Un titolo come “Lucide ossessioni” può sembrare un ossimoro, ma denota un aspetto essenziale di questa raccolta di tre racconti, che sono, in ordine di apparizione, “Pericolo delle altezze” di Valeria Francese, “Pandora” di Claudia Barbarano e “Follia d’ardesia” di Roberta De Tomi, cioè la capacità di passare con rapidità e sicurezza da una confortevole, ma mai rilassata, scrittura di genere, a degli esiti sperimentali di ricerca creativa.
I delitti che sono accaduti o accadranno sono filtrati attraverso le donne che ne sono protagoniste o spettatrici, anche se le due figure possono confondersi, ed in pratica lo fanno, nel corso della narrazione. La follia è un elemento comune, perché il delitto è in certo senso folle ed inspiegabile.
In “Pericolo delle altezze” si rivela come il male non riesce ad agire, quando siamo al pieno della nostra coscienza, come subisse il nostro fascino. E’il racconto di un’attesa: una Madre che ha perso il proprio Figlio perché ucciso collettivamente, ma non metaforicamente, ma non cerca e non attua la vendetta perché le basta la sensazione di quella profondità del nero che rappresenta l’immensa banalità, od idiozia del male. “È l’arte dei pazienti. Quelli che per vivere non hanno bisogno di anticipare, soltanto si limitano a essere pronti”. Come nell’attesa di qualcosa che potrebbe non accadere mai, o forse essere già accaduto senza che ce ne accorgiamo. Se si muore, come il Figlio è morto, questo accade perché abbiamo mollato la presa sul significato della nostra vita, perché abbiamo consentito al controsenso, o all’assenza di un senso, di prenderne possesso. Controsenso che quella Madre accetta di guardare fino in fondo, ma non per sfidarlo: “Certo, non capitava tutti i giorni di incontrare un controsenso, ma più che morirne, non si poteva. Non avevamo molto da dirci, io e il mio controsenso. Diversi per natura. Diversi per cultura. Per forma e per riverbero di luce”. Riconoscere questo, cambia tutto il senso delle cose, e la morte diviene soltanto un rapimento, quindi una scelta d’amore e non di odio: “Era il terzo giorno e le altezze giunsero a prendersi mio figlio. Glielo adagiai nei loro veli. E quelli, presero a volare via con lui. Per ogni madre suo figlio risorge”. Il tutto, fino ad un finale aperto e consapevole, di grande profondità e maturità espressiva.
“Pandora” si sviluppa in un intreccio tra la mitologia, il fai-da-te e la continua (auto)osservazione attraverso la lente deformante dei social network, tra l’estrema complicazione dell’irruzione della tecnologia nella vita di ogni giorno e la solo apparente semplificazione di una gestione dietetica della propria esistenza. Una serie di spunti e di suggestioni, spesso frammentarie e sovrapponibili “Di sesso, di bricolage, di sensi acuiti, di riattivazioni, di sangue stantio e di merendine Pandistelle incesellate come diamanti nelle venture immote della tastiera”. Un inganno onirico costruito tra le varie storie d’amore lesbico vissute dalla protagonista Emma. Dove morti e delitti possono essere accaduti, o anche soltanto immaginati. L’incastro delle storie è molto efficace ed i tecnicismi del linguaggio appropriati a descrivere ogni singola tematica ed ogni vicenda correlata ad essa.
In “Follia d’ardesia” la storia si costruisce attorno a due gemelli, come per una tipica vicenda di agnizione, accomunati da “occhi di ardesia intelligenti e profondi con sfumature di malinconia”. Vi è un padre violento, con tardivi sensi di colpa, che ha scolpito la sua lucida follia nelle vite dei suoi figli, specialmente i due minori, trasformandoli, come capita, uno nel ragazzino invisibile, l’altra in una ragazza fin troppo visibile nella propria ribellione. L’atmosfera della Bassa mantovana e modenese, terra di confine forse inconsapevole di esserlo, ma con tutta l’apparenza ed il fascino del limite oltre il quale si entra in un ignoto solo apparentemente familiare. Qui la giovane donna è alla misteriosa ricerca di un senso: “Io non so chi sono, anche se so quello che vorrei fare”. Capita anche a noi. L’identità rubata di Serena-Sofia, persa in questa storia di violenza familiare, serve anche a Maddalena, la sua “salvatrice”, una specie di giovane e frustrata Bridget Jones, per costruire finalmente la propria identità. In realtà, più che d’identità singola, si tratta un vero e proprio sdoppiamento di personalità, che si costruisce in uno strano mondo, dove “Tutti cercano l’amore, ma quando lo trovano, scappano”. Maddalena riesce a giustificare e cerca di capire con intuito femminile, anche se si addentra lei stessa nel terreno della follia o meglio della schizofrenia.
In certo senso, tutte le protagoniste hanno una loro “pericolosità”, di donne pensanti e di caratteri ben sviluppati e profondi. Ma mi preme chiarire anche le differenze tra i tre sviluppi narrativi dei racconti lunghi di questa raccolta, che mostrano che siamo di fronte a tre personalità di scrittrici molto diverse tra loro, e tutte apprezzabili, che rendono questa lettura varia ed interessante.