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FAME La trilogia cannibale
di G.Lupi e altri
Pubblicato su PB11
RACCOLTA DI RACCONTI Il foglio (?) 2001
Prezzo €
6 -
80 pp.
Collana Horror ISBN
8890051663 Una recensione
di
Angelo Angellotti
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162 Media
78.15 %
Un libro del genere si può leggere in due modi : dall’inizio alla fine con una scrollata di spalle e non pensiamoci più che son tutte stupidaggini. Oppure, giunti all’ultima pagina, chiuderlo e pensarci su : la risata non esce, qualcosa rimescola dentro la testa le carte di un gioco imparato tanto tempo fa e dimenticato e all’improvviso scopriamo che con un po’ di buona volontà sapremmo ancora applicarne le regole. Ma lo vogliamo? Tutto in noi dice no, in un misto di orrore e timore sacro. E allora, quando un libro provoca una reazione di questo tipo, vuol dire che non è stato stampato invano, che non è una serie di racconti da abbordare e mollare subito al loro destino, che tra le mani ci è rimasta la moneta di un tesoro che non immaginavamo di trovare e in cui possiamo riflettere noi stessi come in uno specchio deformante, dove le labbra risaltano in primo piano e, se solo le socchiudiamo un tantino, i denti brillano allarmanti. Di quale tesoro stiamo parlando? Certo non lo capiremo, se descriviamo il libro chiedendoci semplicemente se riusciranno i due amici a ritrovare Vanni o saranno anche loro inghiottiti dal mistero inquietante di una scomparsa ; se infrangere un tabù per necessità comporterà la condanna della reiterazione ; se esistono le streghe o sono l’invenzione di fantasie sfrenate che travisano la realtà. Se invece chiudiamo gli occhi e ci guardiamo dentro, vedremo risplendere il lago oscuro della memoria arcaica, a cui attingere con un tremito suoni e voci che non sapevamo di avere in noi, ben custoditi in quella parte antichissima del nostro cervello, fossilizzata come un animale che pareva estinto e scopriamo essere soltanto in letargo. Se non avremo paura di sapere ciò che siamo, ci troveremo a tu per tu con sensazioni lontanissime, rimosse generazione dopo generazione, plasmate al nostro nuovo vivere, mai dimenticate del tutto. E potremo dire tranquillamente che FAME ( la trilogia cannibale) consta di tre racconti, che è troppo facile liquidare come letteratura horror. Perché troppo facile? Perché ogni volta che c’imbattiamo in un cannibale proviamo un moto di fastidio, che non ci regalano né fantasmi né serial killer, come ben dice nell’introduzione Eraldo Baldini. Il cannibalismo è un mostro ancestrale che sonnecchia in noi, di cui non vogliamo ammettere l’esistenza. Eppure lo riconosciamo, quando affermiamo :”Sei così bello che ti mangerei.” Da piccolo, una frase del genere mi allontanava di qualche passo da chi l’aveva pronunciata, tra le risate generali e non c’era verso di convincermi che quella persona stava scherzando. Io sapevo che non era così, perché i bambini sono appena giunti da quel territorio primitivo che è l’origine dell’umanità e nelle loro vene circola un sapere antico che via via si perde, fino a diventare sconosciuto, estraneo. D’altra parte, quanto volentieri streghe e orchi mangino la carne tenera dei bimbi, lo raccontiamo proprio noi, gli adulti, per intrattenere o fare addormentare i nostri cuccioli. Perché “…rendendo l’indicibile dicibile, lo poniamo in una apotropaica relazione con noi stessi. O perlomeno possiamo illuderci che sia così.”(J. C. Oates) Frazer dice :”La legge vieta agli uomini solo ciò cui sarebbero indotti dai loro istinti…” Ed è da tali istinti che cerchiamo di prendere le distanze, negandoli spudoratamente, irridendoli con sghignazzate poco convincenti, mentre Freud continua ad ammonire che “il tabù è un antichissimo divieto…diretto contro le brame più violente degli uomini. Il desiderio di violarlo persiste nel loro inconscio.” Infatti “non c’è bisogno di proibire ciò che nessuno desidera fare.” Su di un qualunque dizionario è scritto che cannibalizzare significa “sostituire uno o più pezzi di una macchina o di un congegno con i pezzi corrispondenti tolti ad altra macchina o ad altro congegno in mancanza di pezzi di ricambio originali.” Un po’ pesante da pensare, vero? E’ inaccettabile il paragone che viene spontaneo con i trapianti? O ci disturba, infastidisce le nostre coscienze ormai avvezze a bende narcotiche di comodo, chiamate altruismo, atto d’amore e chi più ne ha più ne metta?
Non possiamo tacitare il nostro inconscio e allora gli giriamo intorno, sublimando i nostri desideri repressi, ad esempio “in forma di Comunione, nella quale la schiera dei fratelli consuma la carne e il sangue del Figlio…” Così, quando tra canti e incensi apriamo la bocca per accogliervi l’ostia consacrata, non sentiamoci superiori al cannibale di Luigi Boccia o a quello di Gordiano Lupi e ancora meno a Irina, la strega di Nicola Lombardi. Proviamo a ricordarci che quell’ostia è il corpo di Cristo e gronda sangue. O forse no, è meglio di no.
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