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La cultura italiana nel Novecento
di Angela Rigamo
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La cultura italiana nel Novecento

L’età che va dal 1918 al 1945 è tormentata da gravi problemi sorti alla conclusione della Prima Guerra Mondiale e dalle difficili questioni di squilibrio politico che ne derivano. Molto più grave è il conflitto ideologico scaturito dalla Rivoluzione Russa dell’ottobre 1917, infatti,contro di essa,le forze conservatrici dei maggiori stati europei prendono la strada della controrivoluzione preventiva, mettendo i loro interessi al riparo di strutture statali autoritarie. Da qui lo sviluppo del totalitarismo in Europa.

In Germania si fa strada il movimento nazista; nel 1933, Hitler si appressa alla dittatura esplicitando una dottrina razzistica che, riprendendo il tema della superiorità della stirpe germanica, si propone in particolare il dominio sulle stirpi slave e latine ormai in decadenza e lo sterminio della razza ebraica, rea di aver inquinato le tradizioni guerriere della Germania.

Il totalitarismo ben presto si rivela come un fenomeno europeo; esso si afferma anche in Spagna con la dittatura del generale Franco e in Portogallo; movimenti analoghi si hanno anche in molti altri Paesi.

In Italia la dittatura si manifesta nella politica di Benito Mussolini che si afferma sulla scena politica italiana, portando alla Camera ben 30 deputati. Con la collisione degli interessi agrari e industriali e con la complicità degli organi dello stato liberale e della monarchia il fascismo trionfa.

Soppressa nel’25 ogni manifestazione di vita democratica, fuoriusciti o ridotti al silenzio col carcere o con la violenza i più prestigiosi oppositori, Mussolini, con la creazione dell’Accademia d’Italia, con la scuola di”Mistica fascista”, cerca di legare al regime anche la cultura mentre l’apposito “Tribunale Speciale” non cessa di erogare prigionia e ordini di domicilio coatto.

In realtà non ottiene altro che formalistiche adesioni e la migliore produzione letteraria di quegli anni ignora le mitologie ufficiali. Il fascismo non riesce infatti chiudere le finestre così ermeticamente perché non entrino, almeno a spifferi, le correnti di cultura che spirano in Europa.

Emblema della denuncia idealistica al fascismo è la rivista “Solaria”, fondata nel 1926, della cui redazione fecero parte uomini come Leone Ginzburg, Eugenio Montale, Giacomo Debenedetti, e, anche se con posizioni non sempre conciliabili, Carlo Emilio Gadda. Grande l’amore dei solariani per la tradizione del grande romanzo europeo; essi lottano per introdurre in Italia il meglio della letteratura europea ed anche statunitense con le sue tensioni ed il suo vento di rinnovamento. La rivista viene più volte censurata e nel 1936, a causa delle sempre maggiori pressioni del controllo fascista, conclude la sua vita.

Tramite la sua diffusione entrano in Italia le inquietudini degli scrittori ”decadenti” e arti e il cinema straniero, così ricchi anch’essi di fermenti, e poi l’esistenzialismo e tante altre dottrine e temi, che riescono così a penetrare anche se sopravvivendo ai margini della “cultura ufficiale” ,dando via a particolari rielaborazioni, rimanipolazioni, revisioni e, talvolta, compromessi e contraddizioni.

Soprattutto la filosofia dell’esistenzialismo appare come la più idonea a rappresentare in Italia lo stato d’animo degli intellettuali e trova qui ispirazione dalla fenomenologià di Husserl ed ha in Heidegger e in Jaspers i suoi cultori più significativi.

La vecchia cultura idealistica non basta più a dare all’uomo la fiducia nella”storia”, proposta da Croce, anche se questi si ricollegava alla resistenza al fascismo o dall’entusiasmo vitalistico di Gentile, che invece prepara una sempre più ampia congruenza con esso; si spalanca, così, un vuoto esistenziale, un senso amaro di frustrazione e fallimento, una sensazione dolorosa di solitudine e d’angoscia, che la situazione politica e sociale acuisce sensibilmente.

Infatti, il diffondersi di dittature illiberali, la minaccia di una guerra che si avvicina sempre più, l’espansione di una civiltà di “massa”, che richiede all’artista prodotti di infimo gusto, la spinta che già dalla metà dell’Ottocento aveva determinato nell’artista un senso di isolamento sociale, appariono, ora, in maniera esasperata, in una età in cui si sono dissolti i miti scientisti del positivismo e quelli vitalistici del primo Novecento, e l’uomo si scopre nudo e solo, con la sua tragica ”condizione umana”, fra folle ubriache di nazionalismo e guerre e teatrali parate militari.

In questo contesto si spiega la larga diffusione della moderna ”psicoanalisi”, ad opera di Freud e poi di Jung e della sua scuola.

Da un punto di vista prettamente filosofico, la dottrina freudiana non è altro che un aggiornamento del vecchio dualismo manicheo, rielaborato nell’istinto di vita, o”Eros”, e in quello di morte o “Thanatos. Secondo Freud, infatti, l’uomo è irresistibilmente attratto verso la morte: ”lo scopo di tutta la vita è la morte”.

Lasciando da parte qui i presupposti fondamentali della sua dottrina, a tutti noti, vediamo che la sua importanza sta nella forza polemica con cui ha fatto valere esigenze che nella filosofia tradizionale non avevano trovato posto: il concetto della vita umana, individuale e sociale, come costituita da un conflitto immanente; l’uso dell’introspezione, quale strumento d’analisi; la concezione dei ”sogni” e del loro contenuto latente; l’importanza data alle esperienze infantili e agli ”stadi” dell’infanzia, e in primo luogo al ”complesso di Edipo”, sono gli innegabili contributi dati da Freud alla nostra letteratura contemporanea negli anni tra il ’30 e il ‘40, in un’epoca di grande sperimentalismo nella nostra cultura

In quegli anni si viene affermando tra gli scrittori italiani una diffusa tendenza realista, l’esigenza di un racconto oggettivo, l’interesse ad una problematica non strettamente individuale, ma più largamente umana.

Nel contempo viene meno del tutto, senza alcun dubbio in relazione ai nuovi eventi storici, insieme ad una stabile concezione del mondo, la visione ottocentesca della società come qualcosa di organico, in cui ogni parte tenda necessariamente al tutto e si accentua la coscienza di una insuperabile condizione di solitudine e di isolamento.

I narratori ”realisti” non danno un giudizio della società alla luce di una chiara concezione del mondo, non ci rappresentano la vita dell’uomo come una complessa trama di rapporti con gli altri uomini, ma ritraggono la realtà come qualcosa di disgregato, come un insieme di momenti distinti; la vedono alla luce del loro isolamento, della solitudine, della sfiducia; fissano l’occhio sugli aspetti più dolorosi ed inquietanti delle società con un senso di umana pietà, ma senza speranza..

Viene meno la visione della società come qualcosa di organico, lo spirito ottocentesco che se pur in diverse forme, era sino ad allora sopravvissuto, il determinismo ,il meccanicismo come moventi dell’Universo e la fiducia positivistica nel progresso che erano stati alla base delle opere di scrittori come Zola, .Maupassant e Flaubert in Francia e di Capuana e Verga in Italia.

Il libro che apre questa nuova tendenza può essere considerato ”Gli indifferenti” di Alberto Moravia. Moravia mette in luce nelle sue opera, nonostante una certa apparente adesione neorealistica, la condizione dell’individuo alienato, senza contatti, in rivolta contro il mondo borghese e i suoi valori etico–ideologici. L’inafferrabilità della realtà concreta e l’impossibile relazione con gli altri generano un senso di sfiducia, di carcere, che lo scrittore accetta, non per fare il punto di ricerca di una nuova dimensione ma per scandagliarne tutte le possibili inclinazioni psicologiche, fino a giungere, su questa strada, alla demistificazione dell’arte ed alla desublimazione dell’ideologia.

Ma, accanto a chi faceva valere i problemi ”umani”, c’era chi, in quegli anni difficili, tentava un tipo di cultura gravido di avvenire. Si trattava di Antonio Gramsci che meditava la costituzione delle classi subalterne in un grande blocco storico per dare inizio alla rivoluzione insegnata da Marx. E appunto in questo contesto si inserisce la grande azione svolta dall’opera culturale, quale la costruzione di una nuova filosofia della prassi; preparazione di intellettuali organici delle classi sottopostei e conquista dell’egemonia culturale.

Ma questa è storia recente: in quegli anni, Gramsci poté solo elaborare la sua opera all’interno delle carceri fasciste. E poi venne la guerra.

Nel 1939 scoppia la Seconda Guerra Mondiale, e sono anni di passione e tensione, anni in cui si alternano disperazione e speranza, ascensioni e cadute, tra distruzioni materiali e orrori mai conosciuti.

E poi venne la Resistenza, in cui ognuno sentì, veramente, senza retorica, che era in gioco non solo il proprio destino, ma quello del mondo, e infine venne l’indimenticabile primavera del 1945. E con essa, la gioia ebbra della vittoria, e, in un mondo devastato da sofferenze materiali e morali di ogni genere, il desiderio autentico di ricostruire, di cominciare una vita nuova. La tendenza realista si accentua nell’immediato dopoguerra, nel nuovo clima di democrazia, quando, caduta la dittatura, rinasce una vigorosa speranza di rinnovamento sociale e si diffonde l’ideologia della sinistra politica.

Appena finita la guerra , in Francia, lo scrittore-filosofo Jean Paul Sartre prelude a una sua rivista ”Temps modernes”, con pagine che avrebbero avuto eco in Italia, e teorizza la partecipazione attiva dello scrittore alla vita sociale, coniando il termine felice e fortunato di ”impegno”, come un richiamo alle responsabilità dell’uomo. Nel ’47 comincia la pubblicazione delle opere di Gramsci . L’idealismo, come ideologia della riscossa borghese che aveva avuto inizio negli anni dell’800 , entra in crisi.

Il marxismo, quasi ignorato nel primo quindicennio del secolo, respinto poi dalla cultura ufficiale, è il fatto culturale più rilevante di quel periodo.

Infatti il fenomeno nella politica che caratterizza quegli anni è il ricostituirsi contro il fronte borghese di un fronte antagonistico delle classi subalterne , e, parallelamente, il costituirsi di una cultura antagonista a quella borghese, che si richiama al marxismo e che si pone soprattutto, e questo è uno dei nodi centrali del pensiero marxista, quale rapporto tra ”cultura” e “società” e vede la cultura quale momento ineliminabile della lotta politica, premessa necessaria alla rivoluzione.

Si viene così a riscoprire la finzione “civile” della cultura e la responsabilità civile e politica dell’intellettuale.

Mentre l’arte ”ermetica” era stata ”borghese”, l’arte”realista” o ”neorealista”, come fu chiamata, voleva essere”popolare”, o meglio, utilizzando il termine proprio di Gramsci ”nazional popolare”; un’arte che parlasse a quel che di comune c’era in tutti gli italiani.

 

 

Il realismo vede la sua migliore produzione tra gli anni ‘40 e la metà degli anni ‘50

In seguito alla Seconda Guerra Mondiale e alla lotta contro la dittatura del fascismo in Italia infatti si era creato un grande cambiamento culturale e letterario.

Gli intellettuali sentono fortissimo il bisogno di impegnarsi concretamente nella vita politica e sociale del Paese, di mettere la propria arte al servizio della realtà come manifestazione e mezzo di impegno civile

Elio Vittorini con la rivista “Il Politecnico”, del quale fu direttore dal 1945 al 1947 è il maggiore rappresentante di questa tendenza.

I suoi servizi editoriali, carichi di impegno sociale, le sue inchieste e le sue pubblicazioni aiutarono anche la rinascita dell’editoria italiana. Emblema ne è la casa editrice Einaudi, fondata da Giulio Einaudi , che pubblica i principali intellettuali dell’epoca coinvolgendoli in un dibattito letterario giovane, critico, attento alle realtà di oltrepaese. e soprattutto carica di entusiasmo. A questa casa editrice, dal '45 , si deve la scoperta e la pubblicazione di opere che hanno segnato la cultura del '900: dalla traduzione in italiano delle opere di Proust, Bertolt Brecht, Jean Paul Sartre, Thomas Mann, Jorge Luis Borges, Robert Musil., al grandissimo lavoro di divulgazione storica, culminata alla fine degli anni '70 con "La storia d'Italia", alla pubblicazione di opere di scrittori quali Morante, Cassola, Moravia, Ginzburg, Carlo Levi, Pavese, Montale, Vittorini, Penna. In sostanza la narrazione “realistica” dell’Ottocento prosegue così anche nel Novecento ma cambiando punto di vista e dando via alle soluzione più disparate, da opere legate al memorialismo storico (Primo Levi ”La tregua”) a romanzi legati all’esistenzialismo con eroi-personaggi devastati da dubbi esistenziali ,sconvolti da grande tragedie (Sciascia, Tomasi di Lampedusa, Silone, Jovine etc), allo sperimentalismo delle opere di Gadda fino al “populismo” di Pasolini

Adesione ai temi della psicologia del profondo, rifiuto della oggettività del reale, appello alle forze oscure dell’inconscio individuale e collettivo, ricerca delle origini dell’uomo nei meandri oscuri dell’inconscio, nelle leggi interne che regolano, fin dall’inizio, la società umana. non contrastavano con la contemporanea battaglia svolta dal marxismo contro la società capitalistica, i suoi tabù e le sue repressioni.

Questa eclettica produzione trova la sua manifestazione teorica nella formula del ”tipico” lukacsano, specie quando nello scritto “Marxismo e critica letteraria”, il filosofo afferma che:”La fedeltà alla realtà, l’appassionato sforzo di restituirla nella sua integrità, furono per ogni grande scrittore, (Shakespeare, Goethe, Balzac, Tolstoj) il vero criterio della grandezza letteraria”.

.Per Lukàcs ”…ogni nuovo stile, sorge come necessità storico-sociale nella vita” ed è ”Il necessario prodotto dell’evoluzione sociale” e mai ”da una dialettica immanente alle forme artistiche”. Si pensi poi alla funzione del narratore e alla giustificazione dell’io narrante come garanzia di ”distanziamento”, e nello stesso tempo, come possibilità di una visione totale del reale.

Lukàcs crede nel ”distanziamento”, come”l’ a priori” di ogni possibile selezione degli avvenimenti posti dalla prassi; con l’uso della prima persona è possibile distanziare in un passato anche recente gli avvenimenti e sottoporli a selezione.

Citando sempre Lukàcs: ”la tensione propria dell’arte veramente etica concerne dunque sempre destini umani. “

Concludendo, la produzione letteraria di quegli anni fu originale, eclettica ma anche contraddittoria. Il bisogno di rinnovamento e l’ esperienza comune della guerra furono il terreno di incontro di esperienze eterogenee che trovarono il loro fondamento nel concetto, già proprio del decadentismo, dell’ ”autonomia” dello scrittore. Il grande Italo Calvino smentì che il Neorealismo possa essere classificato come una "scuola".

Per lui esso fu invece “...un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche - o specialmente - delle Italie fino allora più inedite per la letteratura. Senza la varietà di Italie sconosciute una all'altra o che si supponevano sconosciute, senza la varietà dei dialetti e dei gerghi da far lievitare e impastare nella lingua letteraria, non ci sarebbe stato neorealismo."

Forse il tratto del carattere che meglio svela le contraddizioni interne del neorealismo, pur nella sincerità delle vari adesioni, è la sostanziale natura ”decadente” di questa letteratura in Italia, che si manifesta nella incapacità, inadeguatezza, inidoneità dello scrittore neorealista di affrontare le condizioni del ”popolo”; i protagonisti, anche se contadini meridionali o operai rappresentanti della nuova classe sociale sono comunque sempre personaggi nevrotici e schizofrenici, idonei più che a denunciare e a rappresentare la lotta di classe a metaforizzare la rabbia dell’intellettuale borghese.

Borghese”, appunto, fu quella letteratura per l’incapacità di rappresentare altre alternative al mondo odierno, nella persuasione che non esiste altra società fuori di quella, e che, quindi, il futuro, non lo si può preparare solo sulla base di un’analisi che nell’oggi prefiguri il domani, ma lo si può solo sperare, semmai, ed utopizzare irrazionalmente, come il frutto di una eversione totale

Il sistema di pensiero e la visione del mondo più congruente con questo stato d’animo si attua nella scuola di Francoforte con uomini quali: Theodor Adorno, Marx Horkheimer, Herbert Marcuse. Costoro condannarono certamente la società attuale ma, contro il ”sistema” e il ”potere”, esaltarono un’arte che, rifuggendo sia dall’impegno contenutistico, dalla speranza, perciò, di influire attraverso l’arte nella vita sociale, sia dal gioco formalistico dell’arte per l’arte, assume come ”impegno” la lacerazione e il caos della società di oggi.

Una visione, quindi, dell’artista che vede il mondo come una macchina mostruosa che tutto ingloba e conduce come ultima soluzione, non l’organizzazione politica, non il proletariato ma l’arte, come estremo tributo pagato alla società. Nell’ equivoco tra la tendenza al ”vero”, al”reale” e una sostanziale matrice esistenzialistica, si esaurì il nostro”realismo”.

 

Da ciò, verso la fine degli anni’ 50 e nel corso degli anni’ 60, si ha l’esplodere di una ribellione anarcoide, caratterizzata da una sfiducia assoluta nelle forze politiche tradizionali e dall’odio verso il ”sistema” e che investe tutti i settori della vita associata.

Ma questo stato d’animo di fiducia e di speranza dura poco, perché presto gli uomini macinarono altri eventi, ergendo nuovi steccati tra i popoli, ricostituendo nuovi blocchi ostili e nemici, rompendo l’equilibrio formatosi contro il fascismo e distruggendo le conquiste ottenute dalla guerra.

Fuori dall’Italia infatti ma con echi nella nostra vita e nelle nostre coscienze la ”guerra fredda”, e poi la “guerra calda” in Corea; il trionfo della rivoluzione in Cina e le sue vicende ulteriori; le vittorie anticolonialiste in Africa e l’organizzarsi del Terzo Mondo; il risorgere qua e là di regimi fascisti; il regime dei ”colonnelli” in Grecia e la sua caduta; la ribellione dei negri d’America; le lotte studentesche e il ”maggio radioso”; la guerra e la vergogna del Vietnam e la sua fine; il Cile; un alternarsi di illusioni e delusioni, di speranze e disperazioni.

In Italia abbiamo un susseguirsi di periodi di maggiore e minore tensione: rotture sindacali, presto ricostituite; scissioni e riunificazioni all’interno dei partiti; rinascita dei fascismi, il ”boom economico”, fino alla crisi economica; e le torbide vicende che viviamo in questi ultimi anni.

Intanto anche la società italiana è cambiata e si è “evoluta” in maniera rapidissima: emigrazione dal Sud al Nord; creazione del ”triangolo industriale”, nascita del problema ”meridionale”; sviluppo dell’industria editoriale; diffusione dei mass.media…

Questo rapido evolversi sociale ha naturalmente coinvolto anche l’artista e l’uomo di cultura, creando nuovi problemi riguardanti il ruolo e la funzione dell’intellettuale , dato il condizionamento su di essi esercitato dall’industria culturale e le strade da battere per evitare l’integrazione e la ”mercificazione”.

Davanti a questi eventi, comunque, dobbiamo osservare che, sempre, in ogni momento, del presente come del passato, la storia dell’uomo è stata costituita da una serie difficile di rapporti tra gli abitanti di questo nostro pianeta, che, anche in presenza delle più solide intenzioni, ha continuato a configurarsi entro gli eterni termini della lotta, dell’equilibrio di potenza, del compromesso.

Ma le ”armi totali”, in possesso delle due potenze mondiali, hanno schiuso un’ epoca nuova, caratterizzata dalla possibilità dello scatenamento del Nulla, dalla sperimentata consapevolezza che la storia dell’uomo può pure non continuare.

E’ stato giustamente osservato che la scelta immediata, in questo mondo ideologicamente diviso in due, non è più tra due fedi, tra due diversi modi di organizzazione umana, ma ”fra essere e non-essere”.

Solo tenendo presente questo rapido e folto susseguirsi di eventi e fatti, di mutare incalzante di situazioni politiche, di anni di ”storia” tragica, tramata di conflitti di classe, di guerre, calde e fredde che siano, di stragi e di sangue, di violenze legali o illegali, fino alla presente, tragica scelta finale, possiamo comprendere l’ ecclettismo e, a volte, la debolezza intellettuale e morale che hanno accompagnato la letteratura del Secondo Novecento, di fronte a tanti avvenimenti irrazionali ed emotivamente e razionalmente incapaci di essere dominati; solo così si possono spiegare le risoluzioni violente, gli equivoci, le sterili ribellioni anarcoidi e il solipsistico ripiegarsi in se stessi, la dispersione nevrotica o l’integrazione servile, che caratterizzano tanta letteratura contemporanea.

Ma accanto ad un indirizzo ateo e pessimistico si è svolta parallelamente un’ altra corrente che ha indicato in Dio e nella futura vita il conforto alla finitezza umana.

Si è sviluppata, infatti, una corrente spiritualistica, i cui maggiori rappresentanti sono stati i francesi Gabriele Marcel, Lavelle e Renè le Senne.

Lo ”spiritualismo” ha inteso pervenire alla trascendenza di Dio e alla rivalorizzazione della fede attraverso l’analisi approfondita della coscienza umana e della sua condizione finita.

Ma il fenomeno che più ha caratterizzato in quei decenni il nostro quadro culturale è stata la discussione sul pensiero di Marx, soprattutto la riscoperta dei testi del giovane Marx sulla filosofia della prassi, che ha analizzato la condizione dell’uomo e del suo lavoro come condizione di alienazione analisi che si ricollega alle ricerche esistenzialistiche sulla vita in autentica che stringe da ogni lato l’iniziativa umana nella nostra società tecnico-industriale, e alle ricerche fenomenologiche sull’occultamento del soggetto e della coscienza nella società moderna , investiti da immani potenze, che noi stessi abbiamo scatenato.

Intanto, di fronte all’incalzare degli avvenimenti, stretto l’uomo sempre più da un senso di angoscia e di distruzione immanente, nasce la reazione,l a soluzione gettata dalla ”scuola di Francoforte” e della quale i maggiori rappresentanti sono Theodor W. Adorno e Herber Marcuse.

Rifacendosi alla lezione dell’anarchismo, essi ritengono, da un lato, che l’individuo è la sola realtà ultima e dall’altro affermano che questa realtà nella società contemporanea è ridotta ad apparenza, perché la società è un ”sistema” che deforma gli individui.

Da qui il compito della filosofia di ridare alla Ragione la sua libertà di progettazione, con l’elaborazione di un progetto dell’ esistenza umana nel mondo, che si attui su basi completamente diverse da quelle attuali,in accordo con le”possibilità reali” dell’uomo.La funzione della Ragione, allora, coincide con la funzione dell’Arte.

Ma la teoria critica della società proposta dall’utopia, rimane però ”negativa”, perché non possiede concetti che possano superaree l’abisso tra il presente e il futuro e rimane perciò fedele a coloro che, senza speranza, hanno dato vita al”Gran Rifiuto”.

Osserviamo come il fallimento dei precedenti progetti di rivoluzione totale, di anarchia (primi anni’ 60), abbiano ceduto il posto a delle possibilità di compromesso ideologico. In Francia soprattutto i cosiddetti ”nuovi filosofi”, quasi tutti provenienti dal tentativo rivoluzionario del maggio’ 68, vedono nel fallimento di questo tentativo nuove possibilità e cercano vagamente, di ricondursi ad un’ etica che salvi il valore e la libertà dell’individuo contro ogni forma di oppressione. L’insieme di queste ultime direzioni di pensiero, nel cui contesto si inseriscono,perciò, temi dell’esistenzialismo, della fenomenologia e del marxismo, ha dato luogo ad una problematica che possiamo definire ”umanistica” con accentuazione del carattere finito dell’esistenza umana e in relazione al campo storico nel quale l’uomo, con le su esperienze, si trova ad operare.

Pertanto, la letteratura ”antirealistica” dell’ultimo Novecento, come concezione del mondo vissuta e sofferta, è ancora ”decadente” e continua quella disperazione esistenziale che è stato il motivo più alto dell’arte del primo e del secondo Novecento.

Ma, naturalmente, le tesi di pensiero, gli studi, le tendenze ora indicate, sono state vissute in modo diverso dai vari scrittori, dando vita all’intreccio di soluzioni individuali molteplici e contraddittorio, ma sempre valide, costituenti quel mondo affascinante, anche se difficile, che è la storia della cultura italiana del Novecento.

 

BIBLIOGRAFIA

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GUGLIELMINO SALVATORE:”Guida al Novecento”,Principato Editore,Milano,1971

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LUKACS G “Saggi sul realismo” Einaudi,1970

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PETRONIO-MARTINELLI:”Novecento letterario in Italia”,”Tra le due guerre”,Palumbo,Palermo,1974

SCHULTZ DUANE P.:“Storia della psicologia moderna“Giunti-Barbera,Firenze,1979

WIKIPEDIA,L’ENCICLOPEDIA LIBERA ondine

A cura di Angela Rigamo



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