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Forse nessuna letteratura regionale è in grado di comprendere e di confrontarsi con la cultura europea, quanto quella siciliana. Che gli scrittori usino la lingua italiana, il siciliano letterario od uno dei tanti dialetti dell'isola, inevitabilmente si pongono in un fruttuoso rapporto dialogico ed intellettuale con la letteratura e l'arte del continente, vista nello stesso tempo come parte di sé e come cultura "altra". Per questo vedo con particolare interesse l'esperimento di Marco Scalabrino, di tradurre in varie lingue europee le sue poesie in dialetto siciliano. Si scoprono cose interessanti, per esempio quanto sia icastico ed efficace il dialetto in certi casi: "Armu putia" è "Apro bottega", oppure "Ich eröffne ein Geschäft", se volete. E dalla bottega esce una voce forte e sonora, ma anche una voce di speranza. Le poesie di Scalabrino sono squarci intensi, immediati e vividi. In un mondo metaforico, ma anche letterario dove le parole sono dure, e bisogna lavorarle intensamente per ritrovare la propria vera voce, la propria lingua, che è quella del paese natio, in un percorso circolare, ma non per questo meno sofferto, non ci sorprende incontrare il tempo e le stagioni nella loro versione fatale di pacificatori finali ("e allonganu/a botta a botta/la prucissiuni/di judici/manetti/tabbuti"). Ritrovare la propria voce significa inevitabilmente chiedere di esser giudicato al di là dei luoghi comuni, per quel che si è, quell'uno che ama e vuole essere ricordato per questo (in latino "hic est/qui te amat plus/omni universo/et magis magisque"). Ed una volta che la propria voce si ritrova, diviene inevitabile uno stato di veglia, doloroso, ma anche fitto di inconfessabile e un po' dispettoso ottimismo (efficace l'immagine dello "scarsu sonnu" dell'estate, del mare voltato; anche il poeta decide di voltarsi e di non guardare le apparenze, ma di cercare di dipingere il profondo se stesso).
Ecco, c'è da dire che Scalabrino, mettendo fronte a fronte le varie traduzioni, molto accurate peraltro, e spesso anche poetiche, scommette sul proprio dialetto, ed incidentalmente su di sé poeta, il che denota coraggio ed umiltà. Questo crea un effetto interessante, un'inconsueta sinergia di significati, come se avere diverse lingue a disposizione permettesse una lettura verticale e stratificata dei diversi componimenti, un "mancìu, cugnintura" (un ghiribizzo e un'opportunità). Infatti, scrivere poesie, oggi come oggi, è un ghiribizzo (altri parlerebbe di una tenera follia) di un animo sensibile, ed un'opportunità per chi desidera dedicare qualche istante di libertà, parola che Scalabrino tanto ama, per accostarsi al poeta ed al suo canto. Sono poesie fatte per esser recitate, quasi raccontate in piazza nella tradizione siciliana con voce sicura e priva di sdolcinature ed abbellimenti, mentre una leggera brezza di mare scompiglia i fogli sparsi ed i pensieri.
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