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I buoni ed i cattivi frutti
di Francesca Ricci
Pubblicato su PB16
Anno
2003-
Editrice Clinamen
Prezzo €
13-
94pp.
Collana Ogmios ISBN
Una recensione
diCarlo Santulli
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Francesca Ricci viene dal mondo del teatro e dell’arte, come si nota nell’attenzione all’atmosfera e non soltanto al linguaggio che porta in questa sua prima raccolta di racconti. Certo, le atmosfere possono essere diverse, da quella più nostalgica, mitteleuropea e belle époque del racconto lungo che dà anche il titolo alla raccolta, alla prosciugata teatralità di ispirazione dostojevskiana de “I due Principi” (“Mentre così parlava, teneva gli occhi fissi sul tavolo sulla tazza che di continuo manipolava meccanicamente; non aveva ancora osato incontrare lo sguardo dell’interlocutore il quale, diversamente, seguiva ogni suo movimento con disinvoltura”), fino al crepuscolarismo leggermente surreale di “Serena, una notte di Natale”, che mi ha ricordato, anche per la raccolta spiritualità, certe pagine di romanzi di inizio XX secolo, con una soffusa enfasi, che non invade mai però eccessivamente il campo visivo e la sincera oggettività del mondo che l’autore vuole esprimere. A proposito di Serena, una notte di Natale, uno dei pezzi più riusciti a mio parere, mi viene in mente un’autrice ora abbastanza dimenticata, Annie Vivanti, che pur conservando la propria autonomia di giudizio nei confronti dei fatti, aveva l’abilità di suscitare una leggera, ma appropriata (direi quasi: proporzionata) commozione (“Entrò con passo meccanico e leggero, per non disturbare quella quiete, si avvicinò al letto deponendo i fiori in grembo ad Angela, senza dir nulla. I suoi occhi si velarono”). Queste diverse suggestioni letterarie creano una raccolta piena di spiritualità, mai gridata o eccessiva, ed un libro consapevole del grande passato letterario, ma non attardato, né ripiegato a contemplare quello che non è più. Le figure di donne sono molto riuscite, dalla mamma ne “In cerca di Piero”, che esprime coi gesti che compie più che con le parole che pronuncia, tutta la distanza da un figlio che capisce solo in parte, ma la capacità di creare ritratti non manca all’autrice, anche con qualche indugio che può far leggermente perdere il ritmo, ma viene compensato dalla pregnanza di alcune descrizioni, come in “ (“Arrivato sulla bocca del vulcano, la gola nera assopita, il vecchio asceta, come ridestatosi, con furore pianta al centro del cratere il legno che miracolosamente si allunga all’infinito, sino a toccare il cuore della montagna e rimestarne il sangue”) (“I buoni e i cattivi frutti”). Personalmente, il racconto che ho trovato più riuscito è il primo della raccolta, “Con le gambe corte”, dove tra ironie e leggere perfidie parentali, si racconta di un sottile disagio interiore, ma con una buona dose d’ironia e di distante, ma concreta, partecipazione (“Amici, non n’ebbi mai. Ci provai, ma inesorabilmente quei volti riverenti si mutavano alle mie spalle nei fantasmi pettegoli delle sorelle di mio padre e capivo così che il loro non era rispetto, ma ironica pietà”). Nel complesso, una raccolta che si legge d’un fiato, ma che fa piacere rileggere in più di qualche tratto, perché scritta con paziente e raffinata cura dei particolari e disegno pittorico dei personaggi.
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