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Il confine invisibile
di Alfio Cataldo Di Battista
Pubblicato su SITO


Anno 2005- AndreaOppure Edizioni
Prezzo € 7- 110pp.

ISBN N/A

Una recensione di Salvo Ferlazzo
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Il confine invisibile

E’ ancora possibile distinguere tra l’immediatezza della realtà, confinata entro limiti temporali ben definiti, e la realtà del sogno, la dimensione onirica che ci sostiene con un dialogo sempre turbinoso e mai virgolettato?

Nel libro di Alfio Di Battista, sembra che questo gioco indagatorio, catturi l’attenzione e la curiosità del lettore.

Le prime pagine, anche se descrivono con una certa aggettivazione ridondante l’ambiente, il personaggio principale, cedono il passo, in seguito, a sviluppi dialogici che evocano geografie esistenziali mai uniformi, tenacemente ancorate ai personaggi, lui e lei.

L’assalto alla memoria, nel presupposto che questa potrebbe servire a ritessere la trama di un tempo ormai trascorso, avviene nell’immediatezza di una comunicazione telefonica.

Nell’invisibilità manifesta dell’interlocutore, si materializza la percezione di una situazione che ri-plasma, anche solo per un giorno, la vita di entrambi i protagonisti. Avvenimenti, dettagli, volti:tutto si trova a loro portata, in una serie di azioni ed interazioni che danno luogo a sentimenti di incredulità(so bene che non potrebbe durare) e di fede desiderata(ma d’altronde doveva andare così).

Allora, una sorta di voyeurismo ci assale, e diventiamo partecipi di questa relazione duale, come il Jeffries de “ la finestra sul cortile”. Vogliamo capire, comprendere esattamente quello che accade.

Il visibile acquattato nel cuore dell’invisibile.

La memoria si stacca dalle pareti dell’ufficio, cercando di ricomporre un quadro d’insieme aggraziato, attorno al tavolo di un ristorante.

“Il tempo, come il mare, nel suo lento refluire, deposita lungo le strade…”.

Il tempo diventa il padrone assoluto dei loro destini.

Riconquista la gloria che si deve, con una elaborazione che rispetta una prosodia esistenziale di forte spessore.

Nella ricerca di un equilibrio fondato sulle loro rispettive realtà asincrone, i due protagonisti tentano la costruzione di un progetto della loro esistenza che “sia” o “ non sia”.

E qui, l’autore, si addentra in un campo estremamente infido.

Rapidi flashback, disegnano due soggetti tesi nella ricerca mai conclusa, di una dimensione autentica delle loro personalità.

Ma nel momento stesso in cui avviene questo processo dinamico, ne concretizzano il suo dileguare.

Si scopre così, da un lato, una madre iperprotettiva, che vuole determinare il futuro di quel figlio, cui il destino nega la presenza del padre, sempre impegnato, fuori dalla famiglia.

Dall’altro, una bambina senza genitori, chiusa in un orfanotrofio, cui la vita serberà morte, distruzione, fame, per una guerra che può suscitare orrore, persino attraverso il freddo otturatore di una macchina fotografica.

In questo affresco di situazioni, anche lontane, separate dal diverso concetto stesso di vita, i due personaggi si muovono percorrendo i corridoi di una galleria alle cui pareti restano appesi i quadri logori, forse un po’ sbiaditi, di due esistenze che Di Battista con sapienza certosina, a volte intingendo la penna troppo a lungo, a volte sbaffando qualche tratto, ci offre, perché il lettore possa continuare a mantenere l’ambivalenza dinamica dell’essere e del non-essere.

Il senso dialetticamente decifrabile del suo racconto, in un’alternanza insistente e dispotica tra dualità inconciliabili, ci consegna la stigmatizzazione binaria di due personaggi, raccolti nel proprio”essere” insensato, beccheggiante, stentato, su un fondo amorfo e pietrificato, su cui si innesta la potenza raffigurativa di una natura sempre presente.

Oltre che fisico, il loro è un percorso mentale, che rappresenta la verifica silenziosa e terribile di due esistenze rovesciate all’indietro, verso ciò che si voleva e non è stato, e che continua a permanere come esigenza di possesso e di durata del proprio essere.

Pascal, scriveva già nel Seicento:”ognuno esamini i propri pensieri e li troverà occupati nel passato e nell’avvenire. Non pensiamo quasi mai al presente; e se ci pensiamo, è soltanto per prendere lume a disporre dell’avvenire. Il presente non è mai il nostro scopo; il passato e il presente sono i nostri mezzi; soltanto l’avvenire e il nostro scopo. Per questo non viviamo mai, ma speriamo di vivere; e , disponendoci sempre a essere felici, è inevitabile che non lo diverremo giammai”.

L’ambivalenza psicologica delle loro esistenze, spezzate tra la ricerca della felicità e la paura del vuoto, non favorisce la mediazione di questa duplicità esistenziale, del no e del si, dell’assenza e della presenza, o dell’esilio o del regno.

Lo sviluppo dell’ascesa della coscienza di ”sé ”, rimanda continuamente al filo perduto dei ricordi giovanili, alla gioia del loro primo incontro.

Si parte da un orizzonte di desolazione fornito dai simboli descrittivi della stanza di lui, al principio del racconto. Si attraversa un territorio riscaldato dal calore dei loro dialoghi, lo spazio di un sogno che, neutralizzando ogni reale presente, desta l’ “immaginazione” attraverso una suggestione che da la misura del continuo e della libertà.

Persino la folla “traboccante di molteplici individualità, per lo più mediocri”, costruisce nella sua riduzione creazionistica, il simbolo dell’alterità come esigenza di comunicazione, ma anche come illusione e perdita del riconoscimento, giacché nell’appiattimento amorfo e indistinto dei volti, l’identità è smarrita, e lui e lei, ne portano in luce la tragica interrogazione.

E’ l’antico grido di dolore di Faust, di arrestare “l’attimo fuggitivo”, e pietrificare la vita in una impossibile felicità.

Il ponte, che percorrono a piedi, li proietta verso un lago che il loro paradigma esistenziale, visibile nella sua spazialità, ma tratteggiato internamente, nell’approssimazione del buio, in una suggestione lenta, invisibile, immobile, che evoca, tra il freddo e il desiderio, i segni di una eccitazione sensuale, sempre pronta, ma altrettanto sciolta in un assorbimento totale delle loro vicende.

Di Battista, castiga ferocemente lui e lei. Coinvolti in un ritmo linguistico sempre acceso, brillante, essi riescono a comunicare al lettore la misura di un qualcosa che deve accadere.

L’invito a rinnegare la propria coscienza, è la stasi del loro esilio che, nell’esercizio della “mancanza”, ritenta la soglia del regno, in uno sviluppo introspettivo dialettico che prefigura, tuttavia, il limite parziale della coscienza e del suo contenuto.

La “femme du monde” eccede in una reazione scomposta, che tradisce i suoi sentimenti (“… un rancore ruvido e fulmineo la percorre tutta fino al centro del cervello”).

Lui, “ l’homme retrouveè” è il ritratto del credente progressista, senza suggerimenti,forse; o con troppi suggerimenti inespressi, cresciuti in un’atmosfera piena di simboli.

Di Battista disegna due personaggi solo apparentemente ingabbiati in una stasi totalizzante. Egli lascia immaginare che Lui e Lei attraverso l’uscita alla luce, alle forme semplici e immediate della vita, riconquistino il senso di una pienezza umana, e non più fittizia e artificiale.

Il ritorno a questa dimensione è l’atto simbolico di questa riconquista, lo sforzo di una ricerca, o il tentativo di una resurrezione che resta ancora incompiuta, sospesa, come il pontile, indurito da freddo, che percorrono a piedi, e che costituisce la costruzione tra il reale e il possibile, tra la vita e il sogno.


Una recensione di Salvo Ferlazzo



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