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Al di là di quello che si può pensare della letteratura, in modo paludato ed accademico, il limite al di là del quale “si fa” letteratura coincide col raccontare storie, possibilmente suggestive ed interessanti, in modo gradevole. A questo proposito, fa piacere riparlare ancora di Cesarina Bo, dopo il suo primo romanzo “Attrazioni e distrazioni”, perché anche in questa sua raccolta di racconti, “Alloggio vista mare e altri racconti”, il piacere di leggere, pur tra qualche lieve e scusabile ingenuità nei dialoghi e nelle situazioni, non viene mai meno. In particolare, ci si rende conto che l'autrice sta cercando di approfondire lo studio dei personaggi, e lo sforzo si vede: soffermandosi per esempio sul racconto lungo che dà il titolo alla raccolta, l'ufficiale di marina in pensione Giovanni Maria Mandelli è talmente vivido, se mi passate il contrasto di termini, nella sua opacità di pensionato, che sembra realmente di vederlo. Lo si percepisce muoversi con naturalezza in una costiera ligure rapallizzata, dove vuole salvare la vista del mare di cui gode dal suo appartamento. Scopo egoistico, d'accordo, cui sono forse estranee più profonde considerazioni sull'ambiente, ma l'autrice mostra come Mandelli sia immerso in un mondo che difende solo il proprio prestigio, oppure la propria qualifica, od il proprio passato, sicché non si può mancare di avvertire una certa tenerezza per questo pensionato col cuore di un ragazzo, lanciato in una battaglia che sa che non può vincere, ma che combatte con estrema serietà e dignità fino all'ultimo. Gli scorre davanti l'eterna storia di una certa Italia, gli odi condominiali, la burocrazia arrogante ed incoerente, e il continuo ricordo di un mitico passato, probabilmente mai esistito.
C'è da dire però che il valore di questa raccolta non si esaurisce nel racconto principale: la stessa delicatezza e finezza mostrata nel descrivere gli anziani con le loro non effimere sofferenze e piccoli dispiaceri, l'autrice la rivela in un tema delicato ed esplorato spesso in modo soltanto morboso quale quello della pre-adolescenza (“Prima comunione”). Nel corso della raccolta, ci sono poi le sottili invidie ai danni dei vicini di casa (“Una cucina nuova”), i ricordi di un malvivente sui murazzi del Po (“Il fermaglio a forma di stella”), una lievemente ridicola e dubbia causa di lavoro (“L'ascensore”), un pasticcere innamorato, irragionevole come solo sa esserlo il vero spasimante (inevitabilmente destinato a perdere la sua piccola schermaglia) (“Antica Pasticceria del Centro”)... e molto altro. Ma devo confessare che la mia piccola preferenza, per quel che vale, va al breve racconto “Passione”, dove un pensionato appassionato di libri recupera quelli persi dai viaggiatori nei treni che arrivano alla stazione di Porta Nuova. E qui l'autrice, secondo me, dà il meglio di sé, nella descrizione dell'ambiente della stazione e della vecchiaia sobria e composta, ma anche testarda e un po' orgogliosa, di Lorenzo: mi sembra, in pochi tratti, di un realismo e di una pregnanza non comune (per inciso, il racconto diventa quasi nostalgico, nel momento in cui Porta Nuova è una stazione destinata a sparire nei prossimi anni, per far strada a, guess what?, un centro commerciale: chissà se Lorenzo sparirà con essa...).
Nel complesso, penso che Cesarina Bo stia avviandosi verso una sicura maturità di scrittrice: lo dice la cura con cui cerca di caratterizzare i personaggi, tale che la trama è sempre ragionevole e conseguente, rispetto alle loro personalità (perché c'è qualcosa di vero nel fatto che ognuno si sceglie il proprio destino, anche per le creature letterarie): una certa residua meccanicità di qualche atto e circostanza è pienamente scusabile.
Specialmente, anche rispetto ad “Attrazioni e distrazioni”, si coglie molto il disegno di un certo ambiente specificamente torinese (il racconto principale è ambientato in Liguria, in verità, ma mi sembra di poter dire che il sentimento che lo ispira è coerente con quello degli altri). Ne fa parte una certa attitudine a sentimenti e pensieri un po' attutiti, o meglio colti, quasi per buona educazione, nel momento in cui hanno già passato lo zenit, e si stanno spegnendo. Il solo momento, peraltro, nel quale siamo veramente in grado di spiegare quello cui abbiamo assistito, prima che si passi a dimenticarlo o a caricarlo di dettagli superflui, che sono in fondo le due facce della stessa medaglia. Il ritardo che questo comporta, è solo apparente, perché la narrazione guadagna in profondità quel che perde in concitazione, e si ha la netta sensazione che l'autrice non stia dicendo altro che la verità (ovviamente “verità” letteraria, che non significa necessariamente realismo). E si sa che di un po' di vero, in un mondo spesso mistificato, abbiamo forse tutti bisogno.
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