li ho trovati tramite un annuncio che misi sul forum di Pagine 70.

In che modo è nata la vostra prima canzone e che accoglienza ha ricevuto da parte del pubblico?
Si tratta di IN ABSOLUTE SENSE ed è nata nel modo più semplice possibile. L’ho composta e poi ho telefonato uno alla volta agli altri del gruppo per provare con loro le parti che dovevano suonare o cantare. Ovviamente il tutto senza spartiti. Tutto con la bocca e per telefono. Alla fine del pezzo, e parlo al momento in cui l’ho pubblicato, loro stessi lo stavano ascoltando per la prima volta (ma questo accade per tutti i nostri brani). E’ un’altra caratteristica del nostro modo di fare musica: ogni musicista prova soltanto con me al telefono la sua parte, ma a ciascuno fornisco il minimo indispensabile. A volte nella base, dove devono mettere un sax, una chitarra o una voce, c’è solo un click che fa da metronomo e 4 accordi. Mi interessa molto assemblare il loro lavoro senza che questo venga condizionato da arrangiamenti o altro. Mi interessa anche sapere l’effetto che fa loro quando ascoltano il brano perché in quel preciso momento è come se si spogliassero veramente dei panni di musicisti indossando quelli di un ascoltatore qualsiasi. Alla fine restano sorpresi sentendo il risultato finale perché sentono parti che credevano diverse ed in alcuni casi una musica che non immaginavano avesse quella linea melodica.

E’ molto interessante anche il vostro sito: sicuramente non rifiutate l’idea della “nostalgia”, anzi la cavalcate! Cosa rappresentano gli anni ’70 per voi?
Un periodo di grande fermento in ogni campo. Da un punto di vista artistico, e mi riferisco a produzioni musicali, cinematografiche, televisive, di design (automobili, arredamenti, oggetti, ecc), è stata raggiunta la punta massima dell’espressione. Si è sperimentato molto e sono stati conquistati risultati tuttoggi non raggiunti.

In che misura l’idea di sperimentazione degli anni ’70 può essere nuovamente rapportata al mondo di oggi?
Se ti fai un giro in Internet sembra proprio che sia stato inventato tutto e da sperimentare ci sia rimasto ben poco. Io non credo però che le cose stiano realmente così: bisogna imparare a pensare con una testa diversa. Per suonare, ed esempio, abbiamo pensato ad una serie di modalità particolari che, a tutti gli effetti, sono vere e proprie sperimentazioni.

A livello di strumentazione cosa usate? Quanto c’è di “vero” e quanto entrano le nuove tecnologie con gli strumenti virtuali?
C’è tutto di “vero” perché dietro ogni strumento c’è chi lo suona. Ad ogni modo credo tu voglia sapere concretamente che tipo di strumentazioni utilizziamo per eseguire le varie parti. Le voci ovviamente sono sempre vere, così come la chitarra solista e quella classica; il basso a volte è suonato dal bassista altre volte con un campionatore, stesso discorso per la batteria. Faccio largo uso di suoni sintetici che riproducono fedelmente determinati strumenti impossibili da trovare oggigiorno sul mercato così come gli effetti sonori, i rumori, le voci di sottofondo sono indispensabili per la nostra musica.

Che tecnica/formazione usate nelle esibizioni live?
Esibizioni live??? Noi non ne facciamo perché non possiamo farne: il fatto di non conoscerci tra noi è una regola che va rispettata. E poi sarebbe anche di difficile attuazione visto che io sono di Roma, il chitarrista di Taranto, la cantante/corista di Milano, il bassista di Modena, il sassofonista di Napoli. Su un giornale hanno scritto che se dovessimo casualmente incontrarci per strada non ci saluteremmo e magari ci manderemo a quel paese. Ovvio, tra persone che non si sono mai viste sono cose normali.

Perché la scelta della lingua inglese?
Perché pubblichiamo in Internet e non ci vogliamo privare di una fascia di ascolto più ampia. E poi perché l’inglese, al contrario dell’italiano, si presta meglio riguardo la stesura dei testi. E’ più duttile.

Perché usate l’espressione “reduci degli anni ‘70”? Reduci da cosa? Da una qualche forma di conflitto?
Il significato della parola reduci è duplice, nel nostro caso vuol semplicemente dire che “proveniamo dagli anni 70”. E’ il quel decennio che abbiamo fatto le nostre prime esperienze, è in quel decennio che certamente abbiamo assaporato gli ultimi valori e certi gradi di semplicità che oggi sono completamente assenti.

Avete pensato a fare della vostra idea una vera e propria community musicale, dove si possano confrontare anche gli spunti musicali, oltre a quelli storici e di costume?
Se ognuno di noi mettesse in pratica le idee che ha non basterebbero cento vite per realizzarle. Meglio cercare di fare poche cose e concentrarsi su di esse. Ci sono maggiori probabilità di riuscita anche perché una Community implica degli investimenti e non mi sembra il periodo adatto questo.

Ci sono contatti con case discografiche per una pubblicazione/distribuzione canonica del Vostro materiale?
No.

L’ultima fatidica domanda: non avete mai sentito il desiderio di incontravi tutti assieme?
A volte ci scherziamo su questa cosa, ma io riporto un po’ tutti sulla terra: ricordo sempre che il vedersi comporterebbe automaticamente l’esclusione dal gruppo. Preferiamo rimanere “incappucciati”, basta sentirci per telefono.

E’ proprio il caso di dire che il filo del vecchio e caro telefono ci tiene uniti; la nostra forza è quella perché proprio non ci possiamo permettere di perdere tempo in chiacchiere inutili o in discussioni che portano a dissapori come accade spesso ai gruppi tradizionali. Noi dobbiamo ottimizzare il tempo anche perché spesso accade che si provano le parti e ci si mette d’accordo sul da farsi nei posti più disparati: al lavoro, per strada, in spiaggia, in bagno. Ogni momento libero è buono ecco uno dei vantaggi di fare le prove telefono: certo alla fine per avere libere le mani e suonare finiamo per prenderci un crampo al collo ed avere le orecchie fucsia ma ci va bene così…

"Here's the reason, the only reason
your mind dance in Absolute sense".
P7O - In Absolute Sense part II

 

 

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