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Poesie Fiabesche
di Graziella Poluzzi
Pubblicato su PB19
Anno
2006-
Joker Editore
Prezzo €
8-
48pp.
Collana I Lapislazzuli ISBN
9788875360634
Una recensione
di
Alessandro Canzian
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“Alle ceneri disperse del femminismo vorrei dedicare una lapide, con questa semplice raccolta poetica, in ricordo di una rivoluzione incruenta che ha inciso nel profondo la nostra società”. Così introduce Graziella Poluzzi la silloge poetica “Poesie fiabesche”, sottotitolata “con Principi improbabili e Cenerentole rivisitate” di cui è la pregevole autrice (Joker edizioni, gennaio 2006). Una raccolta che oltre al manifesto di prefazione potrebbe benissimo essere rappresentata da un estratto dal decalogo in epilogo: “Vietato lavare i piatti l'otto marzo. È il giorno adatto per fracassarli tutti”. Un'opera semplice e leggera scritta da una donna che riflette nei versi tutta la semplicità e la leggerezza della donna come genere. Una semplicità complessa e una leggerezza densissima che non gravano sull'uomo (nel caso il lettore) solo per la delicatezza propria dell'essere femminile (ovviamente non si sta qui intendendo un assoluto ma solo un carattere tendenzialmente comune). Un'ironia nemmeno troppo sottointesa frutto di una sorta di lavoro forzato, di destino inevitabile, dell'essere casalinga come tappa obbligata della vita. Un'ironia che passa al sarcasmo nel rapporto con l'uomo, il maschio padrone e da servire nonostante le sue ridicolaggini e brutture. Un rapporto che riflette sull'uomo stesso quelle critiche che la donna si sente muovere, e che ella stessa si muove a causa di un contesto culturale ancora troppo monodirezionale. “Lui che era un principe / e si credeva un Dio, / si riteneva afflitto / da eterna giovinezza”. “L'importante è / non essere mai / troppo curiose”. “Le sorse un dubbio. / Che genere di principe / le era capitato? // Si vide sotto al vischio / nel salone illuminato; / erano soli; lui le sfilava le scarpe, / a piedi nudi, champagne in bella vista: / insieme in un brindisi incrociato. // Che fosse un principe / del tipo feticista?”. “a loro sarebbe dispiaciuto molto / se lei se ne fosse andata, / ma era libera di decidere, / non volevano imporle nulla, // poteva anche tornare / dalla matrigna malvagia / se così credeva”. Versi agri in fondo, femminili fino alla loro essenza, leggeri solo per chi non li vuol capire. Delusioni che traggono il loro sfondo dalle fiabe (Biancaneve e Cenerentola la fanno un poco da padrone) solo in quanto nelle fiabe la donna è idealizzata, sempre libera e felice nonostante lo status quo di sottomessa all'uomo (il principe improbabile o gli gnomi aziendalizzati). Una libertà e felicità che non hanno riscontro nella realtà e che in un solo caso diventano citazione tragica e dolorosa della problematica esistenza femminile: “L'ultimo sorriso lo riservò / al suo assassino / che pretese l'amore / e poi la massacrò a calci e pugni / la fece a pezzi a colpi di macete”. Un unico caso che rende questa silloge ancor più importante e significativa quanto più leggera e delicata sa essere, in tutto il resto, la poesia della sua autrice.
Una recensione di Alessandro Canzian
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