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Ho smesso di scrivere poesie
di Stella Iasiello
Pubblicato su SITO
Anno
2004-
Il foglio letterario
Prezzo €
3-
34pp.
Collana Esperimenti letterari ISBN
Una recensione
diCarlo Santulli
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Votanti:
360 Media
80.25%
Mi rendo conto spesso che ci prendiamo tutti terribilmente sul serio (anche se diciamo, e magari facciamo finta di no): i politici, gli attori o attrici, i medici ed i ricercatori, e naturalmente anche gli scrittori ed i critici letterari (per non parlare dei poeti). Scriviamo delle lunghe lasse di parole in fila, che sarebbero le nostre biografie, piene di buone intenzioni (o di bugie?) ed alla fine agli elogi che ci facciamo da soli crediamo come ad un Vangelo (alle critiche un po' meno, di solito crediamo siano dettate dall'invidia).
Sembra strano che una ragazza come Stella Iasiello ti mandi in redazione la sua "prima ed ultima plaquette di poesie" (lo scrive lei stessa nella letterina di presentazione) con un titolo che calca pericolosamente sull'"ultima". Da persona leggermente assuefatta alle plaquettes, alla loro natura ossuta e rarefatta ed alla loro carta spesso intonsa, sono un pochino turbato: soppeso il libretto con un po' di diffidenza. Prima e ultima: e perché?
Poi apro il libro e ne saltano fuori nomi, molti conosciuti, e cose, tante più cose di quante la plaquette non sembra contenere, ma specialmente ne esce fuori un grande sogno di libertà. Ed una grande fede, una di quelle fedi un po' in tutto ed in niente, ma principalmente nella vita, che non possiamo che amare, anche quando ci porta alla disperazione o financo all'angoscia.
E riflettendoci, arrivo alla conclusione che veramente non si può veramente smettere di scrivere poesie (anche se si può tentare di farlo), perché la poesia passa da tutte le parti, come il flusso di un'alluvione (capisco però che il poeta medio possa non essere felice di venir paragonato ad un fiume che straripa). E poi, diciamolo a chiare lettere per una volta, la poesia è un vizio, inoffensivo, come parlare da solo nella strada affollata, ma qualcosa che ci attira un'attenzione non sempre benevola. Qualcuno mi ha detto che, se si vuole veramente pubblicare con quelli che contano, è meglio tacere di aver scritto poesie, insomma è preferibile semplificare: "Così come quelli che temono di esser presi per stupidi/Affrontano le cose per approssimazione". E ancora una volta il poeta si ritrova un po' obliquo e fuori posto, come una sparuta parola in corsivo in una lettera fitta di caratteri diritti come fusi.
Così, con questa piccola provocazione, la palla ripassa al lettore, ma anche lui/lei a volte, specie di fronte al dolce inganno della poesia e delle parole infilate in righe asimmetriche e forse un po' sghembe, non è meno distratto del vampiro: "butti un occhio di qua/ di tanto in tanto, giusto per vedere se ci sono", né meno terragno e centrato su di sé del solito uomo, incapace di ammettere che "si annega nelle proprie lacrime/checché se ne dica".
Se la mente è una falena, ricca di ironia e di fresca intelligenza, e la fortuna, più che cieca, è un po' svanita anche lei, come potrebbe la poesia non scegliere un attimo di congedo, per i motivi più diversi, in apparenza strampalati, in realtà soltanto perché vivere è, per ora, più importante. E la poesia, che è donna anche lei, lo sa bene, e si tira un passo indietro, per ora. Ma ho come l'impressione che di Stella Iasiello sentiremo ancora parlare, e non solo nei blog della Rete, perché scrive senza filtri, come pochi hanno il coraggio di fare, specie da giovani.
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