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A te che mi distrai
nelle notti d’ estate,
dipingi il buio
con squarci di luce,
e nel silenzio
il cuor non tace,
avido brama
ciò che seduce.
Distante in quell’ istante
accuso un gran fendente,
mi spezza in due le gambe
mi penetra e si espande;
poi come per incanto
o forse per magia,
riflesso di se stesso
riprende la sua via.
Reciproca quest’ onda
sublime mi confonde,
se al mondo esiste meglio
non so, ma non lo voglio.
E provo a stare sveglio
coi sensi nel delirio,
non sei ne sarai mia
oh Dea detta la via.
Per esser certo musa,
che mai avrò motivo
per domandarti scusa,
deciso senza indugio
nell’ ardua direzione,
a solo beneficio
dell’ immaginazione.
Ed ora al tuo cospetto
depongo la mia prosa,
cortese chiedo udienza
ragione mia preziosa.
Che gioia mi pervade
vederti tanto schiva,
sempre così loquace
ed ora inespressiva.
Allor mi ergo in giudizio
e innanzi a te sentenzio:
Quando è il cuor
che vuol parlare,
la ragione
sta in silenzio.
©
Edoardo Firpo
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