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Chiara, in te ravviso una prospera betulla,
deposta dal Cielo sul gelido lenzuolo
che assedia impersonale un fondovalle agreste.
Sorgi apollìnea, addossata a un fragile recinto.
Aneli, assalita da una pungente tramontana corroborata da incalzanti precipizi,
che convulsa percosse villaggi assopiti;
ti incardini soave dentro una volta turchina solcata da cirri,
al culminar d'un taciturno inverno.
Le tue branche, smaltate di bianco,
robuste, intagliate dal tempo,
disperdono volubili falive con sussulti inattesi,
riaccostandosi con ciò di slancio alle altezze trascendenti,
mentre un'iride corona la valle digradante
che sotto s'appiana in uno specchio impressionabile
contro cui aeree incursioni si smagliano in sfarfallii sciamanti.
Talvolta, al cospetto della foresta incombente,
un corteo di cornacchie assorto e serrato
s'alza in volo con decoro affianco a te, via dai campi slavati;
rianimato dal sol ma senza forze
ripara infine, grave e roco, alla tua chioma.
La tua essenza vitale, pur latente,
intimamente si coglie, attorno a te:
se anche attingi dalla melma, tua nutrice,
sopra dòmini l'atmosfera,
simile a torcia vivida e lucente
intercalata a vortici d'etere e occhiate di sole,
e i tuoi apici ricalcano i sentieri
che dalle angustie terrestri convergono all'Intelletto sapiente.
Insofferente in tal misura alla materia,
sei il lume gentile che ammaestra il mondo;
questa tensione verso l'Uno e la tua grazia
irradiano un mistero, che alligna nel profondo.
Ora ti lascio qui alle tue conquiste,
riconoscente che il mio spirito hai lenito;
ritornerò per decifrarti a primavera
e al tuo stormire ascenderò, da te rapito.
©
Mauro De vigili
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