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Doris Lessing: scrivere nella buona e cattiva sorte
di Antonella Lucato
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Doris Lessing: scrivere nella buona e cattiva sorte

“Ho continuato a scrivere nella buona e nella cattiva sorte. A volte è stato molto difficile ma non ho mai mollato”

Doris Lessing, Nobel per la Letteratura nel 2007, nata il 22 ottobre 1919 a Kermanshah, in Iran, allora Persia, il suo nome è stato tra la rosa dei finalisti per quasi quarant’anni, l’ambito premio è arrivato all’alba del suo ottantottesimo compleanno. Meglio tardi che mai, meglio ricevere riconoscimento da vivi che da morti!

Già negli anni sessanta era considerata “una da Nobel” per il talento per la scrittura, l’intelligenza poliedrica, insofferente all’ovvio, le sue doti sono state poco comprese da alcuni critici.

Sintetica e precisa la motivazione del premio recita: “cantrice dell’esperienza femminile con scetticismo, passione e potere visionario, ha messo sotto esame una civiltà divisa”.

“Ho fatto scala reale” il suo primo commento a caldo. Di premi ne aveva già vinti molti altri prima ma questo riconoscimento è il più noto e ambito nel mondo letterario.
E’ l’undicesima donna in 104 anni ad aver vinto il Nobel.

“una delle grandi narratrici visionarie del nostro tempo” l’ha definita J.M.Coetzee, un altro premio Nobel.

La Lessing è considerata una pioniera nella forma oltre che nelle idee. Già dal 1962 si cominciava a fare il suo nome per il Nobel, quando uscì il suo libro Il taccuino d’oro, diario di una donna divisa in tanti ruoli: madre, moglie, amante, scrittrice. Il libro poi divenne un manifesto femminista ma l’autrice detestava essere etichettata, limitata dentro definizioni e schemi.

Doris Lessing scrive di quel che vive e le interessa in un certo momento della vita, molte lettrici e lettori la seguono da generazioni. Come lei stessa dice: “Ho incontrato ragazze che mi dicono: mia madre o mia nonna mi hanno raccomandato di leggerla. E’ meraviglioso”.

Ironica, sarcastica, secondo alcuni giornalisti che l’hanno intervistata sa essere scostante e persino acida ma ricevere il più alto riconoscimento letterario e le congratulazioni da ogni parte del mondo l’ha addolcita e pare sia sciolta in un fiume di sorrisi e baci ai suoi estimatori.
Tra le tante chiamate nella sua casa di Londra, dove vive, la telefonata che dichiara esser stata la più apprezzata è quella del suo “eroe” e collega di Nobel, Gabriel Garcìa Màrquez.

Capelli raccolti in una crocchia come quella delle nonne di un tempo, non mostra velleità estetiche, abbigliamento semplice sino a scivolare nel trasandato, mostra l’autenticità di viso attraversato dallo scorrere degli anni e non ritoccato da chirurgia estetica, la vivacità degli occhi rispecchia quella della mente e il suo sguardo penetrante è allenato dal tempo passato ad osservare. Negli occhi porta la visione delle distese africane che ha conosciuto prima di lasciare Johannesburg con il suo primo manoscritto nella valigia.

A sei anni si era trasferita in Africa con i genitori che volevano tentare l’avventura coloniale. Famiglia di piccola borghesia inglese frequentò la scuola sino a quindici anni poi continuò poi a studiare come autodidatta. Nelle sue memorie descrive con intimità il paesaggio, i suoni, gli odori e i colori della terra africana che l’ha nutrita e formata. Sino a trent’anni ha vissuto nello Zimbawe e all’Africa e alle sue tante facce, sfumature e contrapposizioni dedicò diverse opere tra cui il romanzo del 1950 “L’erba canta”.


Ha scritto oltre cinquanta libri tra romanzi, racconti e saggi venduti in milioni di copie in tutto il mondo, tradotti in trenta lingue. Tra i suoi migliori: Se gioventù sapesse, Il quinto figlio, Amare ancora. La sua produzione è ininterrotta fino ad oggi e prolifica nonostante l’età.
Commuove con il suo Ben nel mondo del 2000, sorprende sino a scandalizzare nei suoi racconti Le nonne del 2003. Il suo ultimo libro pubblicato recentemente in inglese è The Cleft,(La fessura).

Alla fine degli anni settanta inizia a scrivere romanzi di fantascienza ispirati al sufismo, la serie Canopus in Argo.
Lei considera questi romanzi tra i migliori della sua produzione ma questa scelta la squalifica agli occhi di certa critica e il suo nome scompare dalla lista dei possibili vincitori. Tornerà a ricomparire diversi anni dopo, intorno al ’96, con la pubblicazione di Amare, ancora. Già a partire dall’83 era tornata alla narrativa pubblicando alcuni dei suoi libri migliori come Se gioventù sapesse, Il quinto figlio e il primo capitolo dell’autobiografia Sotto la pelle.

La capacità di vedere il mondo da punti di vista diversi, da posizioni differenti, anche contrapposti, insieme al suo talento per la scrittura, è uno dei meriti che le vengono riconosciuti.

Una vita segnata da un rapporto difficile con una madre imperiosa con la quale dice “ho litigato continuamente ma malvolentieri”. Nella sua narrativa le figure materne hanno un ruolo importante ma solo di recente la Lessing è riuscita a scrivere della madre in maniera diretta. “l’ho capita, se questo può dirsi perdono”.

Alfred and Emily, dal nome dei suoi genitori, è il titolo del romanzo consegnato da poco al suo agente, sarà forse l’ultimo. “Di fatto dice, è un libro contro la guerra, senza che ne avessi l’intenzione. Odio la guerra, penso che molti ragazzi non abbiano idea di che cosa sia stata la guerra. Anzi temo che i ragazzi ne siano affascinati”

A 19 anni sposa Frank Wisdom da cui ha due figli e dal quale divorzia presto. Al Left Book Club, un circolo di intellettuali, conosce Gottfried Lessing, il suo secondo marito da cui ha un altro figlio e del quale mantiene il cognome anche dopo il divorzio. Lascerà la Rhodesia per trasferirsi a Londra.

Le sue esperienze personali la portano ad approfondire nei suoi romanzi i temi della famiglia, le aspettative e le delusioni che vivono le donne come in Martha Quest, Un matrimonio perbene, L’abitudine di amare, Il sogno più dolce.

A cura di Antonella Lucato



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