Il nuovo romanzo di Emiliano Grisostolo, “Il castello incantato”, ripercorre la stessa strada del precedente, configurandosi come una specie di secondo tomo di una trilogia iniziata con “Il grande burattinaio” e della quale, a quanto pare, vedremo presto il terzo episodio. Anche qui si parla di tratta delle bianche, di commercio di bambini e, tragicamente, di organi. Stavolta l'orizzonte si allarga, geograficamente, da quel Friuli che lambisce, fino a percepirne gli umori, il mondo slavo, a tutta l'Italia settentrionale ed anche molto oltre, fino ad una Napoli correttamente piovosa, dove il porto si apre verso un mondo incerto di sparizioni e losche manovre, ed alla Sardegna: e questo è abbastanza logico, perché stiamo parlando di trame di livello mondiale. Tuttavia, un senso “tematico” di frontiera permane, nel senso che Grisostolo sceglie di occuparsi di aspetti del crimine, che un certo tipo di falsa correttezza politica imporrebbe di lasciar perdere. E di occuparsene in una narrazione “noir”, laddove questa gabbia dei generi (lo dico ormai per esperienza) è di solito quanto di meno trasgressivo e più asservito al mercato multinazionale ci possa essere: ma Grisostolo è abile nel portare degli elementi di novità nella narrazione.
Sono certo argomenti angosciosi, e purtroppo attuali, che Grisostolo approccia senza concessioni, ma anche con una sensibilità, in fondo, in cui la crudezza delle situazioni è stemperata da un interesse umano, che può sconfinare fino alla tenerezza. Qualcuno diceva recentemente, mi pare fosse Massimo Carlotto, che lo scrittore di noir, lungi dall'essere un “duro”, salvo qualche volta fingere di esserlo, è uno che ha una maggiore sensibilità della media. Fatte le dovute tare al fatto che il noir è una coperta che ormai copre un ambito molto vasto, ed anche all'ovvia considerazione, applicabile a Carlotto, che non si può che parlare bene di un genere che si pratica, devo dire che a me Grisostolo fa proprio quest'impressione, per ormai lunga consuetudine di recensore. Ho già detto altrove che è uno scrittore che va oltre i generi, cerca di esprimere quello che gli sta a cuore, in un'espressione forse abusata uno che ci crede: infatti gli argomenti sono ostici, ma non c'è traccia di cinismo nell'esposizione, dura, ma sempre partecipata.
L'autore, come questo “Il castello incantato” conferma, sembra, con la sua onesta ma non banale capacità letteraria, cercare di andare oltre, scoprire qualcosa di più, anche nel suo stile. Qui c'è una ragazza che sparisce, Maria Purini, ed un magistrato che la cerca, direi instancabilmente, Bartolomeo Noti, anche per il tramite inconsueto, ma efficace, di una prostituta africana, che si fa chiamare Gina. E ci sono una serie di situazioni complesse che fanno capo anche qui alla scoperta di una trama gialla, per cui non possiamo aspettarci un lieto fine che sia semplicemente rasserenante e non catartico. Ma il romanzo cammina, ed a volte corre, felicemente verso lo scioglimento conclusivo, che è senza dubbio nella tradizione, anche cinematografica del poliziesco più drammatico. C'è tuttavia una piccola luce di speranza, dove l'opinione dell'autore riesce a mostrarsi, suggerendo che la passione e l'impegno di uomini come il giudice Noti può forse riuscire, dove anche la logica mostra i suoi limiti.