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Come costruire un romanzo
di Giuseppe Cerone

PARTE TERZA


Metodo

"Le doti vengono presupposte, esse debbono trasformarsi in capacità. E' questo lo scopo di ogni educazione". (Johann Wolfgang Goethe: 'Le affinità elettive', Garzanti, Milano, '82 - pag. 42).
Molte arti presuppongono spazi e materiali idonei; la scrittura è un'arte povera, nel senso che necessita solo di una penna, un foglio e un cervello, naturalmente. Qualcuno, non ricordo chi, ha detto che gli scultori - per esempio- devono leccare i piedi agli assessori comunali, altrimenti non ricevono incarichi, ma la scrivere è più facile perché non si ha bisogno di niente: osservi e poi fai quello che vuoi. Basta una matita o una penna a sfera. Ce ne sono da cinquecento lire. Anticamente, bastava una penna d'oca, con cui grandi romanzieri hanno vergato con scrittura minuta i loro 'papiri'. Un'interessante prova la si può avere al British Museum, dove sono esposte i manoscritti originali dei grandi del passato. Eppure, il dramma di molto scrittori russi era, lo è stato fino a poco tempo fa, quello di non riuscire a trovare neppure la carta sufficiente per scrivere.
Oggi la società dei consumi, a noi viziati occidentali, ci viene incontro con magnanimità. I supermercati e le cartolerie abbondano di penne, quadernoni, fogli, etc. che riescono a soddisfare anche i più viziati scrittori, quelli come Bevilacqua per esempio, che sulla sua scrivania ama tenere decine e decine di penne e matite, evidenziatori, e altra cancelleria.
Indispensabili oggetti sono, comunque: una buona grammatica dell'italiano, un buon dizionario, una macchina da scrivere. Un discorso a parte riguarda il computer. Oggi, quasi tutti gli scrittori ne possiedono uno, e appare evidente la funzionalità che ne deriva, soprattutto per la facilità che consente di intervenire sul testo al posto desiderato per opportune correzioni o aggiunte. Ciò comporterà, naturalmente, anche una scorta di floppy disk.
E' preferibile riporre, fin dal principio, attenzione alla forma. Una scrittura ordinata, con capoversi rientranti, paragrafi di circa 10 righe, capitoli di circa dieci pagine, per un totale di circa venti capitoli, per un totale di 150-300 cartelle a spaziatura normale (con 2100 battute circa per cartella), potrà essere di supporto all'ordine interiore.
C'è anche chi, naturalmente, ritiene che si possano fissare regole più precise al riguardo, che sono:
- l'opera deve essere dattiloscritta su cartelle formato cm 21 x 29 (extra strong);
- ogni cartella deve contenere un massimo di 30 righe di 70 battute ognuna, calcolando come battuta anche le virgole, i punti, le parentesi, gli spazi fra due parole, ecc;
- tutte le cartelle devono essere numerate progressivamente;
- gli eventuali titoli dei capitoli vanno scritti (in maiuscolo e centrati) su di una nuova cartella, lasciando il resto della pagina precedente in bianco. Eventuali titoli di paragrafi vanno scritti in maiuscoli e allineati a sinistra;
- i capoversi vanno evidenziati lasciando le prime 4 battute del rigo in bianco; ecc.

Naturalmente, va detto che queste cose sono puramente indicative e che ogni genio si comporta a modo suo. Così come per quanto riguarda le ore da dedicare alla scrittura, anche se, tanto, si imparerà presto come essa possa assorbire tutti i nostri pensieri e i nostri giorni e notti. Spesso in solitudine e nell'incomprensione generale. E allora faremo bene a ricordare quanto diceva Nietzsche: "L'intelligenza di una persona si misura dalla quantità di solitudine che riesce a sopportare". E a ripeterci che la scrittura deve servire innanzitutto a se stessi, per riflettere e trovare la coscienza di sé, come la meditazione nelle filosofie orientali.
A proposito del fatto che la scrittura dev'essere per prima cosa un piacere in sé, vorrei ricordare cosa mi hanno detto Natalia Aspesi: "Penso che scrivere sia un grande piacere personale che ripaga di ogni delusione"; e Gianni Riotta: "E' vero che tutto sembra a tratti duro e inutile. Ma scrivere o leggere è un piacere in sé. Bisogna già godere di questo fatto: dice un motto zen 'Il battito di ali di una farfalla arriva al confine dell'universo, il clangore di eserciti armati muore subito' ".
Questo in teoria, perché poi, nella realtà, a uno scrittore verrà richiesto non solo di riflettere su quanto sta facendo, ma anche di frequentare salotti, premi letterari, presentazioni dei libri (e qualche volta venderseli da soli); insomma farsi vedere in giro perchè una cosa è scrivere, avere dentro la religiosità, e un'altra far parte della gerarchia letteraria, dove a decidere chi vale e non vale ( e talvolta per puro opportunismo) sono i vescovi e i cardinali, i critici e gli editori. Un po' come accade nella scuola: uno può essere un ottimo insegnante, avere 20 anni di servizio alle spalle, capire le esigenze degli alunni e saper porgere gli argomenti con amore e professionalità, ma poi deve vedersi imporre continuamente direttive fantasiose e campate in aria da parte di stupidi burocrati, che in una scuola non hanno mai messo piede. - Come non è raro, anzi è la regola, vedere ministri della Pubblica Istruzione che non sono stati insegnanti e ministri della Difesa che non hanno neppure fatto il servizio militare-. E quindi si dovrà sviluppare la capacità di adulazione e di servilismo, perché chi comanda fonda il suo potere proprio su questo.

Altri suggerimenti:
- "Chi apre un periodo lo chiuda" diceva Flaiano. E' senz'altro la prima regola;
- scrivere soprattutto la mattina, e portare sempre con sé un blocchetto per gli appunti, per annotare le idee, che possono giungere a concretizzarsi nei momenti meno opportuni, ma che è bene fissare subito, per evitare scherzi della memoria;
- controllare sul dizionario i termini di cui non si è sicuri;
- evitare di seguire mode e tendenze, ma attingere dal proprio animo;
- rimuovere il complesso d'inferiorità nei riguardi dei 'nomi' più ricorrenti. Seguire l'istinto e non essere intimoriti da ciò che fanno o dicono gli altri, compreso i critici;
- scrivere su temi congeniali, poiché la passione, per esempio, non la si può apprendere: o c'è o non c'è;
- ricordarsi sempre che uno scrittore scrive anche se non ci sono lettori;
- associare a ogni personaggio un volto noto, verificandone le rispondenze per evitare di descrivere fisionomie perfette ma irreali;
- cominciare col copiare il romanzo preferito: se ne assorbirà il ritmo, si imparerà a scrivere le parole correttamente, si adeguerà la punteggiatura (soprattutto la punteggiatura all'interno e all'esterno dele virgolette). Senza vergognarsi: tutti, dico tutti, hanno copiato da chi li ha preceduti. Molti traduttori, inoltre, sono giunti alla scrittura avendo assimilati i principi degli autori tradotti. Busi e Tabucchi hanno cominciato da traduttori. Copiare finché non si comincia a pensare di poter far meglio, in quel settore. Ho conosciuto un poeta, Antonio Porta, e mi diceva proprio questo, riguardo a un altro poeta, con umiltà: "Qui, lui ha fatto meglio di me".
- ricordare che il lettore si aspetta da uno scrittore una certa trasfigurazione della realtà, di modo che egli possa cogliere, tramite gli occhi del narratore, aspetti che gli erano sfuggiti;
- prima di passare a una stesura completa dell'opera, esercitarsi a fare descrizioni di personaggi e ambienti, osservando la realtà, la qual cosa è il vero compito dello scrittore. Scrivere dei brevi ritratti, come fanno i pittori, che, prima di passare alla tela, fanno dei bozzetti su carta, col carboncino. Si tratta di veri e propri 'studi';
- quando si sarà scritto l'ultimo capitolo, bisognerà tornare daccapo per dare uniformità ed evitare le ripetizioni;
- bilanciare le parti descrittive con i dialoghi, l'immissione di idee con l'umorismo, le cadute di tono con i colpi di scena; il ritmo di un'opera è importante: gli scrittori americani sono maestri in questo campo perché sono abituati a pensare e scrivere per scene, abituati come sono al linguaggio cinematogafico. Essi preferiscono anche le frasi brevi, con una sintassi contratta. Questa maniera di fare, che spesso salta i collegamenti e quindi le sfumature psicologiche, non piace tanto ai critici nostrani, che sono cervellotici, ma sono anche, però, i primi a godersi i film americani;
- l'aggettivazione è importante; come l'uso degli avverbi;
- evitare ripetizioni terminologiche: tutti gli scrittori hanno utilizzato, almeno agli inizi, un dizionario dei sinonimi e dei contrari. Uno scrittore, per esempio, può essere anche un romanziere, narratore, saggista, critico letterario, cronista, etc., e può scrivere un best seller, un capolavoro, un' allegoria, una pubblicazione, testo, volume, libro, etc., e un'opera può essere prima, minore, postuma, d'evasione, dialettale, divulgativa, religiosa, scientifica, scolastica, propagandistica, moraleggiante, inedita (quasi sempre), allegorica, drammatica, burlesca, grottesca, lirica, realistica, seria, satirica, epica, barocca, crepuscolare, decadente, immaginifica, manieristica, minimalista, naturalista, postmoderna, romantica. Il ritmo può essere incalzante, monotono oppure lento.
- la lunghezza del testo non è importante. 'Il sottotenente Gustl', di Arthur Schitzler, che è di appena trenta pagine, è un capolavoro, mentre il romanzo più lungo mai scritto, cioè 'Gli uomini di buona volontà' di Jules Romains, composto da 27 volumi, è una semplice curiosità; inoltre, Saul Bellow ha sostenuto la necessità di scrivere romanzi brevi, perchè l'attenzione dei lettori diventa sempre meno capace di reggere ai grossi volumi di centinaia di pagine. In questo concordava Calvino, il quale aggiungeva che gli italiani sono più portati per il racconto. In America c'è una vera venerazione per il racconto. I più grandi scrittori pubblicano racconti su riviste prestigiose.
- mentre in un racconto i personaggi sono tre o quattro, in un romanzo bisogna dare fisionomia ad almeno 20 o 30 personaggi;
- un buon titolo è importante. A proposito di quest'ultimo punto, molte sono state le discussioni in merito. Sul 'Corriere della Sera' del 22 ottobre '89, si è sviluppato un dibattito. Ecco le varie posizioni.

Giuseppe Pontiggia: "Trovare il titolo all'inizio del viaggio può essere una bussola, ma rischia di condurre esattamente dove ci si riprometteva di arrivare. E spesso non è una buona navigazione. Il limite di alcune opere è di corrispondere, con fedeltà eccessiva, al loro progetto... Anche rimandare il problema alla fine del viaggio non manca di insidie. Un titolo ideale dovrebbe, secondo me, orientare prima e dopo la lettura: all'inizio delimitando il campo e alla fine ampliandolo, grazie alle acquisizioni del libro stesso".

Antonio Debenedetti: "Nasce prima il romanzo o prima il suo titolo? Prima l'uovo o la gallina? Non c'è una sola risposta, tale che si possa concludere: "La cosa sta così". La scelta di un buon titolo, sono tuttavia d'accordo gli autori, è fondamentale: ancor più oggi, fra tanto proliferare di novità, di proposte editoriali. Se non la determina, un buon titolo può sensibilmente aiutare infatti la fortuna editoriale d'un libro. Ma, rimanendo alle domande-curiosità, chi dà il titolo a un'opera? Dio stesso, come si dice accada per il primo verso di una poesia? L'ispirazione di chi scrive? L'esperienza di chi pubblica?".

Raffaele La Capria: "Il titolo viene fuori via via che il libro si fa. In linea generale, poi, il titolo non dovrebbe costituire una spiegazione di quanto s'è scritto. Con un salto di fantasia sarebbe giusto individuasse qualcosa di più segreto, che ha dettato un'opera".

Mario Soldati: "I miei titoli nascono qualche volta prima che mi metta a scrivere e qualche volta dopo, anzi all'ultimo momento quando il libro è già in stampa e non c'è più tempo di pensare".

Dacia Maraini: "Ho un rapporto molto problematico con i titoli, non riesco mai a trovare quello giusto".

Mario Luzi: "Per me il titolo di un libro si forma con il crescere del libro, oppure si lascia scoprire in una piega del testo come frase prima inosservata che a un tratto acquista luce e forza di significazione".

Alberto Bevilacqua: "Il titolo di un romanzo, o di un racconto, nasce attraverso un processo che potrebbe definirsi una sorta di epifanìa. E' una manifestazione, appunto, una rivelazione che lo scrittore intimamente riceve, restandone suggestionato: significa che quella piccola divinità che è sempre una storia, è nata, ha una sua luce, chiede un sigillo. Se lo scrittore procede troppo 'di testa', in genere ne esce un brutto titolo"

A cura di Giuseppe Cerone

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