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Per la vita di una farfalla di Afsan Azadi
traduzione di Giovanna Garraffa
Pubblicato su SITO


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I racconti di Progetto Babele

Vi siete mai trovati in una situazione senza via d'uscita? Intendo un attimo, una fase nell'esistenza, un momento nell'arco della vita, una situazione dove sai che non ne uscirai vincitore, intrappolato in una condizione difficile. Mi trovo in questa situazione proprio adesso. In piedi, su una piattaforma di legno, circondato dalla folla che inneggia e si entusiasma per quello che sta per accadere. Vedo la rabbia nei loro occhi. Percepisco l'indignazione sui loro volti furiosi. Li vedo desiderare la mia morte. Poi vedo intorno la mia famiglia, mia madre in lacrime che implora, mio padre che piange in silenzio asciugandosi il volto, mia sorella in stato isterico, ma molti sconosciuti che esultano per la mia sorte finale.

No, non vi siete mai trovati, perché se così fosse, non sareste qui adesso a condividere con me questa storia.

 

Tutto cominciò quando ero bambino, sono sempre andato pazzo per gli insetti e spesso andavo a caccia del più bello tra loro, la farfalla, l'enorme farfalla Monarca - una specie che fondamentalmente ha segnato la mia sorte e il mio destino.

 

Da piccolo, ho sempre amato e adorato le farfalle, specialmente quella Monarca. Ero affascinato da loro. Mi incantavano. Le amavo e contemplavo la loro bellezza, l'eleganza e l'aspetto maestoso.

 

Vivevamo in una casa di medie dimensioni, circondata da alberi e fiori. In primavera e in estate, accoglievamo centinaia di queste farfalle, che ci entravano in casa. Da dove provenivano? Non ne ho idea, ma erano sempre lì intorno. Le inseguivo e davo loro la caccia. Non fui fortunato all'inizio, poiché le farfalle, specialmente le Monarca, erano veloci e sfuggenti come se avessero avuto due grandi occhi sulle ali. Forse quelle due macchie che hanno sulle ali sono occhi. Ma dopo un po' di tempo, sono diventato molto bravo nel catturarle.

 

La mia abilità si è affinata dopo un'intensa pratica, che ha incluso anche la caduta dall'albero una volta o l'atterraggio col mio sedere in mezzo ad un cespuglio di rose. Non le ho mai uccise. Le cacciavo con cura - afferrando delicatamente la punta delle loro ali - e dopo un po' di convivenza le liberavo. Le fissavo e provavo un'intensa sensazione di gioia, amore e serenità nel guardarle. Questo mi procurava un'ondata di vita e mi iniettava di amore e felicità. Ero come in trance. Mi sentivo ebbro ed euforico. Era come una pozione di rinascita iniettata nelle mie vene. Era una sorta di resurrezione.

 

In primavera, e in particolare d'estate, era questo il mio passatempo e il modo di esaltarmi. A ogni pic-nic ero lì che correvo tra i cespugli e intorno agli alberi, inseguendo le mie adorate compagne. La mia vita praticamente ruotava attorno all'inseguimento e alla caccia delle farfalle. Non ho mai fatto loro del male. Le ho sempre maneggiate con cura e delicatezza, e dopo averle osservate, studiate, e a volte annusate, le liberavo nuovamente all'aria aperta. Amavo guardarle ritrovare la libertà, agitare le ali e volare via. Vedere le farfalle liberate volare via era sempre come un ricordo indelebile nella mia mente.

 

Lessi ogni libro sulle farfalle, nonostante alcune opere fossero rare e difficili da trovare. Controllavo in ogni biblioteca e raccoglievo quanto più materiale e studi possibili su di loro. Non  ne avevo mai abbastanza di questa bellissima specie. Tutti erano a conoscenza della mia passione per le farfalle. Quando mio zio andò in Europa, mi portò quattro farfalle Monarca da collezione, morte e perfettamente essiccate; due blu, una gialla e una rossa. Ricordo di non aver dormito quella notte. Tornai alla mia scrivania e le osservai per tutta la notte il più possibile.

Il mattino seguente, io e mia madre andammo alla falegnameria di zona e comprammo una cornice di legno quadrata con una copertura di vetro. Posizionai le quattro farfalle al muro e le misi nella cornice di legno e vetro. Si potevano vedere facilmente attraverso il vetro. Il falegname aveva fatto un ottimo lavoro. Andavo avanti e indietro dozzine di volte al giorno e le contemplavo. Mi piaceva guardarle, ma mi dispiaceva che fossero morte. Un giorno, tornai a casa dalla scuola e non le trovai più. Trovai la scia delle formiche che andava dalla cornice alla loro tana. L'ultimo pezzo di farfalla era stato sfilato via dalle formiche.

 

Quell'estate, mio padre decise di portarci in vacanza ad Aarak a trovare un suo amico e a trascorrere un po' di tempo con la sua famiglia. Passammo lì una settimana. Ci divertimmo molto. Una sera, io e il figlio dell'amico di mio padre stavamo giocando quando abbiamo notato una grande farfalla Monarca blu entrare nei pressi del cortile, in cerca di luce. Le corsi subito dietro e dopo un po' di fatica riuscii a prenderla. L'altro ragazzo corse a prendere uno spillo dal cassetto della sua scrivania. Mi strappò la farfalla di mano, l'appiattì sul muro della stanza e, dopo avermi dato lo spillo, mi incaricò di conficcarlo nella sua testa per posizionarla al muro.

 

"Attaccala, attaccala," mi urlò.

"Non posso farlo. Non posso ucciderla,"gridai.

 

Lui gridando ancora," Attaccala, ho detto. Conficcale lo spillo in testa e verrà appesa al muro." Non potevo farlo. Non potevo uccidere i miei amici. Risposi di no e davanti alla sua insistenza perchè portassi avanti la missione, mi misi a piangere. Non potevo farlo. Lui si arrabbiò e brontolò. Gettò la farfalla per terra e la calpestò sotto i piedi. Mi sgridò duramente per essere stato un codardo e mi colpì dietro la testa. Faceva male. Non ero un codardo. E' solo che non volevo uccidere un essere innocente. Piansi.

 

Passò del tempo e giunsi al mio ultimo anno di scuola superiore. Dopo il diploma, tentai di entrare all'università, ma dal momento che i miei voti non erano molto alti, fui respinto categoricamente. Poche settimane dopo il diploma, un ufficiale di polizia su un ciclomotore si fermò davanti casa e mi consegnò la notifica ufficiale delle forze armate che ero stato chiamato alle armi poiché avevo superato i 18 anni e non ero riuscito ad entrare all'università. Adesso dovevo fare i due anni di servizio obbligatorio. Ero spaventato. Non volevo entrare nell'esercito. La vita militare era contro la mia natura. Avevo così tanti progetti per la mia vita.  Ma quello sembrava il mio destino, e così fu.

 

Pochi mesi dopo fui convocato alla base militare a prestare i due anni di servizio. All'inizio fu dura. Ma mi ambientai presto, mi feci molti amici e la vita divenne più tollerabile. Sei mesi dopo durante il mio servizio, scoppiò una guerra tra il mio paese e quello confinante. Centinaia di ragazzi furono spediti al fronte ed io ero uno di quelli. Eravamo in mezzo al deserto a contrastare il caldo, le tempeste di sabbia e altre fatiche. Ho visto cadere molti miei compagni. Lavorai come assistente in ospedale dal momento che avevo qualche conoscenza di medicina.

 

Un giorno, ci fu una pesante incursione nel nostro territorio. Molti soldati morirono, da entrambe le parti. Mi diedero un fucile e mi dissero di sorvegliare i dintorni del campo. Sapevo maneggiare un'arma, ma non ero così sicuro su come uccidere. Poco dopo, una nube di polvere avanzò verso di noi, in mezzo c'era un gran numero di soldati nemici. Si sparpagliarono attorno al recinto ma eravamo preparati. Ci disperdemmo nei bunker che avevamo costruito. Il mio sergente mi ordinò di seguirlo in quanto i soldati, a due a due, correvano verso bunker differenti.

Raggiungemmo il nostro bunker a destra del campo e saltammo dentro mentre ci sparavano contro una raffica di pallottole. Il sergente stava sparando all'impazzata con la sua pistola, mentre il mio fucile era ancora freddo. Lo puntai varie volte, senza trovare alcun bersaglio a cui sparare. Ero fermamente deciso a proteggere i miei compagni, il nostro territorio, il nostro paese. Come entrammo nel bunker, notai un soldato nemico ferito, steso in fondo. Era stato colpito. Era in una pozza di sangue, gravemente ferito.

Il mio comandante stava sparando e abbattendo i nemici. Mostrava di possedere un vero talento nell'uccidere e una notevole abilità per le azioni militari. Mi urlò, " Abbattilo, sparagli, uccidilo." Lui gridava. Io tremavo per l'ansia e la repulsione. Non potevo uccidere un uomo innocente. E' vero che era un nemico, ma in fondo era anche un uomo.

 

Gli urlai, "Non posso farlo. Non posso ucciderlo."

 

Così d'improvviso, vidi una farfalla Monarca blu fluttuare davanti ai miei occhi. Fluttuò e svanì delicatamente nella polvere levata dalle pallottole.

 

Il sergente venne verso di me e mi colpì fortemente con la pistola. Caddi per terra, sulla ghiaia del bunker. Sentii un gran dolore al collo e alla schiena. Sollevai la testa e lo vidi puntare la pistola alla tempia del nemico, e poi premere il grilletto. La sua testa esplose e il sangue schizzò sui muri. Provai una gran tristezza nel cuore. Avvertii dolore al collo. Sentii il piede del sergente sulla mia schiena e il click delle manette al polso. "Sei in arresto per tradimento, viltà e per aver messo a repentaglio la vita  dei tuoi compagni. Alzati, vigliacco, bastardo."

 

Dopo il mio rientro alla base, mi incarcerarono in attesa di un processo militare. Nella mia cella, ho trascorso molti giorni e notti in solitudine. Sono stato sputato dagli altri soldati. Schernito e maledetto. Insultato. Alla fine mi hanno processato - una sorta di formalità. Tutti sapevano l'esito del processo; colpevole. Ed ecco la ragione per cui mi trovo qui oggi, in piedi su questa immensa piattaforma di legno, sotto una corda sospesa, in attesa di essere giustiziato.

 

Una grande folla si è riunita sin dalle prime ore del mattino. Intere famiglie provenienti da lontano hanno ricreato un'atmosfera da pic-nic. Alcuni hanno addirittura portato il pranzo, dei palloni da calcio, delle audio cassette e persino dei giocattoli per i loro bambini con cui giocare e ammazzare il tempo - per vedere un uomo morire. E' mezzogiorno passato e un prete sta leggendo dei passi dalla bibbia. Centinaia di persone sono sedute sul prato, mangiando, chiacchierando e in trepidante attesa affinché abbia inizio lo spettacolo: un uomo da impiccare.

 

Il comandante ordina al boia di mettermi la corda attorno al collo. E' stretta. Riesco a intravedere un settore specifico dove siedono i genitori di quelli morti ammazzati in guerra, che mi fissano e imprecano contro di me tutte le volte che possono. La superficie della piattaforma di legno è quasi ricoperta di sputi. Mi maledicono per essere stato un codardo e un nemico dello Stato. Il mio crimine è quello di aver disertato l'esercito, tradito la mia nazione.

 

Ma il mio vero "crimine"è l'amore e il rispetto per la vita, è l'amore per gli altri.

 

Quella sera ad Aarak, ho capito che non sempre si è destinati a vivere la vita nel modo in cui si dovrebbe. Ho capito che bisogna vivere e lasciar vivere. Ho imparato che la vita dovrebbe essere libertà totale: giustizia e libertà per tutti. Ho capito che devo vivere libero e morire libero. Ho imparato che non si può prendere una vita, non importa di chi. Non potevo uccidere un altro uomo anche se era il "nemico". Qual era la sua colpa? Anche lui come me, era solo un'arma, uno strumento utilizzato dal suo governo totalitario come il mio per prolungare l'esistenza del capo, del sistema. Era considerato mio nemico semplicemente perché era nato a migliaia di chilometri dall'altra parte del confine, "l'altra terra"? "L'altra terra", ovvero un pezzo di terra che secoli prima i nostri antenati avevano condiviso, ma che adesso è segnato dai fili spinati per indicare le "differenze" di razza e cultura. No, non potevo ucciderlo. No, non l'ho ucciso, esattamente come non ho ucciso la farfalla. Il soldato ferito era mio fratello aldilà del confine.

 

Era giunto il momento della mia esecuzione - il momento tanto atteso per cui molti si erano anticipati, di vedere il collo di un uomo spezzarsi con un colpo secco come un ramoscello.

Un'ultima occhiata ai miei familiari. Piangevano. Mia madre singhiozzava supplicando pietà.

 

Di fronte a me, in alto, in cielo, vidi fluttuare una grande farfalla Monarca blu.

 

Era lei. Si avvicinò e si posò in cima al ciarpame sospeso su di me cercando di consolarmi. Le sue ali sbattevano come per darmi conforto e ringraziarmi. Era come se mi osservasse con quei suoi due occhi sulle ali. L'uomo fece cenno al boia di tirare la corda. La porticina sotto di me si aprì. Iniziai una caduta libera, finendo sui miei piedi come un uomo libero e altruista.

 

Com'è preziosa una vita liberata. Com'è dignitoso morire liberi in piedi anziché in ginocchio, per la vita di una farfalla.

 

"Dedicato a Khabir. Riposa in pace, sei un grande uomo."

 

PER CHI VUOLE SAPERNE DI PIU':
Il sito di Afsan Azadi è www.afsanazadi.com, mentre il racconto è stato
tratto dal sito www.irandokht.com

© Afsan Azadi
Traduzione a cura di Giovanna Garraffa







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