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Il protagonista di questo libro d'esordio di Domenico Pirolo, neurologo barese, è un neurologo che si trasferisce da Bari a Bologna, perché ha vinto un concorso all'università (mi fa piacere pensare che c'è ancora qualcuno che vince concorsi universitari: pensavo non ne facessero più da anni).
Da questa premessa capite che c'è sicuramente un dato autobiografico, e immagino che l'autore avrà dovuto confrontarsi con amici e parenti esclamanti "Ma quello sei tu!", "Ti ho riconosciuto, ma sei meglio (o peggio) nel romanzo" e frasi simili, che personalmente mi rendono nervoso (ma magari l'autore è più paziente e filosofo di me). A scanso di equivoci, Pirolo ha premesso un breve, ma agguerrito, testo al suo racconto, onde ribadire con forza le ragioni della fantasia sulla vita.
Trovo che quanto l'autore dice nella premessa sia piuttosto realistico: quando si scrive, c'è un po' della nostra vita, un po' lo si inventa e un po' lo si, ehm, rubacchia qua e là tra le vite degli altri e qualcosa che chissà quando e come abbiamo letto o sentito. Si frulla il tutto, ed esce un romanzo.
Nel caso specifico de "Le porte chiuse" di Domenico Pirolo, la storia, pur tra alti e bassi, giunge alla fine senza problemi, mantenendo desto l'interesse. E' una storia che non è nuova (ma cosa è nuovo, in fondo?), ma ci sono alcuni dettagli intriganti: prima di tutto, il neurologo che va a Bologna lascia una famiglia che ama, pur se il rapporto con sua moglie si è usurato, anche in conseguenza della morte di un amico molto caro.
E' un dato incontrovertibile degli ultimi anni, che ritrovo nelle vicende di alcuni conoscenti: il matrimonio che finisce per usura (o almeno così viene presentato). Si lascia per restare soli: Roberto conosce Enrica casualmente in un autogrill, ma si dubita fin dall'inizio che possa nascere una storia. Ecco, la caratteristica più interessante forse del libro di Pirolo è quest'incertezza, non tanto e non soltanto dei sentimenti, quanto della direzione che si vuole far prendere alla propria vita: il mondo si è fatto complesso, e si vorrebbe semplicità, ma non ci è dato trovarla, perché semplificare significa spesso consumare un tradimento più profondo, quello di noi stesso.
Non che la semplicità non la si incontri per strada: le due anime tormentate che sono Roberto ed Enrica si fermano in un agriturismo delle Marche, molto più a lungo di quanto avevano previsto, e scoprono, a causa della concomitanza di un matrimonio, che effettivamente è possibile un tipo di esistenza molto più naturale e legato alle cose. Evidentemente, però, non sono in grado di farlo loro fino in fondo.
Non sono tematiche nuove, ripeto, ma il pregio di questo libro d'esordio di Domenico Pirolo è quello di non perdersi per strada, né di cercare impossibili colpi di scena, cercando piuttosto di dare rilievo ai personaggi, oltre a Roberto ed Enrica, ci sono le varie persone incontrate nell'agriturismo, tra cui non ultimo Leopoldo, il proprietario, leggermente invadente, come molte persone in fondo troppo semplici, e le varie e caratteristiche individualità scoperte nel matrimonio, casualmente inseritosi, ma in fondo centrale al racconto. Un esordio promettente, nel complesso, in cui anche il trattamento dei dialoghi si rivela quasi sempre sufficiente a sorreggere il peso della narrazione.
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