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Forse uno dei generi in fondo più difficili è l'autobiografia: un po' perché si tende inevitabilmente ad assolvere più che a condannare se stessi, e anche perché comunque può essere difficile conseguire un efficace distacco storico. Specialmente se le cose, come accade purtroppo nella vita, non sono andate totalmente lisce: allora c'è un sottofondo che si può definire forse di rivalsa personale, che può annebbiare un po' la vista e la penna dello scrittore. C'è poi l'aspetto, non ininfluente, che bisogna contestualizzare la nostra storia, per raggiungere l'interesse di un pubblico più vasto rispetto al gruppetto di coloro che già la conoscono, per consuetudine di vita, se non di affetti, con noi.
Mi sembra che Nicola Cafiero, esordendo alla letteratura, anche se non alla scrittura in senso stretto, essendo nella vita un affermato traduttore, con “Buchi neri”, si districhi nel complesso bene tra le difficoltà summenzionate. Il libro si fa leggere con piacere e dalla lettura risulta anche la soddisfazione di scoprire un sofferto, ma sincero ottimismo di fondo: non perché l'autore neghi alcunché degli errori del suo passato né dei problemi della sua famiglia, ma perché si ha la sensazione che, pur con tutte le manchevolezze che tutti gli uomini hanno, egli abbia lottato (anche se sostiene di essere andato a fondo, sue testuali parole, più di una volta). Se abbia vinto, non sta al lettore giudicarlo, e non è in fondo il cuore del problema: a volte sfortunatamente le circostanze decidono per noi, il che non ci esime dal dover tentare con tutte le nostre forze. Quel che mi sento di dire è che nel resoconto di vita personale, che costituisce il fulcro di “Buchi neri”, manca ogni traccia di autocompiacimento nelle difficoltà. Cafiero rimane coerentemente affezionato all'idea, antica ma sempre attuale, dell'”homo faber fortunae suae” e questo costituisce, a mio avviso, il maggior motivo di fascino della sua esposizione.
Lo stile è educato, spesso elegante, e rivela padronanza di scrittura, come se la storia fosse stata già mentalmente narrata mille e mille volte, prima di trovare la sua forma concreta nella pagina. Nella scrittura del romanzo, la vicenda personale allarga i propri orizzonti: episodi come quello dell'ospitalità offerta alla famiglia reale ed al generale Badoglio dopo l'otto settembre appartengono alla grande storia, benché dolorosa, del nostro paese. Il panorama è vario e sempre mosso: c'è Napoli anteguerra e nei primi anni di guerra, c'è l'Abruzzo, la Roma degli anni Cinquanta-Sessanta e quella di oggi, ci sono Parigi e Londra, e varie avventure correlate, c'è Ginevra, dove Nicola consegue il diploma di traduttore, e c'è la tenuta agricola di famiglia nelle campagne pugliesi; non si può dire ci si annoi, ed il ritmo è sostenuto, ma anche arricchito da considerazioni più profonde, per buona parte del romanzo.
E naturalmente ci sono i personaggi, tanti, dalla madre Teresa, col suo difficile rapporto matrimoniale, che è forse il carattere più vivido espresso dal romanzo, e su cui l'amore, ma anche le incomprensioni, del figlio si ripercuotono con più forza, al padre, dal carattere più debole, al di là di un'apparente sicurezza, fino ai fratelli Luigi, Giovanni, Franco e Beatrice: sui primi due, in particolare, l'autore si sofferma a lungo, cercando di giustificare le manchevolezze, specie affettive e di amministratore, del primo, e di situare correttamente la malattia mentale del secondo (cosa sia veramente una malattia mentale, temo forse non lo sappia nessuno, tanto meno credo nessuno sappia se veramente esista la malattia mentale: l'unica cosa certa è la sofferenza ed il pericolo che da essa può derivare). Poi, Nicola si sposa e quindi c'è anche la figura della moglie Antonietta: ne seguono amore e difficoltà, come nella maggior parte dei matrimoni che funzionano.
Ecco qui: quel che personalmente ho apprezzato di più è la capacità del protagonista autobiografico di costruire sui propri errori ed in fondo di non darsi mai per vinto (anche se tante volte sembra alle corde), il che mi fa tornare all'idea dell'ottimismo infusa da questo romanzo: la famiglia, e non è una novità, può essere una fonte di dispiaceri, assai più che di soddisfazioni, però quel che rimane da questo “Buchi neri”, ed in fondo permette di consigliarlo per una lettura meditata, è la sensazione che una via d'uscita dallo scontro dei nostri rispettivi caratteri ci sia e, se non sembra immediatamente evidente, vada cercata con forza e perseveranza. E questo, se mi consentite, in un momento storico in cui non si fa altro che lamentarsi del lavoro precario e della mancata assistenza ai giovani (e aggiungerei, specialmente ai meno giovani), vuol dire solo una cosa: che nulla è impossibile a chi lotta fino in fondo. Un insegnamento modesto, forse, ma che può aiutare qualcuno dei lettori, ed è un piccolo scopo raggiunto per un romanziere esordiente.
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