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Erano quattro giorni ormai e quattro notti,
lunghe per me e brevi a chi mi era restato
sulla terra parente amico amore amato
amante e quasi mi ero davvero abituato
ad essere morto lì nel mio sepolcro sigillato
all’ombra di quattro cedri e di una palma.
Poi mi giunse all’orecchio un parlottio,
quasi un tubare di tortore o lo scorrere
di un fiume lento, ed erano le voci
delle sorelle mie Marta e Maria.
Maria, delle sorelle mie la più sagace
diceva che dissigillar sepolcri
porta male, che non serviva a niente
proprio a niente, ed era giusto il lutto.
Tanto, la sentivo dire con chiarezza,
il corpo di Lazzaro nostro è ormai distrutto
dal bacio di quei vermi che sappiamo.
Poi quella voce di quel vecchio amico,
che si chiamava, sì, lo riconobbi
proprio da quella voce, Gesù di Nazzarette,
prese a dire chi crede non è morto
e se credete voi ve lo riporto
alla vita dell’orto e del bestiame.
Io non potevo farmi udire, non volevo
dare spavento alle sorelle mie
che giustamente mi avevano a morto,
ma avrei voluto dire di lasciarmi
con le mie fasce lì e con la mia pace.
Ma quell’amico, inesorabile nella sua
smania di voler essere il dio di un dio
padrone della morte, fece riaprire
le porte del sepolcro, e la sua voce
con tono non so se di amore o di minaccia
mi disse Lazzaro cammina: e io presi il passo
di quella vita che non avevo amato,
e lasciai quella pace sconosciuta.
Grande fu la meraviglia della gente,
confuse un po’ di gioia le sorelle
e solo Cristo vinceva quella guerra
con la sua santa stregoneria.
Poi non ricordo più come ho vissuto
la mia vita risorta: l’altro giorno
rileggendo per caso un versetto di Luca,
ho saputo che fui una sera a cena,
ma in disparte, con quel mio amico
ormai famoso, con quel Gesù
che adesso si chiamava Gesù Cristo
e che non mi rivolse la parola, forse
aveva schifo di me che ero risorto
mentre a lui si preparava morte.
©
Fausto Cerulli
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