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Colaprico - Valpreda, la coppia del giallo all'italiana
di Cinzia Ceriani
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Colaprico - Valpreda, la coppia del giallo all'italiana Improvvisamente interrotto dalla morte di uno dei suoi due ideatori, il ciclo di quattro romanzi polizieschi, uno per ogni stagione dell’anno, viene concluso dal solo Piero Colaprico nel 2003, un anno dopo la scomparsa del collega e amico Pietro Valpreda.
La collaborazione fra i due, spiega lo stesso Colaprico in un’intervista, nasce in parte da un’iniziativa di Valpreda che ha in mente una storia da raccontare, l’uccisione di un professore con la scritta SOS accanto al suo cadavere e un maresciallo dei carabinieri prossimo alla pensione, ma necessita di aiuto per realizzarla; in parte grazie all’editore Marco Tropea, che, seppur ottimo, rifiuta di pubblicare il loro libro sfidandoli a scriverne altri.
A mettere in contatto Colaprico e Valpreda sono Carlo Oliva, professore, critico letterario e scrittore, e in un secondo momento, Tecla Dozio della Libreria del Giallo.
Il risultato del loro lavoro è un romanzo poliziesco ambientato nella giungla milanese, “Quattro Gocce di Acqua Piovana”, e la nascita di un nuovo personaggio letterario, il maresciallo dei carabinieri Binda, un uomo reso umano da un passato doloroso, sempre pronto a tendere una mano e a schierarsi sempre e comunque dalla parte della vittima. È nettamente diverso dal suo collega della omicidi, protagonista de“Trilogia della città di M.”, assennato e prudente, analizza con minuzia fascicoli e rapporti di centrale calcolando ogni eventualità, ma dimostrandosi incapace, nella sfera privata, di costruire un rapporto solido e duraturo con le donne.
I due provetti romanzieri basano il loro rapporto lavorativo su due punti cardini in cui ognuno mette del proprio: amicizia e severità.
Colaprico mette a disposizione portatile e agili dita sulla tastiera, mentre Valpreda offre cibo, bevande e la sua casa. Entrambi la mente e il cuore.
“Ogni venti o trenta pagine”, continua Piero Colaprico nell’intervista, “stampavo e lasciavo la copia. Pietro aveva dei bigliettini con appunti per correggere e aggiustare…”
L’ultimo libro della quadrilogia, scritto a quattro mani dai due autori, è “La primavera dei Maimorti”, dove, per la terza volta dopo “La nevicata dell’85” e la già citata “Quattro Gocce di Acqua Piovana”, con brevi accenni di dialetto milanese, Binda e i suoi creatori conducono il lettore per le strade di uno dei tanti volti di Milano, una Milano che tutti conoscono e tutti ignorano, fanno finta di niente ringraziando Dio non vivere nei sobborghi malfamati o dover dormire su una delle tante panchine della stazione centrale; una Milano fatta di paura e voglia di evadere; una Milano in cui è la mafia a dettare le regole e se quelle regole non vengono rispettate è il sangue fatto scorrere a fiumi sull’asfalto il prezzo da pagare.
Il quarto libro del ciclo, “L’Estate del Mundial”, orfano di Valpreda, si chiude con una lettera di Colaprico al compagno di scrittura, coinvolgendolo così, almeno idealmente, al compimento del progetto.
Il libro contrappone la gioia e l’ilarità suscitata negli Italiani dalla partecipazione degli azzurri ai mondiali di calcio dell’82, il delirio collettivo scatenato da un’importante evento sportivo, all’omicidio di Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano che lui controlla grazie a conoscenze all’interno della loggia massonica P2 e a contatti con esponenti del mondo degli affari e della mafia, trovato impiccato a Londra sotto il Ponte dei Frati Neri sul Tamigi e all’altrettanto omicidio di una soubrette dello spettacolo, una certa Lavinia Marbella, su cui Binda è chiamato ad indagare.
Il luogo è sempre Milano. Da un lato lo spettacolo e il luccichio delle serate mondane; dall’altro i soldi e il loro potere. L’inchiesta su Tangentopoli, dal 1992 al 1994, ne è un esempio.
Anzi, l’impegno di Colaprico non si limita a questo e permette all’amico anarchico, ingiustamente accusato della strage di Piazza Fontana, di continuare a vivere attraverso il loro personaggio, il maresciallo Binda, ritornato a far luce sui casi narrati ne “La Quinta Stagione”.

Binda, ormai in pensione, ascolta premuroso la richiesta di aiuto di un anziano ladro, Pallonetto, ricordato dalla polizia soprattutto per i furti compiuti agli yacht dei Grimaldi, preoccupato per la sua fidanzata rapita da una banda di albanesi. A fatica il vecchio maresciallo si orienta in una città, di nuovo il capo luogo lombardo, per lui irriconoscibile. Bar e negozi, una volta appartenuti a Cosa Nostra, sono gestiti da cinesi, le periferie sono chiassose e brulicanti e i criminali, senza controllo, hanno fisionomie differenti, parlano un’altra lingua e agiscono senza alcun obiettivo preciso; delitti, rapine e stupri fini a se stessi.
A dare un taglio definitivo con le storie di Binda, nella produzione letteraria di Colaprico, è “Trilogia della Città di M.”. Il commissario Bagni si occupa di ben tre casi, e l’ultimo, con un violento salto nel passato, lo riporta ai fatti legati alle Tangentopoli milanesi.
Il protagonista è poliziotto da vent’anni, un uomo assuefatto alla criminalità tanto da uscire pulito e indenne dalle indagini riguardo alla scomparsa di un’ingente somma di denaro, avvenuta durante la perquisizione della casa di un usuraio, di cui si è appropriato.
Ancora una volta lo sguardo dell’autore si volge, con una scrittura precisa e attenta a creare suspence, sulla malavita milanese di ieri e di oggi in una naturale miscellanea di leggende metropolitane e Storia, un percorso lungo il sottile filo invisibile della memoria passata e della nostalgia di una criminalità nostrana semplice da riconoscere.

PIERO COLAPRICO nasce a Putignano, in provincia di Bari, nel 1957; studia al collegio navale Francesco Morosini di Venezia, laureandosi poi in giurisprudenza all’Università di Milano, dove vive dagli anni settanta. Nel 1984 inizia a lavorare per La Repubblica diventando, quattro anni dopo, inviato speciale. Colaprico oltre ad essere giornalista è saggista e giallista.

PIETRO VALPREDA nasce a Milano nel 1933, in una piccola casa in Viale Lucania, quando il caos non si era ancora impossessato della città, ma tutt’intorno vi è solo campagna, la sopraelevata non esiste e i bambini giocano a pallone in mezzo alla strada. La madre di Pietro, Ela Lovati, è una donna alta e dall’aspetto che incute soggezione; il padre Emilio, al contrario, è fragile, timido e cede volentieri il passo alla moglie. Con la sorella Maddalena, Pietro ha un rapporto speciale. Fisicamente si somigliano moltissimo e passano molto tempo insieme. Lei sostiene con forza e vigore tutte le decisioni ed iniziative del fratello, diventando per lui un appoggio essenziale. Maddalena è con Pietro, quando lui impara i primi rudimenti del ballo, la sua più grande passione e professione; quando si lancia alla scoperta del ciclismo da corsa, lo applaude al debutto sul palcoscenico e lo accompagna alle riunioni anarchiche e di cui Maddalena stessa condivide i principi.
Ad indirizzare Pietro sulla strada politica è il nonno materno Paolo Lovati, socialista anche sotto il regime fascista, che gli racconta dei soprusi subiti durante il governo di Mussolini e lo invita a far parte della cooperativa socialcomunista. Nel frattempo Pietro lavora come apprendista cesellatore in una piccola officina di argenteria dello zio e si accosta tramite il giornale “ Il Libertario” e gli scritti di Bakunin, Malatesta e Cafiero alle idee anarchiche. La sera frequenta una scuola d’arte applicata del Cesello, scegliendo scultura come specializzazione, ma presto si ritira sostenendo che i capolavori, per rimanere tali, devo rimanere incompiuti.
Fino all’età di nove anni Pietro vive sul Lago Maggiore nella casa di un altro suo grande affetto famigliare, la prozia Rachele. Sarà lei a proclamare sempre e comunque l’innocenza del nipote riguardo al suo coinvolgimento nell’attentato di Piazza Fontana. Nel 1957 Pietro e la zia comprano un appartamento in centro a Milano. Una casa colma di oggetti, di libri, e di manifesti degli spettacoli teatrali che rivivono nel ricordo e nella memoria di un uomo fieramente convinto dei suoi ideali e per i quali non ha mai smesso, neppure una volta, di combattere. È proprio la zia a fornire l’alibi al nipote per il giorno della strage.
Venerdì 12 dicembre, racconta Rachele Torri negli atti processuali, Pietro Valpreda rincasa da Roma alle sette di mattina, è debole e ha la febbre a 38, si sdraia sul divano e dorme parecchie ore. All’alba del 15 dicembre la polizia suona alla porta. Il brigadiere Mainardi, in borghese, cerca Pietro. Più volte quegli uomini tornano a perquisire il piccolo alloggio e a portare via documenti.
L’accusa a carico di Valpreda è di aver deposto la bomba della tragedia il pomeriggio del 12 dicembre. A puntare il dito contro di lui è Amati e un precedente penale per rapina tentata da Pietro non ancora diciottenne.
Da quel momento in poi, per la famiglia Valpreda, comincia l’incubo. Polizia, fotografi, giornalisti e vent’anni passati in aule di tribunali.
Ucciso dalla malattia, Pietro muore nel 2002, lasciando, come lui stesso amava dire, incompiuto uno dei capolavori polizieschi d’Italia.

BIBLIOGRAFIA
Piero Colaprico
-“Sequestro alla Milanese” 1992
-“Manager Calibro 9” 1995
-“Duomo Connection” 1989
-“Capire Tangentopoli” 1996
-“L’Estate del Mundial”2003
-“La Trilogia della Città di M.” 2004
-“La Quinta Stagione” 2006

Piero Colaprico & Pietro Valpreda
-“Quattro Gocce di Acqua Piovana” 2001
-“La nevicata dell’85” 2001
-“La Primavera dei Maimorti”2002

A cura di Cinzia Ceriani



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