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Nelle mani
di Marco Martucci
Pubblicato su SITO


Anno 2004-
100pp.

ISBN n/a

Una recensione di Angelo Angellotti
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“Quando ho iniziato a scrivere nelle mani stavo attraversando un periodo agitato in cui tutto capitava per caso”...un fluido di vita plasma realtà ed emozioni in questo secondo romanzo di Marco Martucci. Un “contenitore ingordo” fagocita giorni in trincea di una vita normale, tra sessioni d’esame, giorni persi nell’ozio, incontri facili che tessono una trama gradevole. Un filo di nausea e mal di vivere costituiscono l’antecedente logico necessario della volontà di rompere un muro di grigia abitudine oltre il quale inizia la vita; o forse quello che ci piace credere di essa.
“Sandro (il protagonista) affronta con disagio la fine di un rapporto importante, e cerca una nuova collocazione per sé all’interno della propria vita nel mondo”. L’analisi dell’autore è attenta, sintetica e psicoanalitica, il racconto è quello di una generazione parcheggiata nelle aule universitarie, nell’attesa che qualcosa prima o poi accada a dare una svolta: la celebre grande onda su cui finalmente surfare e dall’alto della quale avere una prospettiva, uno sguardo d’insieme limpido su ciò che si è per poi riscendere la cresta e capire che in fondo si è tanto poco importanti. Così svanisce l’illusione di essere un microcosmo attorno al quale tutto ruota. Sandro inconsciamente consapevole di ciò finisce per relegare ogni cosa tra le robe vecchie dei ricordi, in modo tale da avere sempre un punto di riferimento, di un istante nel quale ha davvero posseduto la sottile illusione di essere al centro di un microcosmo in cui governare processi ed emozioni. Lo squarcio che s’apre sulla sua coscienza è generato dall’acquisizione del concetto di presente non come attimo in cui fissare immagini già andate, da contemplare, ma come momento originario in cui un flusso di nuova linfa vitale genera rapporti e relazioni che costituiscono il futuro e quindi la vita. Privo dei vincoli che lo legano al passato ed a Lara, la sua unica storia importante, Sandro riesce a realizzare un nuovo centro di percezioni all’interno del quale la visione dei contesti e dell’ambiente in cui si muove, sono profondamente diversi da come li aveva “avvertiti” prima. La prospettiva da cui l’autore prende le mosse è quella sospesa tra verismo e neorealismo, tra l’ideale dello scoglio e l’ineluttabilità della società postmoderna che pretende il sacrificio delle radici a quello della sopravvivenza stessa. Da questa visione il protagonista inizia gradualmente a guardare il mondo, e , soprattutto la sua città: Napoli.
Dinanzi a Napoli ed ai suoi vicoli, alle sue contraddizioni, alla sua società, il calamo di Martucci si tinge dell’inchiostro di Matilde Serao, s’ispira al Ventre di Napoli, forgiando un tessuto narrativo di creazione pregevole. La penna del narratore lascia spazio a quella del cronista, fornendo informazioni utili, graffianti, critiche, sociologiche, sull’eterogeneità di relazioni figlie di ambienti sociali ed etnici intimamente diversi e che in fondo sono il dna della città partenopea fin dai secoli passati. E lo scontro, la sintesi di antitesi sociali contrapposte genera la sostanza stessa dei vicoli napoletani, impregnando di pathos e disincanto chi ,tra quei vicoli, ha trascorso la sua vita e le giornate senza fine tra i portici dell’Università, conferendo a costui un habitus che sarà parte essenziale della sua esistenza, dell’esistenza di Sandro, dell’autore di questo racconto. Nelle mani si setacciano immagini e storie pesanti all’insostenibile leggerezza dell’essere , che recano con sé inutili ,sbiaditi fotogrammi. Nelle mani anche quando i vicoli in cui la trama della vita si svolge, anche quando “hanno, di nuovo i nomi dei personaggi che hanno dominato nei libri del liceo e in quelli dell’Università”, s’avverte sempre l’aria “impregnata di smog e di ingiustizie e di frustrazioni e di incomprensioni e di vaneggiamenti e di lacrime.” Nelle mani e negli incontri si dissolvono i dolori di un amore finito. Nelle mani passa la voglia di riprendersi ciò che ormai è perduto, nelle mani c’è un biglietto per un treno “da prendere o da perdere”.
Stilisticamente, l’autore versa nella narrazione una struttura linguistica, un registro, che definiscono in maniera precisa il realismo che contraddistingue il libro, trasmettendo originalità ai dialoghi e verosimiglianza a luoghi e situazioni che, altrimenti, si perderebbero nell’anonimato fonetico di un racconto qualunque. E nelle mani non lo è.


Una recensione di Angelo Angellotti



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