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La sposa di Arthur Schnitzlòer
traduzione di Tania Ianni
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Traduzione di un racconto di Arthur Schnitzlòer, psicanalista austriaco ,autore del libro " Doppio sogno " da cui Kubrick ha tratto il suo ultimo film."Eyes wide shut" Il tema, come in altri suoi testi , è la libera espressione della sensualità istintiva delle donnne.

La conobbi ad un ballo in maschera, dopo la mezzanotte. Mi erano piaciuti i suoi occhi intelligenti e silenziosi e l’abito blu scuro che indossava. Non era mascherata e non faceva assolutamente alcun segreto della sua persona. Apparteneva alla categoria delle sincere prostitute e non aveva nemmeno nella confusione delle maschere, che annoia tutte le donne così tanto, alcun bisogno, di fare la commedia. Ciò mi rinfrescava, poiché io mi sentivo giustamente stanco e nauseato da tutte le triviali bugie di Carnevale, che mi ronzavano intorno.
Era insolitamente intelligente, si udiva dai suoi discorsi e si osservava dai suoi movimenti, che proveniva dai migliori ambienti. Con lei era particolarmente verosimile la domanda, che si pone così spesso a donne del suo genere, per udire alla fine sempre la stessa trita storia, su come sia giunta in realtà in quel luogo con loro. Di questo però con gli occhi intelligenti osai udire qualcosa altro, e per questo rimasi insieme a lei.
Accadde intorno al mattino, allorché noi, un po’ sonnecchiati dallo champagne, prendemmo una carrozza e andammo al Prater. Fu a marzo, in una notte notevolmente mite. Per momenti ebbi la sensazione, come se lì al mio fianco si appoggiasse una creatura, che conoscessi da molto, molto tempo e che amassi tanto. Stavo molto bene accanto a lei, e per tanto tempo non parlammo affatto. Non riuscivo a decidermi, a prenderla semplicemente come la donna, che significa la conclusione di una notte divertente, la volevo conoscere. Volevo sapere della sua vita, della sua giovinezza, degli uomini, che aveva amato, prima di decidere, di amare , coloro che la volevano.
Qui c’era da scoprire un destino, ed alla fine, come eravamo già ben lontani nel Prater, dopo un lungo silenzio, glielo chiesi. Lei non si fece pregare a lungo per una risposta Naturalmente, ho dimenticato ora le parole, con cui mi posò semplicemente e volontariamente la sua confessione, ma la storia stessa mi è veramente dinanzi agli occhi più chiaramente che nell’ora, in cui io la udii. Passaggi si sono trovati per me, lacune, quali lei nel raccontare lasciava, li ho inconsciamente colmati nel pensiero, nel ricordare.
Era di buona famiglia, una molto rispettata e conosciuta, affermò lei persino, ed era stata educata a casa severamente. Ma i suoi sensi si svegliarono presto e in desideri violenti. Nelle notti solitarie della sua precoce età da fanciulla dovette sopportare molte sofferenze, ed in lei si formò una strana risoluzione, da desiderio non chiaro ad un progetto sempre più solido. Voleva aspettare, fino a che si era trovato marito, perché lei doveva ciò, poi in seguito, quando il pericolo era passato, voleva gettare francamente gli impulsi naturali e selvaggi della sua natura, si voleva gettare a tutti quelli che le piacessero… divertirsi della bellezza degli uomini e delle forze degli uomini, dove le si presentava.
A 17 anni s’innamorò, e dunque giunse un periodo breve della sua vita, su cui si espresse con parole quasi sentimentali. Allora trovai nel suo cuore quel notevole punto, che si scopre anche nei reietti- la nostalgia dell’innocenza. Poiché c’è anche un ritorno anche per i senza patria, e forse essi la sentono più dolorosamente di tutti. Che si abbia soprattutto una patria, è già un po’ di consolazione, che però manca agli altri.
Ora però accadde qualcosa di strano. Iniziò ad amare seriamente lo sposo, che all’inizio per lei aveva significato solo mezzo per lo scopo. All’inizio non voleva crederlo nemmeno lei stessa; ma alla fine dovette farlo, perché come altro c’era da spiegare, che iniziò a vergognarsi all’improvviso delle sue precedenti intenzioni- così pesantemente e così dolorosamente, come forse nessuna peccatrice dell’azione era capace di vergognarsi del passato-, che lei si pentisse? Voleva diventare per lui una buona moglie, fedele e devota. Divenne più calma. Le sue emozioni divennero uno strano respiro di pace e castità, e lei lo amava profondamente. Un paio di mesi, o furono solo settimane, non lo so più- durò questa situazione. Il giorno del matrimonio si avvicinava. Allora si mosse gradualmente di nuovo l’antico furore in lei. Forse in quel tempo c’era una ragione particolare, della quale lei stessa non era chiara, forse era solo l’andamento naturale, ed il breve periodo di calma terminò, perché ciò era nel temperamento della ragazza. Giunse su di lei in un modo terribile. Dieci volte era quasi sul punto – non di darsi al suo amato- non….di portarlo, di portare lei stessa, di trarre con lei nella stanza buia accanto al salone- o lì nella nicchia- o lì…Ma le circostanze non lo volevano, lei non rimase mai sola con lui.
Forse perse anche il coraggio, quando giunse l’occasione, e presto iniziò anche a notare di nuovo, come il suo fuoco generalmente c’era, come egli veramente non era più l’amato. Certo, lei voleva lui- naturalmente- ma anche questo- e quello- e quello – e tutti. Sentiva, che irrevocabilmente era finita con il suo, ah, soprattutto col suo amore. Era diventato di nuovo impulso, impulso violento, assetato, che voleva l’uomo, semplicemente l’uomo, non lui, il singolo! Qualcosa era tuttavia rimasto della sua profonda inclinazione: era all’uomo, che le aveva permesso di sentire infinitamente alto, che la aveva sollevata in alto dallo stordimento del febbrile desiderio per qualche tempo alla bella serenità dell’amore, per quest’uomo era diventata qualcosa di colpevole. Verità!...Scavava in lei, non la lasciava stare in pace. Doveva scoprirsi con lui. Sapeva, che fine dovesse prendere. Perciò si augurava, di tenerlo libero dalla vergogna e dalla pena. Non era nata per la brava moglie, ma non voleva diventare la sua, che forse già dopo la prima notte avrebbe dovuto essergli infedele- e lui dopo - ciò forse lo aveva in mente oscuramente- nei giorni successivi la avrebbe cacciata via. Il pensiero, che egli alla fine potesse bastarle, che con il suo possesso la sua follia potesse essere attenuata, calmata, le era diventato un ricordo infantile, ma voleva confessarglielo, dirgli: non sono nata, per diventare la tua brava casalinga, lasciami libera.
Il tempo andò avanti. I confini silenziosi e fissi del suo amore verso l’unico si mischiarono sempre più e fluirono separati verso le linee tremanti di una dolorosa, inappagata, difficile da controllare nostalgia dell’uomo.
Ed una sera- mi descrisse l’atmosfera di quella sera con forza sorprendente, come solo la sicura consapevolezza dell’importanza di un’esperienza possiede-, una sera, a casa dei suoi genitori, nel salone, che era immerso nella semioscurità di lampade fioche e colorate, mentre era con lui alla finestra aperta, che conduceva fuori su una strada ricca e luminosa, in quel momento lei glielo confessò. Tutto. I desideri ardenti della sua gioventù difficilmente sveglia, il breve periodo della sua felicità che si risveglia silenziosa ed infine il veloce tramonto di questo sogno. Lui era come irrigidito. Mai aveva supposto cose simile nella brava ragazza di buona famiglia, che egli voleva prendere come moglie con il felice consenso dei suoi genitori e in cui egli probabilmente sperava anche di trovare, quello che tutti noi ci aspettiamo dalle nostre future consorti: il contrasto strano, sacro, virtuoso alla passionalità selvaggia dei nostri flirt di gioventù…Cercò, di opporsi a lei. Voleva spiegarle, che lei si sbagliava su se stessa, che lei sminuiva e profanava un desiderio naturale ed in fondo bello, perché lei si vergognava nella sua orgogliosa verginità della stessa. Fu invano. Più urgentemente lui voleva tranquillizzarla della sua situazione, con parole così più pesanti e più chiare e più sfacciate lei gli permetteva di guardare nel tremolio e nell’ardere della sua anima più profonda. E lei spiegò a lui, che lei ritirava la sua parola, che la sua gliela ridava. Lei lo implorò, che egli doveva lasciarla al suo destino e non tornare mai più in questa casa. Ciò che riguardava il suo destino, era fisso il suo piano. Domani ancora, forse stanotte sparisce, scomparsa all’improvviso dal circolo dei suoi, lontano da tutte queste persone, che erano tranquille e contente e in salute e a cui lei non apparteneva, lontano da qui e pazzamente esultata in una vita di sfrenato desiderio, per la quale era certo un giorno destinata, in cui lei doveva entrare, se lei non doveva diventare irrazionale, se lei non doveva andare in rovina.
Come egli, lo sposo, la udiva parlare così, lei dovette essere apparsa a lui forse di una bellezza più selvaggia e ardente che mai. E la espressione lamentante dei suoi occhi mutò gradualmente nello splendore del tremante desiderio, che proruppe al di fuori sempre più ardente.
Lui era impenetrabile accanto a lei, e appena ancora supplichevole, implorante, le aveva preso entrambe le mani- e ancora le suonano le parole penose all’orecchio: lei fraintende se stessa, e lui le perdona tutto, e lei deve soltanto restare accanto a lui; allora all’improvviso la pressione delle sue mani diventa più decisa, più ardente, e il tremolio della disperazione nella sua voce divenne il tremolio della richiesta, e le sue parole suonarono all’improvviso diversamente, del tutto diverse, fino a che le suonò alla fine sfacciato, stridulo, brutale al suo orecchio, che egli toccava con le labbra: se deve essere già, se tu vuoi andare via, se tu non sai essere la brava casalinga, se tu vuoi appartenere a tutti coloro, che ti vogliono, allora appartieni a me prima, che ti voglio come nessun altro, a me, che hai amato, a me…me…me…., che ti adoro.
In quel momento però lei indietreggiò, e con disgusto lei lo spinse via e sottrasse da lui le sue mani.
Egli non comprendeva all’inizio, tentò ancora in modo maldestro e supplichevole di spiegarle, che sarebbe certo la cosa più assennata, che lei potesse fare. A lei però questo uomo, che la aveva amata così tanto, era diventato all’improvviso l’unico, che lei non poteva amare più, che la odiava, che la nauseava. Il respiro, che veniva dalla sua bocca, le mani secche e calde, l’occhio fisso ampiamente aperto, la sua voce, che aveva qualcosa di intenso e piangente, tutto questo le divenne in un attimo così incivilmente insopportabile, che lei dovette allontanarsi da lui, velocemente, ad un altro, all’altro, verso chiunque, che fosse un uomo ma non lui. Ed ancora nella stessa notte lei lasciò la casa dei suoi genitori, nella stessa notte vagò per le strade afose della città, nella stessa notte ancora lei si propose per strada a qualcuno, che passeggiava proprio dinanzi a lei e la cui andatura era leggera e divertita e che lei non aveva mai visto prima. E lui la prese e la cacciò via di nuovo, e costui fu il suo primo amante!
Tacque, dopo che mi ebbe detto ciò, senza che lei avesse informato particolari di questo uomo. Ero diventato curioso e volevo sapere di più. Chi era, se lei lo ha amato, se lei lo aveva rimpianto, cosa aveva provato, quando egli la prese, e come era per lei quando per la prima volta fu lasciata. In quel momento però lei mi osservò con occhi grandi. Ed allora, come fosse ciò qualcosa del tutto naturale, con tono di fermezza, che mi suona ancora adesso nell’orecchio, disse:« Ciò è perfettamente indifferente». Non la capii subito, ma come io la osservai solo un attimo, questo volto con l’espressione calma dei felici, che aveva trovato il loro vero lavoro, incurante della opinione degli altri, allora cadde all’improvviso chiaramente nella mia anima, e io potei capire, quello che intendeva. Sì, era indifferente, chi fosse stato quello uomo, con cui lei trascorse la prima notte, indifferente, chi era venuto dopo di lui, ed indifferente era anche, se io o un altro ero appoggiato lì accanto a lei in macchina. Non perché lei era, ciò che noi così leggermente chiamiamo una reietta. Perché abbiamo non tutti visto cento volte le donne, da cui fummo amati davvero, rabbrividenti e in muta disperazione, come noi siamo andati persi nel momento della realizzazione per lei, noi, con la intera maestà del nostro io, e come la nostra indifferente personalità significasse solo più la legge onnipotente, a rappresentanti casuali del quale noi siamo ordinati.
E se lentamente si risvegliano dalla loro più pesante ebbrezza, non vediamo, come ci guardano con uno stupore inquietante, no, come loro ci rivedono, per ricordarsi di noi, perché noi proprio nel momento del loro incanto più meraviglioso con tutte le nostre qualità altamente peculiari, con il nostro spirito e la nostra bellezza, con tutte le virtù e tutti i vizi, con cui noi le ottenemmo, siamo diventati così indescrivibilmente superflui, contro l’eterno principio, che nella maschera di un individuo debba apparire, per potere apparire: poiché il breve e inconscio istante, in cui la natura sa imporre il suo scopo, ha bisogno solo dell’uomo e della donna, e anche se noi facciamo ballare intorno al suo prima e dopo così ingegnosamente dalle mille luci della nostra individualità-esse ci cancellano però tutti, se ci avvolge la cupa notte della soddisfazione.

© Arthur Schnitzlòer
Traduzione a cura di Tania Ianni







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