Andavo verso la vita
Ed ho solo letto e servito,
scritto quando comandato;
senza l’indole del genio
assopivo un bisogno antico
che è liberi donarsi
dondolare a piedi in aria
e prendere i libri per buoni
perché è l’età, quella franca…
Dunque ho perso il mio prodigio
Spezzato la divinazione,
Mai!
Mai!
Mai!
Ho tenuto una pratica
Così lontana dal cuore.
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Al banchetto della mia anima
Si arriva in sandali o stivali
Che si tolgono appena all’ingresso,
si cammina a piedi e bianchi e scalzi
e ci si accovaccia sulle sedie;
non esistono pose sbagliate,
il galateo... non v’è traccia di posate,
non esistono ed eliminiamo
ogni bisogno tranne quello di mangiare.
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Alla mia schiena magra
Si bagnano le tue intimità,
alla luce e senza paure
il nostro pudore scalza
le maglie di tela che metti;
e chiamo violenza d’amore
la tramvia tenue di tocchi:
tendo vertebre e respiro
io, per ospitarti il seno,
rimetto il peso alle spalle
per rubarti quelle cosce.
Nel volgermi a te
Innamoro le nostre cervici,
tutte rami e tendini
che si intrecciano per burlarci.
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Dovrei fermare le gambe,
gettarmi in un Tesco
o in un qualsiasi supermarket
a far la noia e la fila
per del pane e della carne,
ed imparare a cucinarla
- e mettere provviste in frigo;
mi dico:
“Dovrei imparare ai fornelli
E poi ricambiare Francesco
Per favori e tutte cene offerte”.
Un biondo barbuto
Suona in strada la chitarra,
cambia veloce melodia
e prende pause per fumare;
fermo le gambe,
con i morti di freddo del centro
mi aspetto riprenda il concerto.
Continuo a chiedermi se ho davvero
Bisogno di carne e pane per la sera.
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Si può scrivere
D’un poeta, dei suoi scritti
Di come un poeta
Debba sentirsi
Ed osservare, aver paura
Del circostante
Del fallimento e di cadere
Ai piedi della vita,
non riuscire a riderne.
Di ciò che il poeta
Dovrebbe
Sentire o dare idea,
senza fornire alcuna
idea di ciò che in vero
sia il poeta
ciò che pensa e sente;
-del poeta- si può non scriver niente.