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Il breve romanzo narra le vicende sentimentali di un gruppo di amiche bolognesi trentenni. La protagonista, una supplente di una scuola superiore, si confronta con le sue coetanee che, a differenza di lei, sono fidanzate e, in questi interminabili dialoghi fra donne, il soggetto unico è sempre e solo l’Uomo. La vicenda, in fondo, è tutta qui, non esiste un reale sviluppo narrativo, i personaggi rimangono sempre un po’ sfocati e stereotipati nei loro tipi umani, intrappolati in un banale ruolo che altri scrittori hanno saputo sviluppare meglio e che in “Piccoli doni” resta privo di spessore e non suscita interesse. Si assiste senza partecipazione al crearsi e disfarsi di coppie caratterizzate da piccole nevrosi molto comuni e che vorrebbero divertire il lettore senza riuscirci, alla solita sofferenza della protagonista per un rapporto troncato da anni e che, tanto per cambiare, viene riallacciato proprio nelle ultime pagine, all’ennesimo tentativo delle amiche di combinare incontri che dovrebbero risultare decisivi per la realizzazione sentimentale altrui. L’unica vera preoccupazione dei personaggi femminili è accaparrarsi un fidanzato, in fondo non importa chi, perché l’orologio biologico è impazzito e sembra che tutto l’universo debba ruotare attorno a quell’unico centro tanto agognato. La figura che risulta forse più simpatica è quella del gatto Mattia, un micio che rivendica il diritto ai propri spazi con metodi talvolta aggressivi. La trama, sebbene molto comune, non è propriamente sgradevole, è solo incolore e priva di sorprese, la sensazione globale è quella del già sentito, e non solo in altri romanzi, ma in qualunque talk show o lettera di rivista femminile; l’autrice infatti si è avventurata in tematiche ampiamente sfruttate senza apportare elementi innovativi che avrebbero potuto decretare la differenza fra quella che pare la bozza per una soap opera ed un vero libro. Pur utilizzando uno stile molto convenzionale e privo di mordente, il romanzo non è scritto male, la sintassi è corretta e c’è qualche timido tentativo di adeguare il ritmo alle varie situazioni, ma non esiste mai sperimentazione né tantomeno efficace padronanza della tecnica narrativa. Ritengo che un’approfondita lettura dei classici e della migliore produzione contemporanea potrebbe rivelarsi utile ad affrontare con maggiore consapevolezza la stesura della prossima opera che, in tal modo, si troverebbe sicuramente su un livello superiore.
Recensione di
Angelo Angellotti
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