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Il centenario del Bloomsday
e la Dublino di Joyce


A cura di Marco Montanari - marcomontanari@yahoo.com

Il 16 giugno 1904, un secolo fa, un signore di mezz'età si svegliava nel suo letto dublinese e cominciava una faticosa giornata: il suo nome era Bloom, Leopold Bloom.
Nello stesso giorno un giovane scrittore scappava da Dublino con la ferma intenzione di non tornare a viverci mai più: il suo nome era James Joyce.
Anni dopo, il non più giovane scrittore James Joyce dedicò al 16 giugno di Leopold Bloom 741 pagine fittamente scritte. Il libro che ne uscì fuori è considerato come un punto di riferimento nella letteratura del secolo scorso: il suo titolo era "Ulisse".
Penso che James Joyce si sentisse un artista prima che uomo, e soffrisse del contrasto tra i suoi sogni e le aspettative del sociale in cui viveva. Cioè, lui soffriva nella maniera in cui solo noi uomini possiamo agitarci quando ci scopriamo insofferenti al piatto conformismo che ci vorrebbe chiusi in ufficio a sostenere la famiglia mentre in cuore sentiamo ben altre spinte. Il modello sociale accettabile proposto dalla società dublinese d'inizio secolo è ben rappresentato da Leonard Bloom, una creatura che incarna tutto quello che il suo creatore aborrisce: tranquillo, posato, in un certo senso omologato. L'unico punto in comune tra i due personaggi, l'uno virtuale l'altro reale, che riesco a intravedere è Dublino e il loro rapporto con l'Irlanda.
Sia Joyce che Bloom erano nati irlandesi con passaporto inglese, in anni di acceso nazionalismo gaelico. Era questo il movimento che portò all'indipendenza dell'Irlanda tranne le provincie settentrionali, che rimasero inglesi con capitale Belfast. Ma James Joyce, lui, si sentiva sé stesso e basta: disprezzava quasi quei giovani patrioti di madrelingua inglese che si affannavano a studiare il gaelico, lingua ormai estinta, per ritrovare le loro radici: radici ormai morte, secche. Sia Bloom che Joyce non erano nazionalisti, non si sentivano accomunati da questo essere "irlandesi": era nati lì, capitati lì, basta. Questo atteggiamento potrebbe essere visto come il punto in comune tra i due personaggi. Dublino resta ancor oggi una splendida villa incastrata tra il suo essere una megalopoli rispetto al resto dell'Irlanda e la sua realtà di città provinciale nei confronti del mondo. Un loco dove si beve bene solo se si gusta la Guinness, ci si nutre decentemente assaggiando patate o cibi indiani. Certamente, Grafton Street trasuda vitalità coi suoi mille eventi, piccoli o grandi: questo corso è l'unico specchio di una città comunque giovane e aperta, che cerca di valorizzare la sua pretesa tradizione culturale. E in questo senso usa Joyce come suo testimonial d'eccezione.
Quanno se procede ner centro de Dubblino, s'atttraversa er Trinity college, se passa pe` 'e piazze georgiani che s'appizzano lì, poi ce so' 'i ponti e, de tanto en tanto, ammiccanno en giù, se vedono pure de 'e placche d'ottone che c'arricordano che Leopoldo Blumo s'è degnato de passa' de qua: e ce sta scritto pure er motto, l'ora... 'A figura che ce sta sopra è sempre ugguale, uno de profilo che sta a camminà, co 'na tuba e 'n bastone da passeggio. E' st'Irlanda d'oggi ch'ha fermato Leopoldo Blumo lì ndove Gioise ce l'aveva fatto viaggia', così come ne li sordi irlandesi che s'usava er profilo de Giei Gioise per addimostra' 'a superiorità de 'a curtura irlandese. Arripensacce, nè Leopoldo ne' Gioise se meritavano 'st`offesa.
Nei grandiosi racconti dublinesi in "Gente di Dublino" arriva a noi l'eco di una Dublino realistica e il volto di alcuni personaggi che abitavano la capitale di questo orgoglioso stato: tutto questo accadeva senza che fossero introdotto chissà quali novità stilistiche, anzi. Al contrario, l'Ulisse rivoluziona la letteratura, distrugge l'unità del romanzo, si beffa della sua localizzazione a Dublino: ci mostra come qualsiasi persona possa rivelarsi essere un Ulisse impegnato nella sua personale Odissea. Dalla sua lettura capiamo come il viaggio possa essere un qualcosa di interiore che si rispecchia nei luoghi e nei diversi stili usati per descriverli, ma che in fondo tutto sgorga dall'individuo.
James Joyce ha rappresentato l'incarnazione di questo metafisico "viaggiatore" interiore: lui non ha mai sfiorato un foglio con la punta della sua beneamata penna, una Bic originale, parrebbe, mentre era a Dublino. Paradossalmente, o non tanto in fondo visto che di paradossi ce ne sono infiniti e non c'è mai limite o eccesso, una volta fuori dalla sua Irlanda ha scritto solo di Dublino. In un'epoca in cui le immagini cartonate e finte che oggi riempiono i nostri portafogli e ci ricordano continuamente che viviamo e che siamo vissuti come ci ha mostrato anche Blade Runner in cui un'androide credeva di essere umano grazie a delle foto finte di seconda mano, insomma in un momento storico in cui le foto non erano molto diffuse, James Joyce descrive continuamente con estrema precisione e vividezza una Dublino che ormai vive solo nei suoi ricordi, una Dublino che diventa specchio della sua vita interiore, mappa delle sue divagazioni, dei suoi pensieri, dei suoi umori.
Qualche nota biografica di Joyce per capire la particolarità del suo rapporto con Dublino: nasce nel 1882, dal 1904 lascia Dublino, vive tra Pola, Trieste e Roma per circa 15 anni, poi si trasferisce a Parigi. In occasione delle guerre mondiali di quegli anni si rifugia a Zurigo dove muore nel 1941. Tutta la sua produzione più importante risale agli anni triestini o parigini. Eppure di queste città Joyce non ci ha lasciato scritto nulla, o quasi: Dublino la prediletta?
Sì Dublino era la vita era il viaggio era Joyce una città non esuberante e gioiosa come i giovani quando fanno la corte oppure moderna e contraddittoria come gli intellettuali che vogliono scopare così come sono spesso le città descritte negli autori ma invece Dublino è una città viva sì ma senza eccessi un po' modesta provinciale una città forse quasi uterina magari dopo la menopausa situazione che lui descrive perfettamente proprio nell'Ulysses in cui si alternano spaccati di vita e meditazioni linguaggi aulici e scurrili divagazioni sull'universo e descrizioni di defecazioni Dublino come contenitore neutro di vita e come parafrasi del viaggio del sentirci tutti noi in viaggio perché sempre impegnati a pensare a altro a rivolgerci a altro incuranti della vita che ci circonda incuranti degli altri viaggiatori che ci accompagnano e anzi desiderosi di ammazzare tutti gli altri e di dedicarci solo al nostro viaggio in perfetta solitudine immersi in una bellezza metafisica un viaggio ben triste perché non può che avere una sola fine e un solo teatro e una città vale l'altra perché poi il viaggio vero è la vita dovunque sia quindi anche Dublino.

>>Per approfondire
Per maggiori approfondimenti su Joyce si consiglia di andare a un sito tra i seguenti:
www.2street.com/joyce/ (in inglese) www.lafrusta.net/rec_joyce.html (in italiano)
Per Joyce triestino si consiglia: www.univ.trieste.it/~nirdange/netjoyce/

 

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