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Vanni ed Alessandra, due vite distanti. Due esistenze che si snodano in una quotidianità soltanto a tratti comune, in città lontane ed attraverso storie assolutamente estranee. Eppure in entrambe c’è una falla, un fessura da cui entra acqua. Un’acqua che silenziosamente penetra ed invade profondità remote. Acqua nera e densa, intrisa di solitudine. Ed è proprio su questo terreno, quello della solitudine, che avviene l’incontro. Vanni ed Alessandra diventano due nomi nella rete, due nick in una chat che casualmente stabiliscono un contatto. Prima in forma lieve, attraverso messaggi garbati ed ironici, e poi con approcci più intimistici. Il rapporto tra i due diviene sempre più serrato, quasi ossessivo, e il sentimento che li lega assume le sembianze dell’amore. Un amore immaginario ed assolutamente interiore, che non valica i confini della mente e che si consuma senza trovare realizzazione.
Ma l’amore, in questo caso, è soltanto un sottofondo. Un filtro attraverso cui scorrono reciproche confessioni. L’uno svela all’altra i propri desideri, le proprie fragilità, i propri pensieri. E nell’aprirsi, nel deporre ogni resistenza si dibatte nella nebbia che lo separa dalla propria interlocutrice. “Sono fatto di pensieri, sogni, ideali e speranze, come tutti, anche se per te non sono altro che un fantasma dietro ad una tastiera” scrive Vanni in uno dei suoi messaggi.
Le parole tracciano un sentiero che conduce nel chiuso della solitudine umana. La porta della casualità offre a due perfetti sconosciuti la possibilità di esplorare se stessi, quasi osservandosi allo specchio, ma il rapporto che ne scaturisce è destinato a restare imprigionato nelle maglie della rete.
Questo ed altro nel romanzo di Annamaria Trevale, “A quattro mani” (AndreaOppure editore, Roma, 2003, euro 7,75). Un libro che ripropone un genere di antica memoria, quello epistolare, ed esplora la varietà dei rapporti umani attraverso il mondo virtuale di internet. Un’idea interessante che offre numerosi spunti di riflessione, anche se per certi versi non sembra realizzarsi pienamente. Il dialogare tra i due protagonisti, infatti, conosce momenti di stasi rasentando a volte la banalità. C’è però un guizzo che percorre il libro, un interrogativo che solletica il lettore: quale bisogno, quale desiderio è alla base dell’umana ricerca di reciprocità? Quale spasimo guida un uomo qualsiasi a confrontarsi con se stesso ed a viaggiare fra le proprie emozioni attraverso uno schermo luminoso ed una tastiera?
Ed è questo il merito maggiore della scrittrice milanese, la ricerca delle ragioni che resta aperta. “Perché ti scrivo?” si chiede ad un certo punto uno dei due. Già… perché?
Recensione di
Angelo Angellotti
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