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Martiri per l'Irlanda - Bobby Sands e gli scioperi della fame
di Munuele Ruzzu
Pubblicato su PB15


Anno 2004- Fratelli Frilli
235pp.

ISBN

Una recensione di Salvo Ferlazzo
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Rivisto a distanza di tanti anni, il combattente Bobby Sands, raffigurato su una parete esterna della Falls Road, sembra raccogliere il testimone che altri prima di lui hanno tenuto, nella loro corsa verso la libertà del loro paese, del loro popolo. Ghandi, Mandela.

La storia che porta fino a lui, e poi fino alla dichiarazione di cessazione di ogni forma di ostilità nei confronti delle truppe inglesi di stanza sul territorio irlandese, si snoda attraverso un percorso fatto di atti eroici contro l’isolamento, le torture; contro il famigerato Blocco H, a Long Kesh.

Quel carcere, nonostante la sua chiusura sia avvenuta nel ’98 a seguito degli “ Accordi del Venerdì Santo”, rappresenta una cicatrice ancora aperta nell’immaginario collettivo del popolo irlandese, e una sconfitta della superiorità inglese.

E’ facile cedere alla retorica dell’eroismo, come momento di elevatezza dei principi, per mettere in moto un movimento di opinione che dia la cifra dell’insensatezza, dell’immoralità di ogni forma di occupazione, bellica e non, di ogni guerra.

Ma questo, è il risultato finale.

E’ necessario scoprire nelle nebbia dei discorsi di ieri, e di oggi, la filigrana di un periodo storico durante il quale l’uomo e il potere si sono trovati di fronte, in un massimo scontro.

Perché proprio di questo si tratta: la lotta contro un potere che, Passerin d’Entréves nel suo saggio ” la dottrina dello Stato” definì come “ una forza qualificata” e quindi ”istituzionalizzata”.

Gli attori di questa tradizionale rappresentazione, sono patrimonio indistruttibile della storia, e non solo perché noi l’abbiamo percepita come una storia che ha lasciato una qualche eredità; ma perchè gli avvenimenti storici sono stati, e sono oggi, parte della trama della nostra vita, perché in qualche misura l’hanno plasmata.

Ruzzu consegna al lettore la condizione dei prigionieri irlandesi; è il momento della memoria, libera da pericolose suggestioni, una sorta di recherche che ci rende familiari i personaggi, reali, concreti, avvolti nelle loro coperte sudice, fra le mura imbrattate di escrementi umani.

E’ la violenza, la reificazione dell’essere umano, riavviato sul cammino dell’affrancamento dall’ordine del tempo, dalla morte.

La rievocazione letteraria di Ruzzu, non può non farci pensare ai martiri cristiani che adottarono il digiuno, come una forma di protesta pacifica per l’affermazione di un credo, di una liturgia che ancora oggi trova diritto di cittadinanza presso gran parte della popolazione mondiale.

Il digiuno diventa così strumento di catarsi personale, di elevazione spirituale, tanto che nella coscienza collettiva, anche chi si fosse macchiato di un qualche crimine, perde quella connotazione negativa, per acquistare quella di martire. Che si tratti del trascod o del cealachan, il digiuno viene vissuto come pratica, metodo, sistema contro la violenza indiscriminata, la brutalità delle truppe inglesi.

In questa negazione esistenziale, quasi assoluta, l’uomo trova il suo moto di perpetuazione, una forza di ribellione, che diventa esercizio della distruzione e, allo stesso tempo, proclamazione del suo stato di sopravvivenza, come una sovrastruttura della rivendicazione dello status giuridico di individuo.

Ruzzu finisce, così, per “grattare” là dove la catena lascia il segno.

Allora, di quel periodo bisogna farne alimento, discorso articolato, per grattare il prurito sotto la pelle della storia, affinché questa diventi creatrice di valori, sbloccando la parzialità negativa della rivolta, definendola, invece, una operazione metodologico-costruttiva che va al di là della misura limitativa della stessa rivolta.


Una recensione di Salvo Ferlazzo



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