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L' ussaro di Genova
di Giuseppe Pallavicini
Pubblicato su PB16
Anno
2004-
Fratelli Frilli
Prezzo €
9-
220pp.
Collana I tascabili ISBN
Una recensione
diCarlo Santulli
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Votanti:
145 Media
78%
Recentemente il romanzo storico sembra tornato di moda. Dico “sembra”, perché su un genere tanto complesso è sempre lecito avere qualche dubbio. Infatti, non richiede soltanto padronanza del metodo storico descritto, ma anche controllo dei tempi romanzeschi, ed infine la capacità di avvincere il lettore con una trama credibile.
Ne “L’ussaro di Genova” di Giuseppe Pallavicini, è difficile mettere in dubbio che l’epoca storica narrata abbia un suo fascino. Si sa che il nostro Risorgimento è collegato con l’epoca napoleonica in modo molto diretto, nel senso che molti degli ispiratori dei moti del 1820-21, del 1831 ed ancora del 1848-49 erano personaggi che avevano avuto un rilievo durante il periodo della dominazione francese in Italia.
Gabriele Prato, protagonista di questo romanzo, non è che uno dei tanti in un certo senso, e nella sua lunga esistenza dalla fine dei sogni bonapartisti alle vicende risorgimentali delle guerre d’indipendenza si muove con una certa naturalezza e senza salti logici, con coerenza e vitalità. Il protagonista è un personaggio messo bene in rilievo, pur in una struttura romanzesca piuttosto semplice e lineare: esce bene anche la figura dell’amico ed attendente Carlo Burlando, comprimario molto riuscito nella sua fedeltà e devozione. Un particolare rilievo viene poi dato alle vicende sentimentali di Prato, da una relazione in terra sassone che gli darà un figlio, poi riconosciuto, quando le opposizioni della sua famiglia verranno meno, ad un rapporto platonico ed ideale con una giovane vedova francese, a varie avventure e ad un matrimonio in età matura.
Non è una vita facile: il suo passato di ussaro fa sì che venga visto con diffidenza dalle gerarchie del regno sabaudo, diffidenza che da genovese, privato della sua repubblica dal Congresso di Vienna, Prato ricambia largamente: una vita intensa, vissuta con gran coraggio, a volte incoscienza, ma sempre con una sostanziale fedeltà ai suoi valori insieme romantici e democratici, e le sue oneste, a volte disarmanti, visioni del futuro. Uno spirito così franco ed animoso, sembra suggerirci l’autore, difficilmente potrà far carriera nell’esercito ai massimi livelli. In effetti il destino di Prato, che nonostante gli ostacoli dei superiori, e direi quasi per pura forza interiore, riesce ad arrivare al grado di tenente colonnello, è forse legato in modo complesso con quello di Napoleone, nel senso non solo di ammirazione, ma anche che la sua personalità ed i suoi ideali riproponevano il “fantasma” di quel periodo di guerre e di instabilità, ma anche di grandi fermenti morali e culturali.
Le pagine migliori mi sembrano in ogni modo quelle legate al personaggio di Germaine, all’amore angelicato, dove si trova una reale ispirazione, ed anche una certa umana commozione della penna, anche questa virtù non eccessivamente consueta nel genere storico. Il romanzo è nel complesso gradevole, e guadagna in una seconda lettura e col passare delle pagine, anche se i dialoghi non sono sempre asciutti e totalmente appropriati, si nota qualche ridondanza e sbavatura, ed alcuni personaggi femminili avrebbero forse meritato maggior rilievo. Sono limiti che comunque si perdonano volentieri a Pallavicini, che ha mostrato un notevole coraggio, sia per il genere scelto, che per la vastità di tematiche toccate, dalla politica al sentimento alla vita militare, tutto con un colore d’epoca garantito.
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