Non è vero (e lo dico “dall'interno”) che siano pochi gli ingegneri che scrivono: a parte esempi illustri, come Carlo Emilio Gadda, che era ingegnere industriale, ed ebbe esperienza come elettrotecnico e chimico, e Roberto Vacca, che è ingegnere elettrotecnico, ma ha fatto esperienza in una serie di campi disparati, sia professionalmente che letterariamente (andate a dare un'occhiata su www.robertovacca.com e vi renderete facilmente conto), ce ne sono altri, magari meno noti ma non meno illustri: Vito Pallavicini, paroliere vigevanese di molte canzoni di successo degli anni '60 e '70 ed oltre, era ingegnere chimico, e sicuramente qualche canzone su testo di Pallavicini l'avete ascoltata (ce ne sono miriadi di tutti i generi, da “Azzurro” a “Metti la canottiera”...).
Questo credo che illustri una caratteristica fondamentale degli ingegneri che si lanciano nella creazione (ed il termine “lanciarsi” credo sia appropriato per Flaviano Di Franza, che dalla provincia torinese e da una laurea al Politecnico si è spostato in mezzo mondo, con preferenza per Africa, Estremo Oriente ed America Latina) che è l'ecletticità. Il primo libro di Di Franza merita anche soltanto per il titolo umoristico e che ne illustra efficacemente il contenuto “Il modo migliore di rovinarsi la vita (danneggiandola agli altri). Essere ingegnere... giramondo”. Ora, è evidente che ci sia un sottofondo ironico ad un titolo del genere, perché nessuno, almeno volontariamente, desidera rovinarsi la vita (prendersi una laurea in ingegneria all'uopo mi sembra un po' esagerato, ed anche abbastanza costoso...), però è indicativo di come la cosa sia vissuta in Italia. Io non ho girato il mondo, mi sono limitato all'Europa e poco più, però capisco il punto di vista dell'autore, che si introduce ad usi, ritmi e costumi diversi e certamente getta nello sconforto (con tipica mentalità italiana...) amici e parenti, col suo continuo fuggire (per lavoro, d'accordo, ma in realtà per quella propensione al rischio che gli molti uomini, e perché no, donne, hanno, ma che spesso rimane inconfessabile, specie in questo nostro paese ad alto potenziale di retromarcia).
E' così significativo che Di Franza si metta in gioco così apertamente, dalla difficoltà a cucinare qualcosa a quella di usare la lavatrice a quella di mantenere un rapporto sentimentale relativamente stabile con una vita di tanto elevata volatilità e che cerchi, pur con una prosa alle volte immatura, ma che si raccomanda per simpatia ed autoironia, di descrivere le infinite mutazioni cui va incontro chi gira il mondo. Perché naturalmente anche l'autore pensa di tornare un giorno (forse) in Italia, ma non si nasconde i rischi del ritorno, perché il mondo avanza ed anche, bene o male, il luogo dal quale siamo partiti e la gente che conosciamo ha preso la sua strada e quindi potremmo non ritrovare il punto di partenza (non che sia importante, ma spesso ci si illude che esista, come se fosse una specie di “go!” del Monopoli: in realtà di solito non c'è più, e, se pensiamo di prendere i 200 dollari al passaggio, ugualmente resteremo con ogni probabilità delusi...perché chi rientra raramente è accolto da applausi e lanci di fiori: rientrare, specie in Italia, è visto spesso come un atto dovuto, non una scelta come quella di partire).
Per sopravvivere a queste continue pressioni ed alle infinite domande e considerazioni oziose cui è fatto oggetto chi cerca di fare una scelta, in questo paese, la strada scelta dall'autore, che è certamente molto legata al suo carattere (è uno di quei rari libri, pur con tutta la sua natura “sperimentale”, in cui l'indole dell'autore esce fuori senza camuffamenti), è quella di un'esposizione estremamente diretta, benché ironica ed anche elegante, che non sconfina mai nell'invettiva gratuita. Credo, in tutta onestà, che la via scelta sia giusta: il libro si fa leggere con piacere, qualità abbastanza rara per un esordiente, ed invita anche ad una riflessione; nel momento in cui la difesa del lavoro è in realtà conservazione di quell'impiego in quella posizione in quella ditta e specialmente in quel luogo, Di Franza ci mostra che forse le cose possono anche andare diversamente, dandoci una visione più moderna e dinamica cui, occorre dirlo, la nostra società non è abituata né come mentalità né, temo, strutturalmente. E con l'arma dell'ironia, ci consente di discutere come fare le cose in modo diverso, e credo che ne abbiamo veramente bisogno, specialmente in Italia.