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Cassandra
di Laura De Santis
Pubblicato su PBSR2006
RACCOLTA DI POESIE Ibiskos 2004
Prezzo €
10 -
29 pp.
Collana Il quadrifoglio ISBN
Una recensione
di
Carlo Santulli
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Scrivere poesie d'amore, specialmente se vi si unisce quella passione profonda, che aspira alla gentilezza, alla levità di un sospiro ("Sei nelle cose che guardo/appena il respiro tiene"), e deve invece spesso combattere, avvolgersi intorno al desiderio, o forse all'estro dell'amante ("Non è il momento/l'hai deciso tu"), sembra un gesto quasi impudico, di cui doversi giustificare, o forse addirittura scusare.
La poesia femminile, in quest’ambito, a volte trova accenti più giusti e coerenti. Accanto ad un uomo che può collocarsi al centro dell'esistenza, ma può viceversa essere evanescente, o peggio riempire la vita di vuoto, di problemi inutili ed irrisolti ("Hai dato risposte/senza che ti avessi fatto domande,/elargendo grazie/senza che ti avessi pregato"), l'universo di una donna può non sopportare gli eccessivi psicologismi e le complicanze, a meno che il raddensarsi della scrittura e del sentimento non porti ad una maggiore comprensione di sé e dell'altro. Nel mezzo, tra la psicologia e l'apparente semplicità della vita, può farsi strada una preghiera silenziosa, una preghiera macchiata di complicità, e di ricordo che si sporge nel futuro immediato: "In silenzio verrò a dirti,/mio divino signore,/ che è per te/che aspetto che scenda la sera,/ per sentirti più vicino".
Siamo nell'ambito di quella colloquialità dell'amore diabolicamente ed a volte perfidamente lineare, cui poeti come Giorgio Caproni e Giovanni Giudici hanno saputo dare accenti molto alti, anche se apparentemente eterei, quasi disincarnati. Qui la colloquialità esce nei momenti migliori della silloge, quasi non voluta, anzi temuta, con toni da canzonetta, un po' straniati. Sintomatici sono versi come "Sei in quella stanza/piena di te e di me,/senza luce che affanna,/culla di serena facilità", dove al piano riconoscimento dei primi due versi, si sovrappone il buio affanno negato, riconoscimento di un'ansia, che porta la quartina a chiudersi, inattesa, con quella facilità che racchiude una possibile felicità, ma nello stesso tempo la confonde, perché non è in grado di spiegarla appieno. Non è un caso che l'uomo, portatore di quel facile sentimento, si riveli nient'altro che "seduto/sulla piaga eterna del mio vivere".
Ci sono anche cadute di tono, certo, scusabili in una prima raccolta, e la purezza delle immagini non è sempre sicura e ricercata: la tentazione di termini di cruda e delirante sofferenza non sempre viene raccolta da espressioni felici (un esempio riuscito è per esempio "Sei nella linea della fronte/quando s'increspa di ruggine", che si disperde un po' nel seguito "di quel canto ritmato/senza pietà"). Tuttavia, bisogna ammettere che il tono sa anche elevarsi con leggerezza e sincerità, come in "Non capirai mai la bellezza/che dà il respiro,/non capirai che /un sorriso nasconde pena/di tempi, luoghi". E' un invito a guardare oltre la colloquialità, al di là dell'apparenza del sentimento, che può essere semplicemente un senso d’attesa, un'esitazione che si nutre della possibile scoperta dell'altro, o dell'amore ("la luce che ho lasciato accesa/per aspettarti/ha illuminato solo questo vuoto indicibile"): un inizio di consapevolezza espressiva che fa ben sperare.
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