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Il
surrealismo belga,
da Magritte ai camerieri
da Bruxelles, Massimo Burioni
Mi
trovavo con un gruppo di amici italiani al noto
Café Belga di Place Flagey a Bruxelles,
ed ho avuto l'opportunità di partecipare
da protagonista ad un dialogo che dimostra come
il surrealismo sia insito nella gente che cresce
e vive da queste parti.
Erano circa le dieci e ci stavamo gustando ottime
birre belghe, quando ad alcuni di noi é
venuta voglia di mangiare patate fritte; che
qui in Belgio, un paese dal federalismo irrequieto,
rivestono il ruolo di catalizzatore socio-culinario-culturale
attorno al quale vive la nazione. Le patate
fritte, le frites, sono il vero collante
che tiene insieme fiamminghi e valloni, per
intenderci, altrimenti divisi su quasi tutte
le questioni di carattere nazionale. Sulle tavole
dei belgi non mancano mai, e le onnipresenti
baraques de fritture, le friggitorie,
punteggiano il paesaggio urbano e rurale, spandendo
il loro odore caratteristico a tutte le ore
del giorno e della sera. Ordinare patate fritte
dopo una certa ora per mangiarle in compagnia
é un po' come quando, in Italia, ci si
fanno due spaghi aglio e olio a mezzanotte.
Dopo la dovuta premessa, passo ai fatti. Insomma,
il livello della terza birra già si stava
abbassando nei bicchieri, e gli stomaci di alcuni
di noi reclamavano qualcosa di solido da mischiare
con l'infuso di malto e luppolo che fermentava
placido tra esofago e piloro. Siccome in quella
brasserie non servono cibo di sera, due volenterosi
compagni si offrono di sfidare la pioggerella
che bagna Bruxelles da qualche ora (altro elemento
caratteristico del paese che ci ospita), ed
escono a comprare alcune porzioni di deliziosi
tuberi fritti, affettati grossi ed affogati
con maestria in olio bollente dal proprietario
della baracca che si trova a poche decine di
metri dal locale. Nel frattempo entrano due
avventori con un cane di grossa taglia e si
siedono in un tavolo vicino al nostro. La cosa
non ci sorprende, viviamo quasi tutti in Belgio
da almeno qualche anno e sappiamo bene che i
cani qua godono di uno speciale statuto non
scritto, una deroga civile che permette loro
di fare le stesse cose che fanno i loro padroni,
e quindi possono entrare un po' dappertutto,
dai negozi ai ristoranti. Il cane è molto
bello, nero e tranquillo; fortunatamente ha
il pelo corto e non é troppo bagnato.
Si capisce che é un habitué
da come si sdraia nel bel mezzo del passaggio
e non caga nessuno.
Poco dopo i nostri due rientrano con le vaschette
di patate calde che vengono distribuite sul
lungo tavolo e messe a disposizione di noi avventori,
che infatti ci avventiamo sulle frites con magno
gaudio ed ordiniamo subito la quarta birra.
Non passa un minuto che un trafelato cameriere
arriva al nostro tavolo e, mentre si impossessa
dei bicchieri vuoti, ci apostrofa dicendo che
non si possono mangiare patate fritte all'interno
del locale; quindi, o usciamo a mangiarle o
le buttiamo.
Lì per lì ci guardiamo un po'
interdetti, chiedendoci se stia scherzando o
se dica sul serio. Poi qualcuno passa allazione
e chiede perché.
- Perché si sente l'odore delle frites,
e ai clienti può dare fastidio.
La risposta ci lascia ancora più confusi;
l'odore di patate fritte è una delle
peculiarità del Belgio, lo si sente a
tutti gli angoli delle strade, fuoriesce dalle
finestre semiaperte delle cucine, a mezzogiorno
e all'ora di cena. Ristagna negli ascensori
dei condomini e fluttua nelle sale d'aspetto
degli ospedali. Insomma, l'odore di fritto è
uno dei pilastri intoccabili della belgitudine,
e non è possibile che a qualcuno possa
dare fastidio. E' come l'odore dell'aglio in
Provenza, o quello della piadina in Romagna
e quello del Parmigiano grattugiato sulla pasta
fumante in tutta Italia; questi odori, nei loro
ambienti naturali, sono profumi sublimi, non
semplici odori, e tantomeno puzza che può
dare fastidio.
Noi intanto continuiamo a pizzicare patatine
dalle vaschette, facendo melina allitaliana
per guadagnare tempo e convincere il cameriere
dell'assurdità di questa regola che,
in Belgio, sfiora l'anticostituzionalità.
Ma alla nostra incredulità ed alle nostre
rimostranze, lui non fa una piega ed insiste:
- O le mangiate fuori o le buttate.
In un ultimo vano tentativo di farlo ragionare,
tanto oramai le patatine le abbiamo quasi finite,
gli faccio notare che per venire al nostro tavolo
ha dovuto scavalcare un enorme cane bagnato
e, si sa, cane bagnato non emana un odore gradevolissimo.
- Ma come gli dico si può
entrare con un cane, ma non con le patate fritte?
Lui si gira, guarda il grosso cane, poi guarda
me come si guarda un bambino non troppo intelligente.
- Ma il cane è legato mi risponde.
- Prego? dico io, pensando di avere capito
male.
- Il
cane
è
legato!
ribadisce il cameriere scandendo le parole.
Rimango per un attimo interdetto, poi l'occasione
è troppo ghiotta e non mi trattengo:
- Allora se le lego, posso fare entrare anche
le patate
e lo guardo dal basso
verso l'alto con l'espressione più seria
che riesco a fare.
E lui, sempre serissimo:
- No, le patate, anche se le lega, non entrano
comunque, signore, mi dispiace.
La sua risposta ha messo fine alla questione
con l'autorevolezza che solo il surrealismo
riesce a dare alle cose assurde.
Ceci n'est pas une pipe, Questa non è
una pipa, ha scritto Magritte in un suo famoso
dipinto che riproduce una pipa.
(c) Massimo Burioni
da Bruxelles
VISITE: 6.555
dal 24/09/08
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