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Ci sono libri, come questo romanzo d'esordio di Marina Dionisi, studiosa del paranormale, che si possono leggere su piani diversi. Un piano diciamo tecnico, inerente a quel di cui specificamente si parla, come in questo caso la percezione extrasensoriale di fenomeni e di eventi accaduti nel passato o che stanno accadendo al momento, e l'altro letterario, che è quel che ci riguarda più direttamente, nel senso di capire se la storia narrata sia non solo plausibile, ma si faccia anche seguire con piacere ed interesse.
E' anche evidente che in un'opera come questa, i due piani possono intrecciarsi fino ad essere facilmente confusi, ed è specialmente alle sue doti letterarie, non trascurabili peraltro, che l'autrice si affida nel cercare di presentare la sua storia, che si configura come la biografia di una donna, Rebecca, che scopre le sue particolari qualità medianiche fin dall'età di quattro anni. Naturalmente, come per tutto ciò che gli uomini faticano a capire con quello che solitamente si chiama “buon senso”, le cose non vanno per nulla lisce per Rebecca, specie da bambina. Ora vanno di moda gli “outing”, ovvero le pubbliche rivelazioni del proprio intimo essere, ma ciò non toglie che, tolti i riflettori, si tratti di processi dolorosi, sicché quel che le accade (incomprensioni, odi, scontri) è, fatta salva la realtà romanzesca, piuttosto plausibile.
Rebecca si trasferisce da Parigi a Milano, poi a Roma ed a Napoli, ed è coinvolta in una serie di avventure, che hanno per legame comune la sua percezione dell'aura delle persone e quindi del loro contenuto energetico. Queste sono, almeno superficialmente, sensazioni comuni: non si può negare a volte di riconoscere che determinate persone emanano, a volte loro malgrado (o no?) un'energia negativa (o positiva, ovviamente). Ma Rebecca ha in più la possibilità (o il dono) di scoprire un delitto, evitando che se ne commettano altri, come in "The gift", e, attraverso foto ed oggetti personali, è in comunicazione con persone morte, come in "The sixth sense". Lo stile dell'autrice tuttavia mira ad andare più a fondo, senza fermarsi alla suggestione e magari al "thrilling" di alcune situazioni. In modo abbastanza interessante, questo dono non si evolve né si disperde col tempo, è già completo fin dall'inizio, e non acquisisce una diversa profondità psicologica con l'evoluzione di Rebecca: è dono, quasi soprannaturale, e da tale si comporta.
Le avventure, che non vanno raccontate, per non guastare il piacere della lettura, si spostano nello spazio, come pure nel tempo, con due episodi diacronici, uno rinascimentale, ed uno ambientato all'epoca dell'antica Roma, e la vicenda si tinge anche di giallo ad un certo punto. Lo stile è concitato, e la tensione non cala mai, anche se credo l'autrice si soffermi sufficientemente a spiegare piuttosto chiaramente il sottofondo, sia sentimentale che affettivo, che muove la sua eroina, il che è il maggiore motivo di interesse del romanzo, per quanto mi riguarda.
Personalmente, trovo che la parte meno riuscita sia quella napoletana, dove un'ondata di luoghi comuni piuttosto oleografici (tutto un turbinare di scugnizzi, tassisti imbroglioni, valige legate con lo spago) fa imbarcare un po' d'acqua al romanzo. E' che in un romanzo si sia, lo prova anche la storia del campanile sommerso a Sinuessa, che è un'invenzione, ma in questo caso bella e lucida. Il finale è senz'altro ricco di colpi di scena, ma ritengo che l'autrice dia il suo meglio nella descrizione senza remore della speciale e presaga infanzia di Rebecca, specie dove la realtà cede al sogno, che a sua volta la rivela.
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